Dopo 30 secondi vi verrà la pelle d'oca. Dopo 1 minuto...


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Maxime Doe
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MessaggioInviato: Dom 19 Feb, 2012 9:00 pm    Oggetto: Dopo 30 secondi vi verrà la pelle d'oca. Dopo 1 minuto...   

L'ANGELO DALLE ALI SPEZZATE "la spirale del male"
di Maxime Doe

NUOVA EDIZIONE RIVEDUTA E CORRETTA


Una misteriosa scritta “I que es la veritat?”. La Sagrada Familia. Inquietanti delitti. Un implacabile killer. Machiavellici enigmi. Un passato dimenticato.

Indice:
- Trama
- Capitolo 1
- Capitolo 2


TRAMA

Quanto tempo sei disposto ad aspettare prima di vendicarti?

Sembrava una notte come tante nel quartiere vecchio di Barcellona, ma quando l’indomani nella basilica di Santa Maria del Mar viene rinvenuto il corpo torturato e privo di vita di un prete la città sprofonda inesorabilmente in un agghiacciante incubo.
Impossibile tenere lontano i media.
Le indagini vengono affidate all’ispettore Valez, poliziotto esperto ed integerrimo dotato di un intuito fuori dal comune.
In breve tempo il misterioso killer torna spietatamente a colpire. Uccide apparentemente in maniera casuale: persone che non si conoscono vengono trovate morte in seguito ai supplizi subiti. L’assassino fa anche di più, amputa parti del corpo sempre differenti e lascia una scritta di sangue: “I que es la veritat?”
La polizia scavando in un lontano passato riporta alla luce delle terribili verità, perché le vittime sono tutte legate ad un nome. Il nome di un bambino.
Gli omicidi si susseguono senza tregua come se l'assassino avesse fretta di terminare la sua missione, come se qualcosa rimasto nascosto troppo a lungo sia finalmente uscito allo scoperto…
Il cerchio si è aperto in una spirale e fino a quando non sarà fatta giustizia, il cerchio non si chiuderà.

Dopo trenta secondi vi verrà la pelle d'oca.
Dopo un minuto avrete il cuore in gola



