Fiori nell’ombra è un romanzo ricco e carico di suggestioni. Quali sono state le tue fonti di ispirazione? Quali le influenze che ti hanno guidato nella scrittura?

Fiori nell’ombra è nato dalla mia passione per la cultura cinese, che seguo da una ventina d’anni come appassionata e da due come studiosa, per cui le fonti d’ispirazione principali sono da rintracciare nella letteratura cinese in senso stretto e nella cultura cinese in senso più ampio. Si tratta di un percorso costante e a spirale fatto di letture che sono andate a sedimentarsi nella mente fino a donare una certa direzione al mio percorso personale di scrittrice e di donna, andando inevitabilmente ad influenzare il mio modo di concepire la vita e la scrittura. Tutta la cultura cinese è fatta di un unico macrotesto nel quale gli autori, i filosofi, gli artisti e i burocrati dialogano fra loro creando un rimando continuo a un’unica tradizione, per cui parlare di singole opere che mi hanno ispirato rende il discorso parziale e solo vagamente comprensibile, perché inevitabilmente si riduce soltanto ad alcuni titoli isolati che per un lettore occidentale non addentro alla cultura cinese probabilmente significano poco o nulla. Posso comunque citare alcuni esempi di testi che sono stati illuminanti nel mio percorso e la cui eco è andata a confluire nella trama del romanzo: il “Dao De Jing”, uno dei tre testi classici della filosofia taoista attribuito a Lao Zi; le “Storie fantastiche del padiglione dei divertimenti” di Pu Song Ling, una raccolta di novelle fantastiche; “Il Sogno della Camera Rossa” di Cao Xueqin, uno dei massimi romanzi della letteratura cinese; “La moglie del macellaio”, un romanzo taiwanese degli anni ‘80 di Li Ang, ma anche i film di Zero Chou, una regista anche lei taiwanese che intreccia spesso il destino di donne e uomini a quello dei fiori. Ma ci sono sicuramente mille altri volumi che non mi vengono in mente consciamente che sono sicuramente altrettanto importanti.

Il romanzo combina vari elementi che spaziano dal fantastico alla suspense fino ad arrivare all’horror, forse l’elemento più disturbante del libro. Tra i tanti personaggi spiccano spiriti senza pace, morti che ritornano, demoni ossessivi, cadaveri che si rianimano, in un’atmosfera spesso claustrofobica e inquietante. Da cosa differisce la visione orientale dell’horror rispetto a quella occidentale?

Credo che entrambe le tradizioni, sia quella occidentale che quella cinese, siano concentrate sul possibile legame che può crearsi fra i vivi e i morti, o per le meno tra i vivi e le presenze oscure che popolano il mondo parallelamente alle nostre. La differenza sta nel modo di concepire queste presenze: spesso, nella narrativa horror occidentale (ma anche in molta di quella fantastica), esse sono creature del male, venute a conquistare il mondo per sete di potere o per portare l’eletto-protagonista dalla loro parte; tutto di conseguenza si concentra nella lotta tra il bene e il male, tra luce e oscurità, i ruoli finiscono dunque per essere molto netti e la storia culmina in un’epica battaglia finale risolutiva o sulla definitiva perdizione del protagonista. Nella tradizione cinese i confini sono invece molto sfumati perché i concetti di bene e male non sono fra loro opposti: una stessa creatura può essere benigna ma allo stesso tempo maligna, a seconda della funzione che essa ricopre nel corso della storia ed essendoci la reincarnazione tutte le forme possono mutare in altro e non necessariamente si assiste a una resa dei conti finale, a meno che non stiamo leggendo qualcosa di strettamente legato alla tradizione buddhista, dove il concetto di retribuzione forse è più accentuato rispetto a quella taoista, incentrata sulla mutazione.

Leggere il mio romanzo, per chi è abituato ai presupposti occidentali dell’horror, può essere un’esperienza diversa, a tratti sconcertante, spero anche affascinante, alla scoperta di un mondo dove bene e male, semplicemente, non esistono, ci sono solo creature che s’inseguono e si scontrano contaminandosi a vicenda fino a diventate sempre diverse tra il coagularsi dell’energia e la sua dissoluzione. Anche se il vero horror, a ben vedere, è universale, e ci narra di epifanie improvvise, come tutta la narrativa in generale.

La tua scrittura è molto calibrata e attenta. Quali fasi attraversa il tuo lavoro di narratrice? Come si evolve e come nasce la pagina scritta?

