E’ di Filippo Pavan Bernacchi il Segretissimo in edicola a giugno: Non uccidete Bin Laden.

L’autore, vicentino, è un ex-capitano degli Alpini, paracadutista e subacqueo. Prima di lasciare l’Esercito qualche anno fa, ha partecipato a svariate missioni. Ma i suoi anni fra gli Alpini gli sono evidentemente rimasti nel sangue…

Riproponendo un esempio di collaborazione già avviato in passato, l’abbiamo intervistato per il Segretissimo Blog e la rubrica Spie nel Mirino, su thrillermagazine.it.

Filippo, benvenuto nelle pagine web del blog ufficiale della collana Segretissimo e di ThrillerMagazine…

Grazie, per me è un onore e un piacere. Spero che chi avrà la pazienza di leggere l’intervista ricavi spunti interessanti e qualche emozione vera.

Partiamo dalla più classica delle domande d’apertura: chi è Filippo Pavan Bernacchi?

Vorrei rispondere un “ragazzo”, ma essendo nato nel ’66 meglio dire, un uomo, curioso della vita e dai mille interessi. Ho praticato quasi tutti gli sport, alcuni a livello agonistico, e ho sempre cercato di impossessarmi degli strumenti per fare bella figura. Non mi è mai interessato particolarmente “vincere”, prediligendo il divertimento al risultato. E mi sono divertito molto in tutto quello che ho fatto: nel lavoro, nell’Esercito e nella vita privata. In sintesi: ottimismo, impegno, sacrificio, ma con ironia e sempre con il sorriso sulle labbra. Anche nei momenti più duri.

Quando ti sei scoperto scrittore?

I miei primi temi strampalati e fantasiosi  li ho prodotti già alle elementari. Ma l’idea di scrivere mi è venuta dopo essere uscito dal corpo degli Alpini. Ho pensato… perché non scrivo un romanzo autobiografico? Dopo un anno di lavoro, e aver prodotto le prime 100 faticose pagine, un virus informatico mi ha fatto perdere tutto. Proprio tutto. Allora non era ancora figo il termine backup. Ho passato una settimana a pensare: “Lascio perdere o ricomincio da zero?”. La risposta sono 3 romanzi, due antologie e un’altra spy-story in arrivo entro la prossima  primavera.

Quando e come nasce “Non uccidete Bin Laden”?

Ricordo che mi sono svegliato di soprassalto alle 3 di mattina e ho scritto di getto tutta la trama. La mattina dopo avevo gli occhi gonfi e arrossati ma ero felice. Questo romanzo ha la stessa matrice dei miei due romanzi precedenti (La Penna dell'Aquila e Operazione Erode). In sintesi, mi ero accorto che esisteva una folta bibliografia militare fino alla seconda guerra mondiale, mi riferisco sia alla saggistica sia ai romanzi, mentre, dal dopoguerra ad oggi si è parlato poco e, mi sia consentito, spesso male, dell'Esercito Italiano, della sua intelligence e dell'operatività. Io ho provato a colmare questa lacuna con l'occhio di un "addetto ai lavori", avendo ricoperto vari ruoli di comando operativo, conseguito vari brevetti tra cui quello di paracadutismo, di subacqueo e di tiratore combat con la pistola (quest'ultimo negli USA), e avendo alle spalle un conflitto a fuoco in Aspromonte. Il mio è stato l'addestramento tipico del fuciliere che tutti gli eserciti del mondo considerano "carne da cannone". Eppure anche i conflitti attuali, a bassa intensità ma a lunga durata, hanno dimostrato che nel teatro operativo ci vuole la fanteria, ci vogliono i fucilieri. Proprio non se ne può fare a meno per bonificare e controllare intere regioni e centri abitati. Gente che ha gli attributi quadrati per affrontare i rischi del campo di battaglia, delle imboscate, delle mine, degli sniper, degli ordigni artigianali e guardare il "nemico", magari denominato con il termine deontologicamente corretto "insorto", dritto nelle palle degli occhi. Niente a che vedere, senza voler mancare di rispetto a nessuno, con chi pilota un aereo o un drone in un ambiente climatizzato, a volte a migliaia di chilometri dai combattimenti (è il caso degli aerei senza pilota degli States). I miei personaggi sono soldati duri, determinati, ligi al dovere, ma dotati di tanta umanità e a volta scaltrezza. Uomini e donne che dormono all'addiaccio sotto zero, o si muovono in pieno giorno a oltre 40 gradi all'ombra in un ambiente talmente ostile che sopravvivono solo gli insetti, e a volte neanche quelli. Io ho voluto nel mio piccolo ridare dignità alle nostre Forze Armate che a mio avviso sono la spina dorsale della nostra democrazia. E quando ho iniziato a scrivere il mio primo lavoro, nel 1995, non è che questi concetti andassero molto di moda o fossero popolari.