CAPITOLO 1

Camminava silenzioso avvolto nel suo lungo giubbotto nero di pelle attraverso gli stretti vicoli del quartiere gotico, la parte più antica di Barcellona. Una zona malfamata e violenta, popolata da sbandati e disperati pronti a tutto per una moneta.
Lui con sguardo sicuro e deciso superava un vecchio pub con l'insegna scrostata e la saracinesca mezza abbassata, poi un negozietto gestito da indiani o pakistani dove è possibile trovare di tutto. Tranne cose utili.
Camminava incrociando occhi famelici, mani tremanti in cerca d’un po' di elemosina, ma lui quella sera non poteva perdere tempo, lui quella sera aveva una missione.
La luna bucava il cielo rischiarando la città, le stelle gelose si affacciavano godendosi un po' lo spettacolo.
Un gatto nero come la notte, inseguito dalla propria ombra gli sfilò davanti. Il felino osservò guardingo l'uomo e dopo pochi secondi svanì nel nulla, come in una magia di David Copperfield.
Un uomo in piedi su un balcone mezzo diroccato, tenuto su da qualche strana legge fisica, fumava una sigaretta e nel buio sempre più fitto il puntino della brace che si accendeva ad intermittenza era simile ad un vecchio faro inghiottito dalle tenebre e dal mare nero come l'inchiostro.
Tutto era silenzioso, immobile, eppure a poche decine di metri sulle Rambla, la vita pulsava festosa.
L'aria a tratti emanava un terribile odore di marcio e se Gaudì non avesse perso troppo tempo con strani ghirigori e case improbabili e si fosse concentrato sulla fogna della città, oggi tutti gli abitanti vivreb-bero meglio e magari più a lungo.
L’uomo dopo aver percorso una serie di vicoli simili ad un labirinto sbucò in una piazza illuminata da due lampioni, completamente deserta era animata solo da un eco di una risata proveniente da chissà dove. La attraversò guardandosi attorno, quando una leggera brezza proveniente dal mare si levò improvvisamente scompigliandogli i capelli. Nonostante la primavera appena iniziata e la temperatura mite un brivido di piacere gli corse lungo la schiena.
Attraversò altre due vie identiche a tutte le altre e infine sbucò in un'altra piazza più grande di quella precedente. In fondo si ergeva in tutta la sua maestosità la Basilica di Santa Maria del Mar. La basilica nel classico stile gotico presentava sul lato ovest un rosone del ‘400 dell’incoronazione della Vergine, mentre una vetrata istoriata risalente al XV secolo illuminava la grande navata centrale e le altre navate laterali.
La figura in nero superò lentamente la piazza pregustando il momento fatale, salì i tre gradini del piazzale adiacente alla basilica e si avviò verso il portone della chiesa. Il silenzio era rotto solo dal rumore della suola di cuoio sull'asfalto, un rumore ritmico, costante, frenetico. Un rumore che era presagio di morte.
Si fermò un istante di fronte al portone di legno poi lentamente lo spinse. I cardini ben oliati non emisero alcun cigolio e nella quiete spettrale l’uomo entrò in chiesa portandosi diversi raggi di luna che erano filtrati dalla porta.
Rimase per qualche istante fermo ad osservare quella magnifica chiesa dotata di un'eccellente acustica e priva del coro e degli arredi distrutti durante la guerra civile. Lungo le pareti laterali due file di enormi colonne di marmo bianco sorreggevano l'intera struttura fatta a volte e tra le due colonne, a ridosso della navata centrale, due file di panche di legno proseguivano fino ai gradini dell'altare.
Fece qualche passo in avanti timoroso e sebbene non avesse mai avuto rispetto per Dio, cominciava a temere la sua ira per quell’imminente atto di blasfemia. Ma quella sera aveva una missione e non si sarebbe fermato.
Si sedette lungo l'ultima fila di panche e attese. Inspirò profondamente e le narici gli si riempirono del classico odore d'incenso, un odore che odiava. Per lui l'odore d'incenso e l'odore di fiori in una chiesa erano l'odore della morte.
Osservò distrattamente alcuni dipinti posti vicino ad un confessionale, erano magnifici da togliere il fiato. Opere d’arte degne di abitare in un museo e non rimanere nascoste nella casa del Signore.
Alcuni faretti illuminavano con una fredda luce l'intera basilica, un’artificiosità che privava la chiesa della sua morbida atmosfera spirituale. In fondo all'altare una croce in metallo, reggeva un Cristo a grandezza naturale. La statua in legno era finemente lavorata e sembrava che il Cristo potesse muovere il capo da un momento all'altro.
Credente contro miscredente. Miracolo contro suggestione.
Immobile e paziente rimase seduto sulla fredda panca in legno. Avrebbe aspettato, come i gatti appostati per ore accanto alle tane dei topi pronti ad azzannarli al loro primo errore.
Dopo quasi mezz'ora una porta posta vicino all'altare, alla destra della croce, si aprì e sottili raggi di luce strisciarono lungo il pavimento della basilica. Un prete curvo schiacciato dagli anni uscì, si girò e richiuse la porta. I raggi di luce furono ricacciati violentemente nel locale.
Faticosamente si avviò verso l'altare, superò due gradini come fosse un’arrampicata sull’Everest e raggiunse la croce di metallo. Si inginocchiò emettendo uno sbuffo di fatica e cominciò a pregare.
Lui lo osservò provando un senso di eccitazione misto a soddisfazione, nel notare che gli anni stavano lentamente e inesorabilmente consumando il vecchio prete.
Si alzò e lentamente si avviò lungo le due file di panche verso l'altare, pregustando il momento tanto atteso. Nel silenzio si udiva il leggero mormorio dell'ecclesiastico e il leggero ma cupo rumore dei passi di lui.
Tuhm tuhm tuhm. Simile a un tamburo che tiene il tempo delle remate in una vecchia nave da guerra.
