Come celebrare degnamente il nostro centesimo appuntamento su queste colonne se non incontrando il grande vecchio del noir mediterraneo, quel commissario Kostas Charitos che indaga in Grecia, epicentro della più grande tragedia economico-finanziaria dei nostri giorni?

Già dal titolo si arguisce che il buon Markaris voglia subito picchiare duro, pur nel rispetto dei codici narrativi di un genere che non sempre tollera l’eccesso di sociologismo più o meno malamente mascherato (vero nipotini e pronipotini scandinavi di Henning Mankell?).

La Grecia e Atene solo nel pieno della tempesta finanziaria che sta scuotendo le fondamenta dello stato balcanico, ma che rischia anche di far precipitare l’intero edificio europeo: le cicatrici di una politica rigorosa di risparmi, dopo i troppi, irresponsabili anni di vacche grasse, emergono in ogni dialogo: in quelli tra Charitos e sua moglie Adriana, insaporiti da secoli di baruffe coniugali e al tempo stesso da autentiche preoccupazioni per la figlia Caterina appena sposata (anche in Chiesa) col cardiologo Fanis; ma, e soprattutto, in quelli sul luogo di lavoro dove è tangibile la disperazione di uomini e donne del pubblico impiego con l’allontanamento dell’età pensionabile e le robuste decurtazioni di stipendi e gratifiche.

Su questo sfondo in costante e drammatico movimento, si stagliano però in controluce le rassicuranti figure del presepe ellenico allestito da Markaris: Charitos e la sua variopinta famiglia; i suoi eterni assistenti Vlasòpuolos e Dermitzakis; il direttore della Polizia dell’Attica Ghikas, non sempre in sintonia col suo geniale sottoposto, ma sempre pronto a sostenerlo quando dall’esterno si minaccia il loro lavoro.

E stavolta sembra proprio che il pallino dell’inchiesta debba passare all’Antiterrorismo e all’ambizioso Stathakos che si avvale dell’appoggio del ministro e delle alte sfere della polizia nonché di due uomini dei servizi inglesi chiamati a collaborare; infatti un misterioso killer sta uccidendo facoltosi personaggi che hanno avuto o hanno a che fare con le banche e le agenzie di rating: le quali prima hanno spinto il piede sull’acceleratore del debito facile e poi hanno chiuso i rubinetti gettando nella disperazione moltissime persone. Inizialmente Stathakos sembra prendere il sopravvento sul poco convinto Charitos (è mai possibile che un moderno terrorista vada in giro a decapitare con una sorta di sciabola influenti gnomi della finanza greca ed europea?), ma il marchiano errore di arrestare il maggiordomo sudafricano della prima vittima, l’ex banchiere Zisimòpoulos, che – in carcere – ha un alibi di ferro mentre l’assassino colpisce ancora, rimette in mano al nostro commissario la direzione dell’indagine che prende ben presto una strana direzione.

Le persone infatti coinvolte nelle indagini come sospetti hanno tutte quante avuto a che fare in passato col doping: e una misteriosa “D” stampata in caratteri latini su un comunissimo foglio A4 contrassegna ogni omicidio.

A questo punto dobbiamo naturalmente fermarci per non rivelare troppo, ma la genialità di Markaris ancora una volta ha saputo scavare nelle pieghe più oscure dell’animo contemporaneo ellenico e ha fatto emergere, in questo davvero emulo di Simenon, i troppi scheletri che si nascondono negli armadi di connazionali solo apparentemente perbene.

Prova abbastanza convincente, dunque, Prestiti scaduti, ancorata com’è all’attualità più stretta, ma senza rinunciare alla rassicurante presenza della sua compagnia di giro che stavolta subisce solo due piccoli, ma significativi aggiustamenti: l’esperta segretaria di Ghikas, Koula, capace di destreggiarsi abilmente anche nel campo dell’informatica, transita dalla scrivania del capo a quella di Charitos; il quale ha finalmente mandato in pensione – proprio per il matrimonio della figlia – la vecchia Fiat Mirafiori – personaggio a tutti gli effetti della saga – per una più moderna, ma meno amata, Seat Ibiza. Per il resto, tutto come prima: dalle ansie di Adriana al difficile inserimento nel mondo del lavoro di Caterina; dal traffico ateniese costantemente impazzito – e ora solo aggravato dalle numerose manifestazioni di piazza – al ricorso, stavolta in realtà assai parco, ai lemmi del glorioso dizionario Dimitrakos che costituiscono la segreta, perversa e solitaria lettura di Charitos.

Ma in fin dei conti se nella realtà – quella di finzione e quella di tutti i giorni – non c’è proprio nulla di cui esser sicuri, neppure dei proprio affetti e della propria vita, la costante presenza in libreria del nostro Charitos è una di quelle piccole gioie alle quali non sappiamo rinunciare.

Tanto più se insaporite dal sale dell’intelligenza e dell’attualità.

Voto: 7