Hai nominato i tuoi primi lavori… Vuoi brevemente raccontarci qualcosa in più sui due romanzi sulle antologie a cui hai contribuito, una come autore l’altra come curatore?

La Penna dell’Aquila è un “diario romanzato” e racconta il mio corso allievi ufficiali ad Aosta. Operazione Erode ruota attorno a una nuova arma nucleare che potrebbe riscrivere la storia del mondo che conosciamo. “In Punta di Vibram” è un’antologia di racconti di svariati autori, tra cui Mario Rigoni Stern, tutti ambientati nel mondo degli Alpini. In essa hanno trovato spazio dei frammenti dei miei lavori precedenti. Per “DNA Alpino”, invece, altra antologia, ho fatto il curatore. Cioè ho corretto tutti i testi, li ho rimaneggiati, ho fuso testo e immagini. Al mio fianco avevo tre amici con mansioni diverse: Maero, Di Pietro e Disertori. Il testo contiene sempre racconti di svariati autori, foto, disegni, dall’alpino al generale, che raccontano il nostro esercito dal dopoguerra ad oggi. Anche qui firme illustri: Rigoni Stern, Nelson Cenci, Giorgio Battisti, Carlo Vicentini. Per quest’antologia ho prodotto dei racconti inediti. I proventi dei miei lavori sono andati: alla ricerca sul cancro, alla fondazione Don Gnocchi per i disabili e all’Associazione Nazionale Alpini per recuperare un rifugio in alta montagna.

Torniamo a “Non uccidete Bin Laden”. Ce ne sintetizzi la trama?

Racconto la caccia e la cattura di Bin Laden. Ricatti, inseguimenti, lobby segrete, tattiche terroristiche e antiterroristiche, armi e metodologie moderne. Ma lo faccio passando attraverso il nostro esercito impegnato in Afghanistan. Il tutto con tanta, tanta, azione e un finale… da scoprire. Posso assicurarvi: non banale. E magari tra qualche hanno verrà fuori che era tutto vero!?

I protagonisti?

Un ex ufficiale dell’esercito italiano, costretto dagli eventi ad operare con una nuova identità. E un ex agente dell’FBI. I due, raccolta l’eredità di un vecchio agente segreto USA, pari a svariati milioni di dollari, invece di darsi alla pazza gioia hanno creato un piccolo ma efficiente servizio segreto privato: Grifone. Servizio che ha lo scopo di combattere il Consiglio degli Undici. Una sorta di governo ombra che governa il mondo. Avete presente la Massoneria?

Quali sono i punti di forza principali di questo romanzo?

Il ritmo, la trama complessa ma mai indecifrabile, le diverse storie che si intrecciano per poi fondersi. I personaggi verosimili perché tutti veri. E un'idea originale, inedita, cui gira attorno tutto l'intero romanzo. Per spiegarlo in una domanda: "Perché l'uomo più ricercato del pianeta, Osama bin Laden, non è stato ancora catturato o eliminato?"  Ma la forza vera del mio scritto è stato il raccontare, in modo avvincente, cosa fanno i nostri ragazzi nelle missioni di Pace, cui sarebbe meglio cambiare nome perché fuorviante. Sono invece, a mio modo di vedere, missioni di polizia internazionale volte a stabilizzare alcune aree critiche per riconsegnarle, poi, alla pace e alla democrazia. Ammesso che la democrazia sia un concetto esportabile in ogni angolo del globo. Ma questo, come si suol dire, è un altro film. Il mio lavoro vorrebbe penetrare i segreti dell'Islam, il passaggio dalla leva al professionismo, l'inserimento nei nostri reggimenti delle donne, i meandri inconfessabili del terrorismo internazionale, il flagello delle mine, disseminate in milioni di esemplari, le regole d'ingaggio talvolta assurde. Ma il tutto divertendo e appassionando il lettore. Mantenendo fede, in una parola, al genere "romanzo". Queste cose le posso scrivere perché nella mia carriera di scrittore ho ricevuto oramai centinaia di lettere e mail, e nella maggior parte si esprimevano questi concetti. A onor del vero ne ho ricevute anche alcune di insulti ma fa parte del gioco.

