Le vite degli altri


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MessaggioInviato: Lun 23 Apr, 2007 10:15 pm    Oggetto: Le vite degli altri   

Le vite degli altri

Leggi la recensione.
Marco Panaro
«Ospite»

MessaggioInviato: Lun 23 Apr, 2007 10:15 pm    Oggetto: Un thriller senza sale   

Ddr, anno 1984. Cronache, in chiave thriller, di un regime repressivo e illiberale, nella sua fase di disfacimento. Gli ingredienti ci sono, formalmente ineccepibili: lo spione Wiesler (Ulrich Muehe) ha gli occhi gelidi e lo sguardo impassibile. Il burocrate di partito Hempf (Thomas Thieme) è grasso, volgare e molesto. Tutti girano in Trabant, tranne il ministro che ha la Volvo.
Tutto talmente perfetto che alla fine il film s'atteggia a caricatura. Ma senza la forza dissacrante di Good By Lenin e con un angolo di visuale piuttosto ristretto: una storia di spie e artisti incupiti dalla censura, con una donna contesa a fare da tramite. Il resto della popolazione non si sa se stia bene o stia male.
La Stasi, polizia segreta del regime, intercetta tutti. Casomai non fosse chiaro, ci viene mostrato come: le microspie sono nascoste negli interruttori, i fili sotto la carta da parati, il centro di ascolto, probabilmente per risparmiare cavo, è in soffitta. D'altra parte, bisogna capirli: mancano ancora vent'anni per poter sfruttare le tecnologie Telecom - Pirelli.
La Stasi si dedica anche agli interrogatori: i metodi sono cattivi, ma non tanto. In ogni caso, non uccidono nessuno: gli oppositori e i testimoni scomodi si suicidano da soli. Vien quasi da pensare che fossero peggio i servizi della Germania occidentale: nel 1976 fan fuori Ulrike Meihnof e compagni senza pensarci troppo.
Il mondo degli artisti ribolle. Chi non s'adegua al regime viene messo ai margini. Il drammaturgo George Dreyman (Sebastian Koch) sceglie il compromesso, ma lo spiano ugualmente: sfortuna vuole che il Ministro della cultura si sia invaghito della sua compagna, l'attrice Christa Maria Sieland (Martina Gedeck). Una di cui è bene non fidarsi, sia che siate Ministro, sia che siate oppositore.
Dreyman è combattuto tra conformismo e ribellione. Litiga con l'amico contestatore, che se ne va sbattendo la porta e nella concitazione non riesce ad infilare la giacca. Woody Allen dell'est. Quando finalmente Dreyman prende coscienza, pubblica clandestinamente un articolo su Der Spigel: denuncia l'occultamento delle statistiche sui
numerosissimi suicidi. Sarebbe facile, per il regime, bloccarlo: ma ecco che lo spione tradisce, non passa le informazioni a chi di dovere. Per quale ragione non del tutto chiaro: forse è solo stufo di passare le giornate in soffitta. Il suo capo Grubitz, invece, è perfido, meschino e fedele alla linea fino all'ultimo. Ma per quanto si dia daffare, gli resta in mano solo un pugno di mosche. Chiude l'indagine che pare l'Ispettore Clouseau.
Arriva il 1989. "Good Bye Lenin!", che pure la butta in farsa, almeno ci mostra i cortei e le cariche della polizia. Qui c'informano per telefono che "stanno buttando giù il muro" (i muratori?) e ogni cosa va a posto. Nessuno è finito in galera, ché mancavan sempre le prove. Il drammaturgo superspiato pubblica la sua eroica storia e fa successo. Lo
spione, nonostante lo sguardo gelido, non riesce, chissà perché, a farsi assumere dai servizi occidentali; ma neanche finisce processato. L'ex Ministro della cultura va a teatro.
Un film che ondeggia tra il dramma, il triller e la storia. Ma nella sostanza non prende nessuna direzione.
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