Il prete assorto nella meditazione, non udì nulla se non la voce di Dio.
Tuhm tuhm tuhm.
Lui si avvicinava e osservava fisso il prete vestito di nero. Salì i due gradini dell'altare e dopo cinque passi si fermò dietro al pastore di Dio.
Il prete inghiottito dall'ombra di lui si voltò di scatto, emettendo un piccolo urlo strozzato pregno di paura e sorpresa.
«Alzati» gli intimò la misteriosa figura.
Faticosamente il prete si rimise in piedi.
Si guardarono silenziosamente negli occhi per un istante, poi il prete disse «Mi hai spaventato figliolo giungendomi così silenziosamente alle spalle, sai qui attorno è pieno di violenti delinquenti pronti a tutto. Già tre volte sono entrati in chiesa all'imbrunire per rubare qualche spicciolo nella cassetta delle offerte, ma dimmi, cosa posso fare per te a quest'ora della sera?».
«Cosa puoi fare tu per me? Cosa posso fare io per te. Forse non mi conosci, forse non ti ricordi di me, ma io so tutto di te. Hai vissuto nella menzogna e nella vergogna per tutti questi anni e per tutti questi anni hai pregato il tuo Dio che ti perdonasse, ma il tuo Dio non sarà in grado di assolvere i tuoi peccati. Il tuo Dio non sarà in grado di proteggerti o punirti perché io sono il tuo Dio, io sono colui che deciderà la tua sorte. Punirti o perdonarti. Il tuo passato non è meritevole di perdono e la punizione peggiore non sarebbe adeguata.
Nemmeno la morte sarebbe sufficiente per un essere come te, ma purtroppo non conosco altro rimedio che non sia la morte».
«Non capisco questi tuoi discorsi. Perché dovrei essere meritevole di tutto questo male. Perché dovrei essere meritevole di una punizione come la morte, anche se codesta non mi spaventa. Figliolo, nostro Signore ci ha donato molto di più di una vita terrena».
«Non hai paura della morte? E del dolore, di quello hai paura? Per ciò che hai fatto, non c'è morte, dolore, che possa salvare la tua anima, prete».
«Io non ti capisco. Non ho soldi, non ci sono ricchezze nella chiesa. Dimmi cosa vuoi, ti prego» disse il prete balbettando per la paura che stava crescendo in lui.
«Soldi? Ricchezze? Pensi che la vita di un uomo sia solo soldi e ricchezze? No, c'è molto di più, c'è la giustizia. Una parola che fino ad ora non ti ha mai conosciuto prete, ma che stasera ti presenterò».
«Dio misericordioso, aiutaci», disse il prete chiudendo gli occhi e facendosi il segno della croce.
«Dove conduce quella porta» disse lui, indicando il luogo dal qua-le era giunto il vecchio.
«Alla sagrestia».
«Bene, andiamo. Proseguiremo il nostro colloquio là dentro».
Il prete timoroso rimase un attimo a fissare l'uomo, poi girandosi si avviò lentamente verso la sagrestia. Provava un senso di forte disagio, ad avere alle spalle un uomo che non conosceva e che si era dimostrato poco amichevole e notevolmente strano.
In passato aveva conosciuto parecchi tipi bizzarri, ma questo era la reincarnazione del male o forse il male stesso in persona.
Si fermò di fronte alla porta e mise la mano sulla maniglia, ma prima di varcare la soglia si girò a guardare la sua chiesa osservandola come fosse la prima volta che la vedeva, o forse l'ultima.
Un forte senso di sgomento gli salì dalla punta dei piedi fino alla punta dei capelli. Poi si girò, aprì la porta, accese un interruttore posto sulla parete sinistra ed entrò.
L'uomo lo seguì e una volta entrato, chiuse la porta.
La sagrestia era un locale dalla forma quadrata, non eccessivamente grande. Al centro vi era un tavolo rettangolare di marmo con il pianale rigato dagli anni. Quattro sedie di legno, nuove rispetto al tavolo, erano poste ai quattro lati. Nella parete opposta rispetto all'entrata, vi era un camino in mattoni dall'aria molto rustica. All'interno due ceppi di legno, attendevano l'inverno per essere consumati.
Sulla parete di sinistra rispetto al camino, un armadio in legno finemente intarsiato con angeli scolpiti in varie pose troneggiava nella stanza. All'interno dell'armadio erano conservati i paramenti del prete che indossava durante le funzioni religiose. Mentre sulla parete di fronte vi era una credenza a vetri, contenente gli arredi sacri.
«Siediti là» disse l'uomo indicando la sedia a capotavola, vicino al camino.
Il prete attraversò la stanza e si sedette, dando le spalle al focolare.
L'uomo cominciò a camminare lentamente avanti e indietro per la stanza, immerso nei propri pensieri. Passarono diversi minuti e in quel silenzio raggelante, il terrore schiacciò sempre di più il cuore e la mente del prete.
Finalmente l'uomo ruppe il silenzio «In questi anni ti sei divertito, vero prete? Ma molte persone hanno sofferto per colpa tua. Molte povere anime che incrociarono sfortunatamente la tua strada sono vittime di terribili incubi».
L'uomo si infilò un paio di guanti neri di pelle, si avvicinò al camino, prese dell'alcool e ne versò un po' sopra i due ceppi. Dalla tasca del giubbotto estrasse una scatola di fiammiferi, ne accese quattro contemporaneamente e li gettò nel camino. Lentamente il fuoco prese vita e in pochi minuti avvolse i due ceppi.
«Perché lo hai acceso?» chiese il prete sospettoso.
«Ho freddo, ma presto il mio cuore si scalderà e la mia anima ot-terrà soddisfazione. Proprio non capisci, vero? Oggi il cerchio si apre. Si apre in una spirale e fino a quando non sarà fatta giustizia il cerchio non si richiuderà».
L'uomo estrasse dalla tasca una corda.
«Cosa vuoi fare con quella corda!» urlò il prete alzandosi.
Appena fu in piedi un pugno violento lo investì in pieno viso.
Il prete stramazzò al suolo, rivoli di sangue uscirono a ondate dal naso e da un taglio sul labbro. Puntellandosi con mani e ginocchia, tentò di rialzarsi ma un calcio lo colpì allo stomaco.
