La Cina si fa sempre più vicina, è proprio il caso di dirlo, e mentre i blockbuster statunitensi hanno da tempo rinunciato ad ogni realismo (supereroi, signori degli anelli, diavoli e matrix varie) da Hong Kong arriva un film sorprendente che raccoglie l’eredità occidentale della trama investigativa per cucinarla in una speziata salsa asiatica.

Detective Dee e il mistero della fiamma fantasma” (Di Renjie, 2010) è stato trasmesso ieri sera in anteprima al cinema Quattro Fontane di Roma (prestigiosa e insostituibile sede del cinema d’autore nella Capitale) ed arriverà nelle sale di tutta Italia il 26 agosto prossimo. Pochi altri film del celebre regista Tsui Hark (da noi spesso chiamato “lo Spielberg dell’Asia”) hanno ricevuto l’onore del grande schermo nel nostro Paese, e in generale l’attenzione dedicata a questo regista di Hong Kong comunque molto stimato si è sempre risolta in fugaci e scomodi passaggi televisivi o direttamente in home video.

Da oggi, ci sentiamo di dirlo, questo cambierà.

Coproduzione di Cina e Hong Kong, “Detective Dee” è un esperimento davvero particolarissimo: è un wuxiapian, un “film di cavalieri erranti” tipico cinese con la gente che vola e scontri alla spada, ma gli stilemi del genere sono talmente ridotti all’osso che quell’etichetta gli sta davvero stretta. È un film storico, ma alla “vera” storia il regista non sembra interessato più di tanto, quindi anche questa etichetta non sembra adatta. L’unica etichetta che sembra cogliere in pieno lo spirito del film è quella meno usata per il cinema asiatico: è una detective story.

Non solo. Ogni wuxiapian, anche il più fedele a reali eventi storici, è sempre condito da una certa dose di magia, da un gusto per il paranormale che potremmo definire rappresentativo del genere. Ma più il cinema di Hong Kong si avvicina all’Occidente - cioè una cultura profondamente contraddittoria, che ama il realismo ma lo rifugge in ogni occasione; che ama i supereroi ma non gli spadaccini volanti cinesi; che considera di serie A i combattimenti di Matrix ma quasi non considera gli “originali” a cui questi si rifanno - più questo elemento pare soccombere. Tsui Hark arriva addirittura a presentare un film da cui è bandito ogni pur vago accenno al soprannaturale, pur mantenendo fede al wuxiapian e quindi facendo svolazzare i personaggi!

Non appena sullo schermo appare qualcosa di fuori dalla realtà, quel qualcosa che in un normale wuxiapian non avrebbe forse neanche bisogno di spiegazioni, subito la storia ci mostra cosa ci sia dietro, ci sussurra cioè che è solo un’illusione, non una magia. Può sembrare un piccolo accorgimento, ma per un questo genere di Hong Kong è un passo gigantesco.

Siamo nel X secolo. In onore dell’imminente incoronazione di Wu Zetian (Carina Lau) si sta per completare una titanica statua del Buddha che farà da suggello alla presa di potere. I lavori però sono funestati da alcune morti misteriose e incredibili: persone muoiono di autocombustione. È un complotto? Sono casi isolati e del tutto avulsi dall’imminente incoronazione?

Le indagini della polizia non sembrano dare frutti, così viene mandato il Detective Dee (Andy Lau) dalla prigione dove languisce da otto anni. Egli manifestò a gran voce il suo parere negativo a che Wu Zetian prendesse la reggenza, e pagò questo affronto con il carcere duro. Ora proprio l’imperatrice ha bisogno di lui e del suo acume: lo riabilita, gli rende tutti i poteri di cui godeva e si affida a questo “Sherlock Holmes ante litteram”.

La sceneggiatura è un sorprendente mix di elementi tipicamente asiatici e tematiche proprie della detective story che non ci si aspettava di venir applicate in modo così... “occidentale”. Dee (uno strepitoso Andy Lau, attore di grandissimo valore in patria ma ancora troppo poco conosciuto da noi) incarna alla perfezione l’immagine di un Holmes asiatico, con tanto di Watson - in gonnella! - al fianco ma con intuizioni molto meno incredibili: la regia permette allo spettatore di subodorare le soluzioni dei misteri insieme a Dee, rendendolo quindi molto più umano.

Un elemento tipico di Hong Kong e che sinceramente fa sentire la sua assenza è la comicità: quand’anche si trattasse del più triste e strappalacrime film del mondo, in questa cinematografia c’è sempre un momento leggero se non addirittura comico. In “Detective Dee” è bandita ogni leggerezza: tutto è funzionale ai fini della storia e non sono permesse sbavature o distrazioni.

Tsui Hark confeziona un’opera che si può considerare un compromesso fra due cinematografie che sembravano antitetiche: non è troppo asiatica per un occidentale e non è troppo occidentale per un asiatico. Che sia il primo nato di una lunga genìa di film con entrambi i patrimoni genetici? Ce lo auguriamo, così come però ci auguriamo che Hong Kong non rinunci ad una cinematografia tipica che l’ha resa celebre nel mondo e che - malgrado molti elementi incompatibili con l’Occidente ma anche grazie a questi - vanta ancora grande consenso.