Presumo che, alla base delle tue scelte di genere come autore ci sia, oltre all’esperienza diretta maturata durante gli anni quale ufficiale degli Alpini, anche una passione di lettore. Qual è dunque il tuo rapporto con la spy fiction?

Io fin da ragazzo ho sempre letto molto. Saggi, romanzi, ho divorato di tutto. E ho sempre tenuto una media di tre libri al mese. Sono stato e sono un lettore accanito, appassionato. Leggo però un libro per volta, non mi piace fare zapping.

Di solito mi sforzo di terminare anche i libri che non mi convincono e quelli che ho abbandonato prima dell'ultima pagina li posso contare sulle dita di una mano di capitano Uncino. I miei preferiti? Romanzi, romanzi, romanzi. Wilburn Smith, Ken Follet, Frederick Forsyth, Alan D. Altieri, ma anche Jeffery Deaver, Lincoln Child, Douglas Preston e tanti, tanti altri ancora. I romanzi mi hanno fatto vivere tante vite parallele e mi hanno arricchito come persona.

Segretissimo è una collana con cinquant’anni alle spalle. Sei un suo lettore? Come hai accolto l’opportunità di questa riedizione per il pubblico dell’edicola?

Tutta la collana Segretissimo l'ho letta da "portoghese", ossia chiedendo di volta in volta a un mio amico che era abbonato di prestarmi il romanzo del momento. A volte sfilandoglieli senza che se ne accorgesse per poi rimetterli al proprio posto. Opss. Forse questa cosa era meglio non la dicessi. Comunque li ho divorati quasi tutti senza però conoscere le dinamiche della collana. Con leggerezza, come tante volte accade quando si fanno le cose per divertimento e non per lavoro. Essere pubblicato in questa collana per me è un sogno che si realizza. E' il premio per le migliaia di ore chino a digitare su una tastiera mentre la mente spaziava libera. Per averci sempre creduto. Per non essermi mai arreso. Per aver subito attacchi da chi non sopporta i militari e i valori nei quali credono. Pensi che un assessore alla cultura di un paese dove avrei dovuto presentare le mie opere mi ha detto nel suo ufficio: "Ma scherziamo, lei qui i suo libri non li presenterà mai. M A I. Io sono un pacifista". Stessa cosa in un museo che al suo interno ospita questo tipo di eventi. Il suo direttore mi ha fatto sapere che essendo contrario all'uso della forza non si poteva fare. E il museo, pensate, ha un'ala dedicata ad armature, spade, picche, mazze ferrate. Ma forse nell'antichità con quegli attrezzi ci piantavano i gerani. Lascio ai lettori ogni commento in merito. Ma, d'altronde, può una persona che è stata formata a non mollare mai, arrendersi davanti al muro dell'editoria, del pregiudizio o dell'indifferenza? La risposta sta nell'essere approdato, anche con un pizzico di fortuna, a Mondadori. D'altronde anche sul campo di battaglia se si è nel posto sbagliato al momento sbagliato si può venire disintegrati da un colpo di mortaio. Il fattore c, che sta per "culo", non è determinante ma aiuta.