Premetto che sono una perfezionista che lavora molto sulle singole parole, prima che sul periodo intero o sul capitolo, avendo però già ben presente la struttura generale che di solito è molto rigida e già delineata fin dall’inizio. Spesso, come nel caso di Fiori nell’ombra, parto da un’idea, che può essere un fiore e la simbologia a esso legata, oppure una scena, di solito quella iniziale e quella finale, per poi sviluppare altri particolari come i nomi o quello che succede nel mezzo. Altre volte è semplicemente un’immagine o un personaggio ad apparirmi davanti e la suggestione o il ricordo della sua apparizione, una semplice frase che sento sussurrare nell’aria da questa creatura che mi ha concesso il privilegio di ascoltarla e di narrarla, e da lì segue tutto il resto. Sono convinta che le storie siano già tutte presenti nell’energia che ci circonda, bisogna solo essere in grado di sentirle e di saperle ricompattare in qualcosa di coerente e vitale anche per le altre persone, non solo per noi che abbiamo vissuto quella “visione” in un momento fugace della nostra esistenza o del dormiveglia. Da buona appassionata della cultura cinese, inoltre, in questo libro ho lavorato molto sulla citazione indiretta, rimandi ad altri libri che ho letto o a film che ho visto, in modo che si andasse a creare una sottotrama di coordinate che per chi conosce la cultura di riferimento sono del tutto naturali e logiche, o almeno spero che lo siano. E poi, c’è sempre la componente della casualità: mentre scrivevo una certa storia m’imbattevo in una frase o in concetto elaborato da altri nei loro libri o film che esprimeva l’esatto pensiero su cui stavo lavorando, per cui tutto andava a comporsi in tasselli coerenti dove, come direbbero gli inglesi, everything is in its right place. Qualcosa che stavo cercando era già lì, aspettava solo di venirmi incontro o che io la notassi. Si tratta di pulviscoli di sintonie che avvengono senza un vero perché razionale, ma quando ragioni su un certo concetto, inevitabilmente il “qi” ti porta in quella direzione senza che tu usi l’intenzione, con spontaneità. Questa per me è stata la componente più bella nella stesura di questo libro.

La struttura del libro è originale e accattivante. Come è nata?

Il progetto iniziale prevedeva un divertissement: scrivere per gioco una serie di racconti fantastici legati alla tradizione popolare cinese di storie di fantasmi, poi mano a mano che le singole storie venivano scritte ho capito che c’era un filo conduttore – la presenza dei fiori – che poteva essere parte di un’unica storia. A ciò si è aggiunta l’idea di riprendere in mano il primo, acerbo romanzo che avevo scritto a 22 anni, dal titolo “Il fiore venuto dalla pioggia” incentrato su quattro personaggi più un quinto, la casa, che andavano a formare un insieme modulato sulla teoria cinese dei cinque elementi – fuoco, acqua, metallo, legno e terra – e che si fondava sull’idea di risveglio. Unendo le vaghe suggestioni accennate nella bozza di romanzo scritto tanti anni fa con una struttura più solida e dettata anche da un’esperienza maggiore, si è andato delineando Fiori nell’ombra (nel quale tra l’altro una sezione si intitola “Il Fiore venuto dalla pioggia”, non tanto per vezzo autocitazionista ma perché, ancora una volta, tutto torna).

La struttura generale che ho dato al romanzo richiama uno stilema tipico non solo della narrativa cinese ma anche di quella occidentale: in fondo, anche in Boccaccio una serie di personaggi si riunisce passando il tempo narrando a turno delle storie. Credo sia il core dell’arte narrativa un po’ in tutto il mondo, e mi è venuto spontaneo ricrearla in quello che stavo scrivendo.

I personaggi, ma in fondo tutta la storia, sono carichi di simbolismo. Puoi parlarcene?

Il romanzo presenta una simbologia molto precisa, che tra l’altro viene spiegata nelle note autoriali in fondo al volume. Brevemente qui dirò solo che alla base del numero e delle caratteristiche dei personaggi principali (quelli che narrano le storie) c’è la teoria cinese dei cinque elementi e la struttura degli esagrammi dell'Yi Jing, il Libro dei Mutamenti. A ciascun elemento corrisponde un colore (che dà poi il nome al personaggio), un punto cardinale, una stagione e un momento della giornata e all’interno di questa dimensione si collocano i due racconti e i due fiori scelti. Così ad esempio, il primo personaggio che appare nell’incipit, Qing, rappresenta il blu-verde come colore, il legno come elemento, la primavera come stagione, la mattina come momento della giornata e l’est come punto cardinale. Infine, ogni personaggio è associato a una zona diversa della casa, che ha anch’essa un nome (è tipico dei romanzi cinesi attribuire infatti un nome poetico o evocativo alle diverse zone di una casa tradizionale), e ai due fiori protagonisti delle due storie narrate nel suo turno. Ovviamente, vi sono anche altri tipi di simbologie all’interno del libro, ma non voglio svelare tutto a chi legge…

Nelle varie storie che compongono i petali di questo fiore narrativo si intrecciano continuamente piano reale e piano fantastico, mondo concreto e onirico. Hai avuto difficoltà a intrecciare gli elementi dell’uno e dell’altro?