Il buio calò nella mente del vecchio.
L'uomo lo sollevò con una mano e come fosse una bambola di pezza lo mise a sedere sulla sedia. Il prete non opponeva più resistenza e l'uomo gli legò prima le mani dietro la schiena e poi i due piedi. Nel frattempo le poche forze abbandonarono l’ecclesiastico che rapidamente svenne.
L'uomo si avvicinò al camino prese un attizzatoio e ne incastrò la punta tra i due ceppi incandescenti, poi ritornò di fronte al religioso, guardandolo con disprezzo.
Da una tasca interna del giubbotto estrasse un tubetto di colla a presa rapida, svitò il tappo e si avvicinò al prete facendogli scivolare quattro gocce di colla sulla palpebra sinistra. Delicatamente con il dito indice gli aprì l'occhio, appiccicandogli la palpebra alla parte sottostante le sopracciglia. La stessa metodica operazione la fece per la palpebra destra.
Il prete ancora svenuto si ritrovò con gli occhi aperti, sbarrati, come avesse avuto un incontro ravvicinato con la morte. O con il mietitore di morte.
Il vecchio cominciò a muovere la testa lentamente, a breve si sarebbe svegliato.
Dalla stessa tasca da cui aveva estratto la colla, l'uomo prese una grossa graffettatrice. Impugnandola con la mano destra prese tra il pollice e l'indice della mano sinistra le due labbra del prete, facendogli assumere una buffa espressione simile a un papero vestito di nero.
Mise le due labbra nella graffettatrice e schiacciò violentemente e sadicamente. La graffetta si fece rapidamente largo nelle carni e per il prete quel violento contatto, fu come una scarica elettrica. Si svegliò improvvisamente in preda a lancinanti dolori e mentre tentava di capire cosa stesse accadendo, altre quattro graffette si tuffarono nelle avvizzite labbra.
L'uomo rimise in tasca sia la colla che la graffettatrice e facendo due passi indietro scrutò compiaciuto l'opera realizzata, come lo scultore che osserva un pezzo di legno prendere lentamente forma.
Ma l'opera dell'uomo non era ancora terminata.
Le labbra chiuse ermeticamente del prete presero a sanguinare copiosamente, sottili rivoli di sangue gli scesero lungo il collo sino a macchiargli la tonaca. Istintivamente tentò di aprire la bocca, ma sentendo la carne delle labbra lacerarsi rinunciò. Emetteva dei suoni gutturali che si perdevano però mestamente nel suo corpo.
«Non ho bisogno di ascoltare le tue inutili prediche. Non ho bisogno di sentire le tue urla per sapere che soffri. Ma ho bisogno dei tuoi occhi, devi poter vedere cosa significa far provare sofferenza. Perché tu questo lo sai, vero? La spirale è iniziata e non sarà certo il tuo Dio a fermarmi, prete».
Disse quest'ultima parola carica d'odio e disprezzo.
Lacrime cominciarono a scendere dagli occhi spalancati del vecchio, corsero lungo le guance e una volta sul collo si mischiarono ai rivoli di sangue.
«Piangi? Tu essere immondo, piangi? Non hai il diritto di piangere, è un lusso che non ti è concesso» disse piegandosi verso il prete e trovandosi viso contro viso.
L'uomo girò attorno al religioso e si avvicinò al camino, allungò una mano e prese l'attizzatoio la cui punta era incandescente.
«Piangi pure se ti va, tanto ormai nulla ha più importanza», disse osservando con un ghigno la punta rossa del ferro rovente.
Si rimise davanti all’anziano seduto, il quale appena vide l'attizzatoio cominciò a dimenarsi come in preda a una crisi epilettica.
L'uomo attese. Godeva nel sapere che il prete cominciava a capire l'epilogo di quel drammatico gioco.
«Siamo alla resa dei conti vecchio», disse l'uomo allungando lentamente l'attizzatoio verso l'occhio sinistro del prete. Quando la punta incandescente si trovò a un centimetro dall'occhio, si fermò.
Il prete come impazzito continuava a dimenarsi. Una graffetta aveva ceduto, provocando uno strappo di un centimetro lungo il labbro superiore.
«Hai detto che non temi la morte e questo posso crederlo. Ma dubito che non temi il dolore, vero vecchio?».
Allungò l'attizzatoio sempre più vicino all'occhio, sempre di più, sempre di più. Nel silenzio si udì un suono. Quello dell'occhio che friggeva al contatto con il ferro arroventato. Delle nuvolette di fumo salirono da esso e un pungente odore saturò la stanza. Dopo aver premuto l'attizzatoio per pochi secondi, lo ritrasse.
L'uomo inspirò profondamente, inebriandosi di quello strano odore. Poi ricacciò l'attizzatoio nell'occhio, questa volta più violentemente e per più tempo.
Il dolore per il prete fu insopportabile ed istintivamente cercò di aprire con forza la bocca. L’anziano emise un urlo aghiacciante mentre tutte le graffette cedevano riducendo le labbra ad un ammasso di brandelli di carne. Non resistette allo strazio e svenne nuovamente.
L'uomo non sapeva se il prete fosse svenuto o morto e non gliene importava nulla. Dopo aver rimesso l'attizzatoio nel camino, prese una sedia e si sedette di fronte al vecchio.
Il prete non era morto e dopo circa venti minuti si risvegliò gemendo. L'unico occhio ancora sano riprese vita e la prima immagine fu quella del suo aguzzino che lo fissava.
Questa volta l'uomo non perse tempo e senza dire nulla, si alzò, prese l'attizzatoio e glielo ficcò nell'occhio destro. Lo premette per più tempo e con più violenza.
Il prete emise un grido strozzato lungo alcuni secondi e poi il silenzio. Non c'era da attendere un suo risveglio, questa volta avrebbe raggiunto il suo Dio.
L'uomo osservò il viso devastato del vecchio, la bocca spappolata e le orbite degli occhi vuote.
«Non farai più del male a nessuno» furono le sintetiche parole dell’assassino.


