È Luciano Fioravanti, luogotenente di Domenico Menichino Tiburzi, uno dei più popolari briganti della Maremma, a raccontarci in prima persona la vita e la storia di questo leggendario personaggio che ha animato quei territori alla fine dell’800.

Terrore degli sbirri, amato dai poveri e dagli oppressi, ci viene presentato da Alessandro Angeli attraverso uno spaccato di vita vera e appassionante.

Se la letteratura ha da assolvere un compito importante, quello di riscattare storie, fatti, personaggi che sarebbero dimenticati, l’autore assolve in pieno questo compito presentandoci uno spaccato di vita di un personaggio veramente esistito, attraverso la vita turbolenta e inquieta di quel periodo.

Ci sono molti lati misteriosi nella vita del protagonista e la vicenda legata alla sua morte resta un punto oscuro che ha poi incrementato la leggenda di una ricca tradizione popolare fondata sulle sue gesta e sulle sue avventure.

Resta un senso di profonda amarezza vedere questo eroe dei vinti con il cervello spappolato. Neppure Fioravanti ci racconta esattamente come si sono svolti i fatti durante una sparatoria presso la casa colonica “Le Forane” nei pressi di Capalbio, dove Menichino ha perso la vita.

Una bella storia, che tocca, fa pensare, che non cade mai nel banale, non perde ritmo e ci tiene sospesi fino all’ultima riga. In questa straordinaria narrazione si scopre una profondità impensata, che va a scavare nel mondo torbido e moralista di quel periodo.

Commovente è il personaggio di Tiburzi grazie a un linguaggio che Angeli sa adattare alla perfezione, un vero incontro di espressione narrativa che solo nella scrittura solidifica in punti di incontro.

Le pagine di La lingua dei fossi riscattano una storia, una delle tante storie del nostro paese che andrebbero perse e sarebbero cancellate dalla memoria. Un libro veramente consigliato agli amanti di storie vere. Quando lo avrete, resta solo da accomodarsi in poltrona per goderne l’avventura.