Ho apprezzato nel tuo romanzo una posizione decisamente netta contro l’uso delle mine, giudicate non uno strumento di guerra al nemico, bensì di strage di civili…

E’ così. Le mine sono armi sleali e malvagie che colpiscono soprattutto i civili. Sono studiate, le anti-uomo, non per uccidere ma per mutilare. Perché prendersi carico di un invalido costa molto di più a un Paese in guerra, che un funerale, inoltre perdere le mani o una gamba per molti è peggio della morte. E quindi: effetto psicologico indotto.  Le mine colpiscono indiscriminatamente donne e i bambini, anche decine d’anni dopo che la guerra si è conclusa. E sminare un territorio ha costi proibitivi e ci vogliono tempi biblici. Sono bandite dalle convenzioni internazionali eppure ci sono paesi che ne sono infestati. E c’è ancora chi le piazza o le semina da aerei o elicotteri. E chi le produce, naturalmente. Alcune sono costruite a forma di giocattolo o di penna proprio per attirare i bambini… Capite che qualunque persona di buon senso è contraria a questi strumenti barbari, stupidi e iniqui. La guerra, la guerriglia e il terrorismo non dovrebbero toccare i civili: mai.

Anche se ci sono, secondo copione di una linea di format, i “buoni” e i “cattivi”, i tuoi protagonisti stanno attenti ad identificare il nemico per le sue azioni o accertate intenzioni, non per cultura o religione, in modo perniciosamente generalista…

E’ vero. Ci sono i “buoni” e i “cattivi” ma a volte i lupi sono travestiti da agnelli e viceversa. I miei “buoni” stanno attenti a non produrre “effetti collaterali” come la morte di innocenti perché hanno senso dell’onore e della giustizia. I “cattivi” invece sono pronti a qualunque genere di violenza verso l’intero genere umano. Per questi ultimi il “fine giustifica i mezzi”, sempre e comunque.

Per un bravo autore di spy thriller la conoscenza della geopolitica è assolutamente fondamentale. Una preparazione che impone serietà e impegno, e che non si improvvisa. Sei d’accordo?

E’ fondamentale. Io sono appassionato di geopolitica e mi tengo sempre aggiornato. Se si vuole produrre delle belle storie bisogna studiare molto ma, nel contempo, non ammorbare il lettore con nozioni enciclopediche. Bisogna saper dosare le conoscenze acquisite. Altrimenti è meglio abbandonare i romanzi e passare ai seriosi saggi.

Parliamo degli aspetti tecnico-bellici, in particolare per quanto riguarda la precisione su armamenti, denominazioni e altro. Tra aficionados ed estimatori, su un estremo del range di lettori di spy fiction troviamo fruitori molto attenti ed esigenti su questi punti. Dall’altro lato, lettori che, guardando prettamente al patto evasivo, possono trovare noioso un eccesso di dovizia nei dettagli tecnici. Nel mezzo, con vari approcci, tutti gli altri.

Come scrittore con una competenza da ex-militare, ti trovi mai in difficoltà a dosare gli ingredienti in modo che risultino equilibrati?

La difficoltà c’è ma io sono un pragmatico e quindi credo di aver trovato la giusta misura. Mi ci sono applicato molto perché bisogna avere il coraggio di autocensurarsi. Stephen King parla di “uccidere i propri bambini” rispetto a un autore che interviene sul proprio lavoro cercando di asciugarlo e renderlo più snello. Il segreto è scrivere in ottica lettore. Non tutti ce la fanno: lo dico da lettore.

Abbiamo canonicamente aperto l’intervista con la tua biografia, chiudiamo in modo altrettanto classico chiedendoti notizie dei tuoi lavori in progress e dei progetti per il futuro…

Sto lavorando a un nuovo romanzo militare. Una spy-story che inizia con un duello all’ultimo sangue tra contractors, i nuovo mercenari, in una landa desolata afghana. Poi iniziano le indagini per uno strano delitto in una base militare italiana all’estero e, seguendo gli indizi si scopre che… Posso solo assicurare una cosa: è una storia originale e non scontata.

Filippo, grazie. A te l’ultimo caricatore: usalo per salutare i lettori del Segretissimo Blog e di ThillerMagazine…

Se leggete questo saluto vuol dire che avete avuto la pazienza di arrivare alla fine. Solo per questo, quando e se ci incontreremo, offro da bere a tutti. Buona lettura e, se vi va, fatemi avere i vostri commenti scrivendo a filippo@pavanbernacchi.it