CAPITOLO 2

Come ogni mattina la sveglia del cellulare suonò inesorabilmente, puntuale e metodica non falliva mai un appuntamento. Nella penombra della stanza Emilio Valez allungò una mano verso il comodino, afferrò il cellulare e spense quella insopportabile cantilena. Come sempre la tentazione di scaraventare il telefonino contro la parete era terribilmente forte, ma lo stipendio da poliziotto non gli consentiva di comprarne uno ogni giorno.
A fatica si mise in piedi con gli occhi ancora appiccicosi di sonno, si avviò verso la finestra e alzò le tapparelle. Sembrava una bella giornata primaverile. I raggi del sole cominciavano ad abbracciare la città e qualche nuvola striata sembrava un colpo di pennello di un pittore rinascimentale.
Aprì i vetri e una tiepida aria avvolse la stanza. Si affacciò ad osservare la strada che iniziava a prender vita e dal sesto piano del suo attico, le persone apparivano simili a tante formiche impazzite.
Le macchine, come dotate di una propria anima, comunicavano invece a colpi di clacson.
Barcellona non è tanto diversa dalle altre grandi metropoli, pensò.
Come uno zombie, con passo strisciante, si avviò in bagno. Aprì il rubinetto del lavabo e si versò un po' di acqua fredda sul viso. Improvvisamente i neuroni ripresero confidenza col cervello.
Emilio Valez aveva quarantadue anni, di cui venti passati nella polizia. Alto poco più di un metro ottanta, capelli castani con qualche striatura di bianco che piace molto alle donne. Occhi marroni e fisico tenuto in forma da piccole corse domenicali e una decente alimentazione.
Era nato a Bilbao da una famiglia di architetti, ma all'età di cinque anni si era trasferito con i genitori a Barcellona perchè ricevettero da un importante studio di architettura "un'offerta che non si poteva rifiutare", come avrebbe detto Don Vito Corleone.
I genitori avrebbero voluto che lui intraprendesse la loro stessa carriera per proseguire la tradizione di famiglia., ma come diceva sempre a sua madre "da grande voglio fare come Batman, catturare i cattivi".
Batman era il suo supereroe preferito, perché a differenza degli altri lottava, sudava e soffriva senza l'ausilio di superpoteri ma solo grazie al coraggio e a un cospicuo conto in banca.
Con i suoi risparmi Emilio Valez non poteva certo permettersi una batcaverna, ma comunque un bell'attico. Non una batmobile, ma un’Alfa 147 usata e non batarmi super tecnologiche, ma una pistola d'ordinanza della polizia di Stato di Barcellona.
Finito il liceo non perse tempo con l'università, ma sostenne l'esame di Stato per entrare in polizia. Lo superò brillantemente e iniziò un’altrettanto brillante carriera da paladino della giustizia.
Odiava due categorie di persone: i comuni criminali e i poliziotti corrotti. Anzi, odiava di più questa seconda categoria.
Si sentiva cittadino di Barcellona a tutti gli effetti. La amava e la odiava, lo rilassava e lo rendeva nevrotico. Ma non poteva restarne lontano per troppo tempo, aveva bisogno della sua aria e della sua energia.
Chiuse il rubinetto dell'acqua e si guardò allo specchio e come ogni mattina non ebbe nulla da dirsi.
Fece una rapida colazione in cucina, un caffè e due biscotti. L'orologio digitale del microonde segnava le 7.40, aveva ancora un po' di tempo prima di volare in commissariato. Quindi andò nel locale della casa che amava di più e che sentiva più suo. Il salotto.
Lì erano conservate tutte le sue passioni. Uno stereo della Philips con tre casse appese agli angoli della stanza. Una postazione computer. Un televisore 32 pollici a schermo piatto. Un lungo mobile diviso in due ripiani, quello superiore contenente una serie di libri rigorosamente ordinati per genere, quello inferiore un centinaio di CD divisi per artista. Su un tavolino accanto al mobile vi era un cofanetto in legno, nel quale conservava gelosamente l'intera discografia dei Queen. Secondo Emilio, la musica del gruppo non poteva essere mischiata tra tutti gli altri CD. Ovviamente i Queen, erano la sua più grande passione musicale.
Poi c'era il pezzo forte della collezione, un juebox anni 50. Ma non un jukebox stile anni 50, ma proprio un vecchio apparecchio avuto in eredità da uno zio. Come tale, conteneva qualche vecchio 45 giri, raccattato in vari mercatini delle pulci.
Dal salotto uscì su un piccolo terrazzo, con nel mezzo un tavolo in plastica e quattro sedie attorno. Si accese una sigaretta, si sedette e guardò con aria distratta i palazzi davanti al suo.
Dopo poco l'ambiente fu invaso dal pomposo inno dell’Espanyol, con orgoglio la sua squadra del cuore. Era la suoneria del cellulare che richiedeva la sua attenzione e sul display illuminato apparve il nome di Carolina, la donna che amava.
