Hugh Flavell, facoltoso ex professore di economia, due volte vedovo, non approvava la decisione di sua figlia Eve di aprire un negozio dopo il college, così Eve aveva lasciato la residenza di famiglia in Henderson Square, a Manhattan, e realizzato il suo progetto. Quattro anni dopo, in un freddo pomeriggio di dicembre, la giovane fa ritorno a casa per annunciare le sue nozze imminenti. La famiglia accoglie bene la notizia, soprattutto la sorellastra Natalie, che nutre per Eve un affetto sincero. Quello che Natalie non sa è che fra il proprio fidanzato, il tenente dell’aviazione Bruce Cunningham, e sua sorella tempo prima era nato un sentimento che i due avevano soffocato per il suo bene. L’unica ad averlo capito è Charlotte Foy, la zia di Eve, che dopo l’annuncio del matrimonio riceve una misteriosa telefonata e decide di partire per Boston l’indomani. Ma poche ore dopo, nel parco di fronte all’abitazione, viene uccisa da un colpo d’arma da fuoco. E non è che l’inizio. Una macchia marrone su un tappeto, un frammento di una foto, una sacca da golf, un paio di scarpe nuove da uomo, una piccola perla rosa sono solo alcuni degli elementi di cui l’ispettore McKee della Squadra Omicidi di Manhattan dovrà capire il senso per trovare il colpevole di un delitto quasi perfetto. Sì, perché in questo giallo del 1944 l’assassino non se la cava per un soffio.

La porta socchiusa di Helen Reilly (Polillo Editore, “I bassotti” n. 82) - Pagine: 256 - € 13,90 - ISBN: 978-88-8154-341-0 - Traduzione di Marisa Castino Bado

Helen Reilly (1891-1962), nata a New York da una famiglia benestante – il padre era il presidente di un prestigioso istituto scolastico per ragazze – iniziò a scrivere mystery su suggerimento di un amico di famiglia, lo scrittore William McFee. Il primo romanzo, The Diamond Feather (1930) aveva come protagonista Christopher McKee, un ispettore di polizia di origini scozzesi della Squadra Omicidi di Manhattan, così chiamato in onore del suo mentore. Abbandonato nelle due opere successive, McKee ricomparve nel 1931 in Murder in the Mews e in altri 29 libri di cui McKee of Centre Street (1934) fu quello che diede alla Reilly la definitiva consacrazione. I romanzi di questa autrice – in tutto 38 di cui 3 utilizzando lo pseudonimo di Kieran Abbey – hanno caratteristiche miste: in molti l’aspetto femminile-romantico, con la classica eroina in pericolo, ha una parte fondamentale nella storia, in altri invece è la forma procedurale, con il lavoro dell’ispettore e dei suoi uomini, che viene messa in primo piano. La porta socchiusa (The Opening Door), come già Tre donne in abito da sera (1941, I bassotti n. 44), è una delle sue opere più riuscite. Eletta presidente dei Mystery Writers of America nel 1953, la Reilly ha avuto quattro figlie due delle quali, Mary McMullen e Ursula Curtiss, sono affermate scrittrici di gialli.Mr Goldspink aveva 59 anni, era scapolo e sembrava godere di ottima salute quando, il 28 ottobre, era morto all’improvviso davanti al banco della sua merceria. L’autopsia aveva determinato la causa del decesso: avvelenamento da cianuro. Il suicidio era da escludere, conoscendo la vittima, e allora non rimaneva che l’omicidio anche se pareva impossibile nella tranquilla cittadina australiana di Broken Hill. Ma pochi mesi dopo, il 23 dicembre, il fatto si ripete: in un bar della strada principale, un avventore si piega di colpo all’indietro, cade, fracassando un tavolino alle sue spalle, e muore. Quando il tè che stava bevendo viene esaminato, rivela tracce di cianuro. Indizi? Nessuno. Qualcosa da segnalare? Be’, sì. In entrambe le circostanze una donna anziana con una strana borsa era stata vista vicino ai due uomini, ma al momento della morte era già scomparsa. E poi c’è il fatto che anche la seconda vittima, Mr Parsons, era uno scapolo di una certa età. Incuriosito dai due casi, l’ispettore Napoleon Bonaparte della polizia del Queensland chiede una licenza per dare una mano ai colleghi di Broken Hill. Ma la situazione si complica quando, poco dopo il suo arrivo, viene commesso un terzo delitto. E la vittima, naturalmente, è uno scapolo di una certa età avvelenato con il cianuro. Da un celebre maestro del giallo classico, un originale mystery (1950) ambientato agli antipodi.

Gli scapoli di Broken Hill di Arthur Upfield (Polillo Editore, "I bassotti” n. 84) - Pagine: 272 - € 13,90 - ISBN: 978-88-8154-353-3 - Traduzione di Gabriella Drudi

Arthur [William] Upfield (1890-1964), nato a Gosport, in Inghilterra, all’età di 20 anni per volere del padre andò in Australia in cerca di fortuna. Al suo arrivo nel 1911, fu subito affascinato dall’ambiente selvaggio del bush e dalla cultura aborigena e si adattò a fare qualsiasi mestiere, dal mandriano al cuoco, dal minatore al guardiano di pecore. Allo scoppio del primo conflitto si arruolò e combatté a Gallipoli, in Egitto e in Francia. Rientrato nel 1920 nella sua patria d’adozione, tornò a lavorare nel bush, dove prese a coltivare l’antica passione per la scrittura. Dopo una serie di articoli per una rivista, riuscì a vendere il suo primo mystery, The House of Cain, a un editore londinese che lo pubblicò nel 1928 e gliene commissionò altri tre. Rielaborando il romanzo successivo, The Barrakee Mystery (1929), Upfield inserì al posto dell’investigatore bianco della stesura originaria il famoso personaggio dell’ispettore Bonaparte, ispirato a un suo amico mezzo aborigeno. Fra gli altri ventotto gialli di cui è protagonista e che diedero all’autore fama internazionale, particolarmente degni di nota sono Mr. Jelly’s Business (1937), il primo ad avere un’edizione americana, The Bachelors of Broken Hill (Gli scapoli di Broken Hill), che forse è il più conosciuto, e Death of a Lake (1954).