«La Warner Books stava inaugurando una collana di romanzi per uomini dal titolo “Men of Action”, con la serie di “Dirty” Harry come gioiello della corona. Era il tempo dei libri di avventure maschili come l’Executioner [Mack Bolan] e il Destroyer [Remo Williams], ed io avevo già scritto un po’ di romanzi del Destroyer, un titolo dell’Incredibile Hulk e dei libri di saggistica su cinema e TV: quelli della Warner pensarono che io fossi giusto per Harry»: così Ric Meyers ricorda l’inizio della sua collaborazione - con lo pseudonimo collettivo di Dane Hartman - alla serie di romanzi con protagonista “Dirty” Harry, meglio noto in Italia come l’ispettore Callaghan.

Gli anni Ottanta sono appena iniziati e già promettono fuochi d’artificio: ogni attore dev’essere pronto ad interpretare un action man, ogni scrittore dev’essere pronto a scrivere una storia d’azione. Frank Castle, il Punitore, è già in prima linea.

        

L’abbiamo lasciato negli anni Settanta senza una storia alle spalle: non sappiamo come si chiami, non sappiamo perché combatta né alcun’altra informazione ad esclusione del suo soprannome: il Punitore. (L’utilizzo anche in italiano dell’originale Punisher è ancora lontano da venire.)

L’inizio del nuovo decennio lo trova letteralmente sommerso di criminali da punire: è così che lo trova anche l’Uomo Ragno in quel febbraio 1980, nella storia Man-Hunt di Marv Wolfman. L’autore contribuisce a definire più chiaramente le idee del nostro Frank, che dopo aver sventagliato di proiettili una banda di lestofanti così commenta: «Non sono che teppaglia, io voglio il loro capo». Non è ancora lo spietato caro vecchio Frank che tutti conosciamo: alla Marvel hanno ancora qualche remora a mandarlo in giro ad uccidere a raffica.

Dopo aver sparato all’Uomo Ragno in pieno petto, per toglierselo di mezzo, sappiamo infatti che il Punitore ha fino ad allora utilizzato proiettili di gomma, che stordiscono ma non uccidono: in fondo, Castle è un bonaccione, ma soprattutto vuole arrivare al capo della banda. «Intendo far sì che quel verme resti dietro le sbarre per il resto della sua lurida vita. È il minimo che devo a Mehemet». Castle che vuole “arrestare” un malavitoso invece di punirlo? E chi è questo Mehemet?

In Caccia all’uomo (questo il titolo dell’albo che uscì nelle edicole nel marzo 1982, con in copertina un bel Il ritorno del Punitore) assistiamo non solo ad un Punitore diverso fisicamente - Keith Pollard gli toglie quei tratti espressivi marcati, quasi caricaturali, che lo hanno contraddistinto nelle primissime storie - ma seguendo la storia nel numero successivo, Per quelli che non sono più tra noi, scopriamo un altro momento del passato avventuroso del personaggio. Dieci anni prima, infatti, la nota 58 del suo Diario di guerra trovava Castle nella lontana Turchia a cercare un feroce spacciatore. (Ma fino in Turchia doveva andare?) Hatay il perfido lo fa però cadere in trappola, lo droga come una zampogna e lo lascia a morire di overdose: il giovane Mehemet lo salva e lo accudisce, e ancora una volta scopriamo che Frank va in giro per il mondo a farsi salvare la vita. Com’è finito l’ultimo che gliel’ha salvata, il Persecutore? Esatto, morto: Mehemet non dura molto di più. Arrivato in America grazie a Frank, ed entrato nella narcotici, viene ovviamente ucciso dai cattivi spacciatori.

La lotta al crimine generico è ancora vaga: il Punitore segue vicende strettamente personali di vendetta al dettaglio, e quando l’Uomo Ragno gli impedisce di uccidere a sangue freddo Hatay, il Fato sopraggiunge e fa morire il feroce spacciatore di... incidente d’auto!

«Un giorno, Uomo Ragno, capirai che avere pietà di quella feccia è un tragico errore», chiosa il Punitore, per poi andare a portare dei fiori sulla tomba di Mehemet: il personaggio c’è, ma è ancora un po’ indeciso.

      

Bisogna aspettare il dicembre 1981 perché qualcosa di sostanzioso cominci a muoversi. È apparso nelle edicole statunitensi Death on the Docks, il primo dei dodici romanzi scritti appositamente per il personaggio di “Dirty” Harry Callahan, e la violenza giustiziera invade sempre di più cinema, libri e fumetti: è ora che il Punitore la smetta coi proiettili di gomma!

È Dennis O’Neil a dargli una smossa, con l’impagabile aiuto di un titano come Frank Miller ai disegni. Nello speciale Amazing Spider-Man Annual n. 15 campeggia in copertina il titolo Spider-Man vs The Punisher (anche se il titolo della storia è Threat or Menace?). Miller regala a Castle una fisicità che gli rimarrà attaccata per tutti gli anni Ottanta: sguardo duro, guance scavate, occhi invisibili coperti dall’ombra d’una espressione accigliata. Ma questo è niente: la storia si apre con Frank che spara addosso ad un santone trapassandone il petto!

L’America - come il resto del mondo - è in quel momento in piena mania da santone: persone raramente limpide che vantano grandi poteri ma che soprattutto richiedono magici pagamenti: dopo quattro anni di “pacifismo”, Castle inizia la sua carriera facendo fuori un santone inerme il cui unico crimine è quello di prendere in giro un bel numero di creduloni.

Nel consequenziale turbinio di volteggiamenti in aria, Castle e l’Uomo Ragno si sparano e si parlano, ed esce fuori di nuovo il Punitore che studia il proprio nemico, che organizza, che pianifica: non è un matto omicida, è un vero e proprio assassino.

Stavolta è forse si esagera, e un uomo che uccida così impunemente e la passi liscia è un po’ troppo per la Marvel. Circondato da poliziotti, il Punitore non può far altro che alzare le mani. «Non ce l’ho con la polizia - spiega agli agenti. - Forse non lo capite... ma siamo dalla stessa parte». Per la prima volta da quando è nato, Frank Castle se ne finisce in prigione.

Un finale amaro? Triste? Per niente. La storia si chiude sull’espressione dura del Punitore e sulla sua frase impagabile: «C’è qualcosa di buono nelle prigioni... Ci stanno tanti criminali...»

Questa non è una fine, potete giurarci.