«Di' la verità, non riesci proprio a fare a meno di sentirmi», disse Emilio.
«Caro il mio ispettore, quello che dici può anche essere vero, ma non gongolarti troppo».
«Allora devo dedurre che dietro a questa telefonata, non vuoi solo esprimere il tuo sconfinato amore per me», chiese ironicamente Emilio.
«Pensi bene amore mio. Ho bisogno di te» disse Carolina.
«Già alle 7.45 del mattino? Vediamo se posso esaudire i tuoi desi-deri».
«La cosa è molto semplice e molto poco romantica. La mia macchina è morta».
«Capisco, ora ti mando l'agente Himenez per fare gli accertamenti del caso. Intanto chiamo la scientifica, ti prometto che l'assassino non rimarrà impunito».
«Hai poco da fare lo spiritoso. Perché ti tocca venirmi a prendere e portarmi alla redazione. Per favore», Carolina disse quelle ultime due parole con una dolcezza disarmante.
«Cosa dovrei fare io?».
«Il giornale è a dieci minuti dal commissariato, questo piccolo cambiamento di percorso non ti sconvolgerà l'esistenza».
«E va bene, ai tuoi ordini. Ma cos'è successo al tuo bolide?» chiese Emilio.
«Boh. Sono scesa ho infilato le chiavi nel cruscotto e niente, il silenzio. Forse è la batteria, forse è la centralina. Forse mi sono inventata tutto ed ho solo voglia di vederti. Scherzo, comunque dopo telefono al meccanico e sento un po' che mi dice».
«Io sono ancora mezzo nudo. Il tempo di lavarmi, vestirmi e sono da te. Per le 8.20 circa va bene?».
«Ti aspetto, grazie. A dopo».
«A dopo».
Emilio chiuse lo sportellino del cellulare e spense la sigaretta che si era nel frattempo completamente consumata nel posacenere.
Carolina aveva trentacinque anni e da otto stavano insieme.
Per Emilio ovviamente era una bellissima donna e in realtà lo era veramente. Lunghi capelli di un lucente castano le scivolavano sulle spalle. Gli occhi di un verde ipnotico. Un nasino affusolato e due labbra carnose ma non volgari, davano di lei l'immagine di una dea ammaliante. Magra ma ben proporzionata, con due seni e un sedere che era impossibile rimanerne indifferenti.
Lavorava al La Vanguardia, il più importante quotidiano di Barcellona e si occupava degli articoli alla voce: cronaca nera.
Evidentemente erano fatti l'uno per l'altra. Lui sfidava la morte, lei la intervistava.
Si erano conosciuti proprio sul lavoro, durante il caso di un padre che senza una valida ragione sterminò la propria famiglia. Moglie e tre figli.
Lei continuava a sommergerlo di telefonate per il suo articolo.
Lui continuava a mandarla al diavolo. Poi si innamorarono.
Per un periodo condivisero lo stesso tetto e lo stesso letto e il rapporto fra i due fu messo a dura prova. Il baratro del fallimento li convinse a tornare ognuno a casa propria e da due anni vivevano felici e contenti.
Una volta lavato e vestito, scese a prendere la sua Alfa 147.
Sia lui che Carolina abitavano nel quartiere Eixample e nell'arco di quindici minuti l'avrebbe raggiunta, traffico permettendo.
La sera prima trovò miracolosamente posteggio nella via in cui abitava Carrer De Xifre, quindi non dovette fare i soliti 100 km a piedi per raggiungere la macchina.
Durante il percorso una volta lasciata Carrer De Cartagena tagliò in Carrer De Mallorca, dove sorgeva l'imponente Sagrada Familia. La più grandiosa opera, tuttora in perenne costruzione, di Gaudì. Il suo nome completo era in realtà Temple de la Sagrada Familia. Nel 1883 a Gaudì fu affidato il compito di terminare i lavori di una cattedrale neogotica, iniziata un anno prima. L'artista modificò totalmente il progetto iniziale e la Chiesa divenne l'opera più importante della sua vita. Visse sul posto per sedici anni e quando morì venne sepolto nella cripta. Alla sua morte una delle torri, sulla facciata della Nativi-tà, era stata completata e altre furono terminate secondo i suoi progetti dopo la guerra civile. Ancora irrealizzata è la torre centrale che dovrà poi essere circondata da quattro grandi torri rappresentanti gli evangelisti.
Quattro torri sulla facciata della Gloria (sud) si uniranno alle quat-tro esistenti sulle facciate della Passione (ovest) e della Natività (est). Delle dodici guglie previste, una per ogni apostolo, ne esistono otto rivestite da mosaici veneziani. Si dice che la Sagrada Familia sia una sorta di libro scritto sulla pietra in cui, come in una cattedrale medievale, ogni elemento racconta un evento biblico o un aspetto della fede cristiana. Questo fu certamente l'intento di Gaudì: la sua architettura era inseparabile dal profondo senso cattolico che lo ispirava.
