Il vangelo dell’assassina è un romanzone di 420 pagine che fila via liscio con una scrittura lineare e pulita, sincopata, scritto dalla giovane Johanna Nilsson sotto lo pseudonimo (affatto mascherato) di Amanda Lind, autrice svedese nel suo paese già conosciuta e pluripremiata.

Francy ha un pancione che sta per scoppiare – darà a breve alla luce Belle – ma non sono i pensieri della maternità che la turbano. Deve piuttosto far fronte ai problemi insorti a causa della vasta organizzazione criminale da lei gestita, ereditata dal padre Joseph, uno di quei padri di cui i figli non possono fare a meno di subirne l’autorevolezza e cercarne l’approvazione. Francy coltiva una famiglia variegata: un marito-zerbino che la ama, ma per cui lei nutre sentimenti contrastanti, tra cui un grandissimo affetto, un figlio ribelle, una sorella, Christine, con cui non ha sintonie se non di lavoro. La vera sorella per Francy non è quella di sangue: è Lilla Marie, l’amica fidata, il braccio destro adibito a lavori sporchi – come sbarazzarsi dei cadaveri o eliminare i nemici –, l’insostituibile. Quella che pulisce laddove Francy deturpa, consapevole che dall’umanità “normale” non arriverà mai ammirazione né comprensione. Essere a capo di tale gang efferata la rende cosciente delle sue trasgressioni etiche, tanto che è lei la prima a crearsi degli alibi:

«Francy sapeva che molta gente – se fosse stata a conoscenza della sua attività – l’avrebbe guardata come un essere ripugnante. A volte le veniva qualche dubbio sulla legittimità di quello che faceva, ovviamente, ma quel dubbio, di solito, evaporava in fretta.

Era convinta che quanto faceva fosse buono e giusto. La gente aveva bisogno di droga e qualcuno doveva pur soddisfare quel bisogno. Chi si drogava lo faceva perché lo desiderava. Chi pensava che fosse sbagliato era anche contrario al libero arbitrio. Sì, dava dipendenza, ma una volta che uno cominciava con quella merda doveva assumersi la responsabilità delle conseguenze

[...] A Francy lo Stato non piaceva: aveva visto come si defilava, lasciando gli individui abbandonati a se stessi. Si meritava il disordine e la confusione che aveva scatenato».

La protagonista adempie ai suoi doveri non assecondando la sua doppia natura – è una dura, sì, ma in fondo ha anche un temperamento «fragile come un guscio d’uovo» - e quest’antinomia si manifesta nei suoi attacchi di panico. Non è facile dominarli, tanto più quando si è aggrediti su più fronti e quando la gestione delle sue attività – furti, truffe, estorsioni, corruzione, sfruttamento della prostituzione eccetera eccetera – si complica di alcuni misteri. Chi è Zacharias Cohn, ex ufficiale dell’esercito, adepto in Jugoslavia delle Tigri di Arcan, individuo losco e complesso, che vanta perfino studi in legge ed economia? È stato lui ad aggredirla e a lasciarle davanti a casa la testa mozzata del suo sgherro? Questo ed altri misteri attanagliano la donna, in bilico tra una stanchezza perenne, un matrimonio scricchiolante, una vita in cui c’è sempre un conto da regolare, mentre vede sgretolarsi davanti quelle che credeva essere, fino a quel giorno, le sue certezze.

Un prova molto interessante per un’autrice che rilancia con brio il thriller scandinavo, dimostrando che non è più questione di mode, ma semplicemente di belle letture.