Tre giorni.

Questo è il margine di tempo che viene concesso dallo sceriffo Ziska a Benyamin Ben Akiva, quinto servitore del ghetto di Praga, per risolvere il mistero dell'omicidio di una bambina cristiana, e così salvare non solo una famiglia da un'accusa motivata solo da odio irrazionale e da una "comoda" presunzione di colpa, ma anche l'intera comunità ebraica da una probabile ondata di violenza e sterminio antisemita.

Le difficoltà sul cammino di Benyamin verso la verità e la salvezza comune sono enormi. E' un polacco, quindi straniero in terra straniera, non fosse per il legame sovranazionale del popolo ebraico, che peraltro si rivela non privo di zone d'ombra e incomprensioni. Non conosce ancora a sufficienza Praga, perché si è appena insediato nell'incarico di servitore della sinagoga. I cristiani guardano agli ebrei con rancoroso sospetto e aperta ostilità, mentre questi trovano protezione e orgoglio tra le mura di una fede complessa, che spesso viene letta come stregoneria.

Benyamin si muove in un tempo e in luogo in cui gli omicidi non reclamano giustizia, bensì vendetta. In cui il raziocinio (e la possibilità di usarlo) è appannaggio di pochi, quando addirittura non viene chiamato "eresia" da qualche religione o corrente teologica. Il cuore dell'Europa è percorso da letali fratture nella cristianità attorno alla quale si coagulano grevi incertezze politiche e sociali: quelle stesse che nell’arco di pochi decenni imploderanno nell'inferno della Guerra dei Trent'Anni.

Nel 1592 Praga è da nove anni la capitale dell'Impero. Rodolfo II, l'imperatore, non attua una politica avversa agli ebrei, anzi: sensibile forse anche ai contributi che la comunità versa alla corona, è in buoni rapporti con essa e soprattutto con il suo rappresentante più di spicco, il rabbino Low. Ma Rodolfo è anche un sovrano psicologicamente instabile, che giorno per giorno appare sempre più lontano dal mondo reale, rinchiuso com'è nel castello di Hradschin, sulla collina Hradcany, dove pare concentrarsi più sulla sua passione per le arti e sulle sue pulsioni per le scienze occulte che non al buon governo.

Le possibilità di riuscita Benyamin sono insomma meno che esigue. Nella sua lotta per la sopravvivenza sarà sostenuto dalla forza della sua fede (che egli vive profondamente, ma rifiutando il fanatismo e la cecità), dalla sua perspicacia e volontà, dalla caparbietà, ma anche dalla sorte e dall'aiuto di alcuni individui, tra cui lo storico rabbino Low (colui al quale le leggende accreditano la creazione del Golem).

Tutto ciò, e altro, viene raccontato nel romanzo Il quinto servitore, di Kenneth Wishnia, da poco pubblicato in Italia da Longanesi. Un libro che accoglie in sé tutte le qualità di un buon giallo, di un ottimo romanzo storico e di un intrigante testo, quasi "divulgativo", sulla teologia e sulla società ebraica della fine del sedicesimo secolo. Una lettura che richiede un minimo di attenzione in più rispetto a molta narrativa evasiva proposta in libreria, ricca di descrizioni attente ai particolari e di dialoghi di rilievo, ma che rispetta sagacemente i parametri di ritmo e di coinvolgimento di un mistery.

Il quinto servitore costituisce l'esordio nella narrativa storica di Kenneth Wishnia, un autore americano già affermato nel thriller. Il suo vero nome è Kja Wishnia, e come tale ha pubblicato i suoi libri precedenti. E' nato nel New Hampshire. Ha studiato Letteratura e Cinema alla Brown University e alla San Francisco State Univesity, e arti visive alla Rhode Island School of Design. Ha conseguito il dottorato in letterature comparate. Vive e lavora a New York. Insegna letteratura e scrittura creativa. E' un esperto di storia e cultura ebraica, competenza che si può ampiamente apprezzare proprio in questo libro. Il suo primo romanzo è stato 23 Shades of Black, candidato al premio Edgar, con il quale ha inaugurato la serie gialla di "Filomena Buscarsela", che allo stato attuale consta di cinque titoli.

Chiudiamo, come consuetudine, con la quarta di copertina:

"Un grido squarcia il velo della notte. È un nome ripetuto ossessivamente per le strade di Praga da una voce disperata. Il nome di una vittima. È una bambina. È cristiana. Ed è stata sgozzata il Venerdì santo del 1592. Il suo corpo dissanguato viene rinvenuto in una bottega ebraica. Benyamin Ben Akiva, quinto servitore del ghetto, si precipita sulla scena del crimine per far luce sull'accaduto, ma le cose si mettono subito malissimo. La folla reclama a gran voce una punizione esemplare che metta fine una volta per tutte alle sordide pratiche giudaiche: «Ogni anno gli ebrei ammazzano un cristiano per mescolarne il sangue al loro maledetto pane pasquale». Il proprietario della bottega finisce in catene con l'accusa di omicidio rituale, mentre la moglie e la figlia vengono affidate alle "cure" del vescovo Stempfel, l'inquisitore appena giunto in Boemia per estirpare la malapianta della stregoneria. E questa volta nemmeno la protezione dell'imperatore Rodolfo salverà gli ebrei dalla furia vendicatrice della popolazione cristiana.

Benyamin ha solo tre giorni di tempo per trovare il vero colpevole e consegnarlo alle autorità, altrimenti il ghetto sarà raso al suolo. Perché salvare la vita del bottegaio vuol dire salvare tutto il suo popolo. Le sue uniche armi sono la sottile arte del ragionamento e la millenaria sapienza ereditata dai tanti rabbini che l'hanno preceduto. Ma nei meandri del ghetto si aggira una realtà ben più cruda dello spettro antisemita.

Kenneth Wishnia – Il quinto servitore (The Fifth Servant, 2010). Traduzione Elisabetta Valdrè. La Gaja Scienza, Longanesi. Pag. 494. Euro 19,60.