Il tempio è dedicato alla Sacra Famiglia e le due facciate esistenti rappresentano due passaggi chiave della Bibbia. Una è la facciata della Passione di Cristo e l'altra è la facciata della Natività. La facciata della Gloria, ancora da costruire, sarà dedicata al Giudizio Univer-sale. Sebbene le ambizioni originarie di Gaudì si fossero col tempo ridimensionate, il progetto per il completamento dell'edificio resta impressionante e unico nel suo genere.
Valez lasciata Carrer de Mallorca svoltò a sinistra in Carrer D'Ar-rago, via in cui abitava Carolina che ferma sul marciapiede lo attendeva.
«Ciao amore».
«Ciao», rispose Valez allungandosi e baciandola.
«Peggio non poteva iniziare la giornata» disse Carolina.
«Hai chiamato il meccanico?».
«Sì, ma stamattina è occupato. Nel pomeriggio lo risento, ci vedremo in serata quando rientro dal lavoro».
«Vedrai che te la rimette come nuova. Comunque sarebbe anche ora di cambiarla quella vecchia lamiera con quattro ruote. Mi stupisce che non ti abbia mai lasciato a piedi in questi ultimi anni».
«Ma io ci sono affezionata, è la mia bambina. Non posso immaginarmi senza la mia piccolina. Devono resuscitarla, costi quel che costi» disse Carolina come riferendosi ad un figlio che non aveva.
Nel frattempo raggiunsero il quartiere della città vecchia, la parte più suggestiva e caratteristica di Barcellona. Quindi superarono Placa de Catalunya, dalla quale piazza iniziava la Rambla.
Più di un chilometro di delirio puro.
È il viale più famoso della Spagna, frequentato di giorno, di sera, di notte, sempre. Edicole, gabbie di uccelli, bancarelle di fiori, musicisti, mimi e altri stravaganti artisti, animano l'ampio viale alberato.
Il nome Rambla, deriva dall'arabo Ramla, che significa "letto di fiume prosciugato". Le mura di Barcellona del XIII secolo, seguivano infatti la banchina sinistra di un corso d'acqua che scendeva dalle colline Collserola verso il mare. Sull'altra riva nel XVI secolo furono costruiti conventi, monasteri e l'Università, poi il letto del fiume fu riempito e quegli edifici vennero demoliti, ma ricordati dai nomi delle cinque Ramblas che formano il viale tra Placa de Catalunya e Port Vell.
Una volta raggiunta Ronda de Sant Antoni, Valez accostò la macchina e Carolina scese. Lì sorgeva il grosso edificio della sede di La Vanguardia.
«Pranziamo insieme oggi?» chiese Carolina.
«Se sono nei paraggi, sicuramente. Ci sentiamo più tardi ok?» disse Valez.
«Oggi non ti ho detto che ti amo», disse Carolina sorridendo.
«E io non ti ho detto anch'io. Vado altrimenti faccio tardi e non posso salvare la città dal male e dall'ingiustizia».
«A dopo mio eroe».
Valez si rituffò nel traffico caotico della città e si avviò verso il commissariato. Non era molto distante, in un quarto d'ora lo avrebbe raggiunto.
Passarono pochi minuti e l'abitacolo fu avvolto dall'inno dell'Espanyol.
«Pronto».
«Buongiorno ispettore, sono Himenez».
«Ciao Himenez. Se devi dirmi qualcosa, fra pochi minuti sono in commissariato».
«Sì ispettore, ma non sono in commissariato. Sono alla basilica de Santa Maria del Mar e penso che dovrebbe venire qui anche lei».
«Il tuo tono non fa presagire nulla di buono» disse Valez.
«Infatti ispettore. Hanno ammazzato un prete nella basilica», disse l'agente Himenez con tono preoccupato.
«Carolina diceva che peggio non poteva iniziare la giornata…».
«Scusi ispettore?».
«Niente Himenez, parlavo tra me. Dammi dieci minuti e sono lì».
«L'attendo ispettore».
Valez mise la sirena sopra il tettuccio, la accese e pigiò l'acceleratore. Il suono stridulo riempì l'aria e le fiumane di macchine davanti a lui si spostarono ai due lati della strada. Si sentì come Mosé che attraversava i due muri d'acqua.
Quando arrivò tre macchine della polizia erano parcheggiate nel piazzale della chiesa. Con difficoltà alcuni agenti cercavano di allontanare i soliti curiosi. Per la serie "circolare gente, qui non c'è nulla da vedere". Parcheggiò la macchina accanto ad una volante e vide Himenez venirgli incontro.
«Allora, spiegami un po' cos’è successo».
«Come le dicevo prima è stato trovato il cadavere di un prete, Padre Raffael».
«Chi lo ha trovato?».
«Il sagrestano, questa mattina».
«Ha visto qualcuno o sentito qualcosa?».
«Quando è arrivato il prete era già morto. Ora e in uno stato di choc, lo sarei anch'io al suo posto».
«La scientifica è stata avvertita?».
«È già all'interno a fare i rilievi».
«È stata trovata qualche traccia o qualche indizio rilevante?».
«Più che indizi rilevanti, abbiamo trovato un mare di sangue in sagrestia».
«Quindi è stato ucciso in sagrestia?».