Uno degli assunti fondamentali alla base del pensiero cinese è l’assenza di una vera dicotomia fra reale e fantastico, umanità e presenze altre, vita e morte, per cui passare da un piano all’altro è vissuto come qualcosa di naturale. Ispirandomi a tale cultura e studiandola, inevitabilmente non ho trovato difficile giocare fra i due piani. D’altra parte, il pensiero cinese in generale non prevede l’opposizione fra concetti dicotomici ma piuttosto il loro accostamento. La dicotomia è qualcosa di occidentale, che non appartiene al modo di vedere cinese. In qualche modo me ne sono lasciata coinvolgere, anche perché preferisco vedere la realtà come un continuum, non come una serie di opposizioni reciproche. Lo trovo un forte limite, che spesso paralizza il ragionamento di noi occidentali e il nostro modo di percepire le cose.

Quali sono i tuoi prossimi progetti editoriali? Cosa ci dobbiamo aspettare dopo Fiori nell’ombra?

Attualmente sono impegnata in un lavoro di riscrittura/rielaborazione/scrematura di tutti i miei racconti. Ho iniziato a scrivere nel 1993 alternando racconti a poesie, e questo aveva reso i primi degli esperimenti molto incerti e grezzi, che tardavano a coagularsi veramente in qualcosa di coerente. Rivederli nel corso degli anni è stata per me una costante, ma mai prima d’ora ero riuscita a trovare un filo conduttore da cui partire per dare a quelli che non ho scartato un significato vero.

L’anno scorso avevo cominciato un secondo romanzo che ho progettato a grandi linee parecchi anni fa, ma essendo un’opera estremamente complessa e faticosa, una sorta di pastiche tra fantascienza, cannibalismo, mistica taoista, teorie femministe sul matriarcato, nomadologia deleuziana e delirio puro, non mi sento ancora pronta a riaffrontare le fauci di questa creatura estrema, di difficile scrittura e strutturata come una serie di tunnel, ognuno dei quali porta alla dissoluzione dell’io oltre che nella mente di ciascun personaggio… parlarne così mi fa già venir voglia di rimettermi a scriverlo o almeno guardare le parti che ho già scritto, ma lo studio del cinese e la stesura dei racconti credo mi terranno occupata per un bel po’ di tempo, per cui sarò in qualche modo costretta a rimandare perché non sono fisicamente né psicologicamente pronta per affrontare l’idra in procinto di esplodere che questo romanzo è per me. Richiede troppa concentrazione e una dedizione che in questo momento non posso concedergli, ma chissà, l’anno prossimo si vedrà… il futuro è bello perché è un’architettura che non conosciamo ancora e che può sorprenderci… quando sarà il momento, sono certa che sarà questo romanzo a venire da me e a chiedermi di salire sulla sua giostra. Devo solo avere pazienza e non forzare le cose.

Per chi volesse lasciare le proprie impressioni su queste idee o sul romanzo, o semplicemente dare un’occhiata ai pensieri e alle idee esplorate da Sacha Rosel, può visitare il suo blog all’indirizzo http://lunadonna.iobloggo.com (senza www, mi raccomando!!)

Breve biografia dell’autrice:

http://it.wikipedia.org/wiki/Sacha_Rosel

Sacha Rosel, traduttrice, è curatrice del sito di scritture femminili Luna Donna (www.lunadonna.net). Ha partecipato alla stesura del Dizionoir (Delos Books, 2006), ai volumi Borsalino. Un Diavolo per Cappello (Robin, 2007), Dizionoir Fumetto (Delos Books, 2008) e Bloody Hell (Demian, 2009). È autrice della silloge di poesie Carne e Colore (Noubs, 2008) e curatrice dell’antologia erotica di autrici e autori vari L’oscura malinconia dei sensi (Demian, 2011). Il suo primo romanzo, Fiori nell’ombra (Demian, 2012), ha la prefazione di Danilo Arona e la quarta di copertina di Carlo Lucarelli. Per ordinarlo:

www.edizionidemian.it

www.deastore.com

www.bol.it