Spesso le antologie hanno un minimo comun denominatore, un fil rouge che attraversa le singole storie per consegnarci un significato unitario e composto, ma comunque, in ogni caso, fra le pagine spesso si percepisce la frammentazione delle vicende, il tentativo incompiuto e dolente di dire di più, di raccontare quell’ultimo dimenticato scampolo di coscienza e di narrazione che continua a sfuggire dalla pagina scritta. Elemento ultimo dell’incompiutezza umana.

Non è questo il caso de Il viaggio immobile di Jean Vautrin (pseudonimo di Jean Herman), pubblicato da Meridiano Zero nella sua nuova e accattivante linea/veste editoriale.

Quella di Vautrin è un antologia sorprendente e magnifica, che gli ha valso il prestigioso premio Goncourt, e in cui le vicende di un amore malato e grottesco si rincorrono fra personaggi crudeli e ammaliatori. Un uomo scende nella spirale di pazzia della moglie sterile accettando di divenire padre di una bambola, una donna ormai vecchia rivendica il proprio piacere sessuale, un amante decide di uccidere la propria compagna per il solo desiderio di fotografare il suo corpo ormai freddo e morto, e ancora, amori e odi, vita e morte in un incredibile pantheon di personaggi tragici e piegati dalla propria vita e dalla propria follia.

Lo stile di Vautrin è sontuoso, la scrittura ben calibrata si alterna fra dialoghi ad effetto e descrizioni scarne ma efficaci, la struttura narrativa è solida e frutto di un mestiere e di un abilità non comuni, ma quello che colpisce della scrittura dell’autore francese è la sua capacità di creare personaggi e vicende…

Ogni storia, ogni sensazione, ogni individuo che scorrono fra le pagine e un graffio nell’animo del lettore, un colpo duro e spietato che distribuisce una splendida amarezza, una commovente tragicità, che rende la lettura di questa antologia un esperienza di emozioni e sensazioni da cui è impossibile separarsi.

Vautrin incide con crudele e cinica precisione le mille sfaccettature di un diamante nero.