«Possiamo presumere che sia stato ucciso in sagrestia, ma dobbiamo aspettare gli esami della scientifica».
«Cosa significa possiamo presumere che sia stato ucciso in sagre-stia».
«Beh, ecco ispettore, in realtà il corpo non è stato trovato lì».
«Quindi?», lo incalzò Valez.
«Penso ispettore che debba vedere con i propri occhi».
«Il commissario è arrivato?».
«Dovrebbe arrivare a momenti, ah eccolo» disse Himenez.
Una grossa berlina grigia si fermò dietro all'Alfa di Valez. Ne uscì Ivan Molina. Sulla sessantina, corporatura robusta e leggermente stempiato. Aveva l'aria di un vecchio veterano di guerra, in realtà era un vecchio veterano della polizia di Stato. Sosteneva di aver assistito a qualunque tipo di crimine nella sua lunga carriera. Dall'aria brusca e dura, in realtà era amato e rispettato da tutti. Valez aveva imparato molto da lui.
«Buongiorno signori» esordì il commissario.
«Buongiorno commissario».
«Dimmi tutto Himenez».
L'agente gli raccontò le stesse cose che aveva detto poco prima a Valez.
«Andiamo a dare un'occhiata Emilio» disse il commissario.
I due si avviarono verso il portone in legno della basilica. Una volta dentro si fermarono e osservarono l'interno della chiesa che appariva tranquilla e silenziosa, con aria circospetta procedettero tra le due file di panche.
La loro attenzione fu catturata da un movimento sull'altare. Osser-varono meglio e videro alcuni agenti della scientifica con delle bianche tute che spiccavano nella penombra. Dietro ad essi il commissario e Valez notarono una grossa croce con un Cristo.
Mentre si avvicinavano la scena davanti a loro si faceva sempre più chiara. Un agente in bianco stava osservando qualcosa sul pavimento dell'altare. Il corpo del prete pensò Valez.
Si avvicinarono, ma qualcosa non quadrava. Qualcosa, una sensazione, un presentimento. Si avvicinarono.
Il Cristo sulla croce aveva la testa reclinata in avanti, sembrava vero. Si avvicinarono.
Un altro agente con una macchina fotografica si posizionò davanti al Cristo e gli scattò una foto. La luce del flash illuminò per pochi istanti l'altare della chiesa. Pochi secondi, ma sufficienti a far scorrere un gelido brivido lungo la schiena di Valez e del commissario.
Il figlio di Dio sembrava vero, troppo vero.
Sulla croce davanti al Cristo in legno, c'era il corpo senza vita del prete. Polsi e caviglie legati insieme agli arti del Messia. Completa-mente nudo, solo con un paio di slip bianchi. Sembrava un manichino disarticolato. Nella quiete della chiesa la scena appariva ancora più inquietante.
Quando Valez e il commissario salirono i gradini dell'altare si accorsero di non aver notato tutto. Lo spettacolo era raccapricciante.
Il prete aveva le cavità oculari vuote e carbonizzate. Le labbra spappolate e c'era un particolare che prima non avevano osservato. I polsi del prete erano legati alla croce, ma non aveva entrambe le mani. Qualche pazzo nevrotico gli aveva tranciato di netto i due arti.
«Mio Dio» sussurrò il commissario.
«Ma quale psicopatico può commettere un crimine del genere!» disse Valez.
Un agente della scientifica si avvicinò «Commissario, ispettore. Allucinante, è davvero allucinante».
Il commissario, l'uomo che pensava di aver visto qualsiasi tipo di crimine, faticò a mantenere un tono di voce fermo «Ci sono novità o particolari sulla dinamica del delitto?» chiese.
«Quello che sappiamo per certo è che il delitto è avvenuto un po' di ore fa. Presumibilmente tra le ventitré e l'una di notte, ma l'esame autoptico ci darà maggiori certezze. Sappiamo che il prete è morto in sagrestia e successivamente portato sulla croce. Quel poveraccio deve aver sofferto le pene dell'inferno».
«È stata trovata qualche arma?» chiese Valez.
«No, per lo meno non quella utilizzata per tagliare le mani al prete. Mentre gli occhi sono stati bruciati con un attizzatoio. Lo trovate di là in sagrestia» disse indicando la porta del locale.
«Poi c'è questo» proseguì l'agente indicando col dito la zona di pavimento sotto la croce.
«La cosa comincia a piacermi sempre di meno» commentò Valez.
Sul lucido marmo davanti alla croce, c'era una grossa scritta rossa.
I QUE ES LA VERITAT?

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Ultima modifica di Maxime Doe il Lun 19 Mar, 2012 5:27 pm, modificato 1 volta in totale
Maxime Doe
Macchina di Rube Goldberg Macchina di Rube Goldberg
Messaggi: 4
MessaggioInviato: Mar 28 Feb, 2012 9:14 pm    Oggetto:   

Per la prima volta il libro ha raggiunto il 17° posto nei bestseller di amazon e il 4° posto nella categoria gialli / thriller.
Per me è piccola soddisfazione Smile
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