Tre sono i grandi shock culturali sui quali si è fondata la cultura americana : la fuga dei padri pellegrini che lasciarono l’Europa in cerca di un futuro, lo sterminio delle popolazioni indiane che li accolsero sulle loro terre e la tratta degli schiavi che fornì loro la base economica sulla quale costruire un impero. Questi tre elementi, tra loro così radicalmente diversi, sono accomunati da una stessa conseguenza : l’attivazione di un complesso di colpa che è estremamente difficile estirpare.

I padri pellegrini arrivavano sul suolo americano già marchiati col segno rosso dell’eresia e vivevano la loro dimensione religiosa come se questa fosse a prescindere una macchia da lavare. La fede nella grazia e nel Paradiso si scontravano in paradosso con l’idea incrollabile che il Dio che guarda i mortali da lassù è soprattutto vendicativo e crudele. Cantando a messa preferivano intonare il Dies Irae piuttosto che il Benedictus. La loro vita religiosa si fondava sul terrore che era vissuto in chiave positiva : spaventare per obbligare il fedele a rendersi conto delle sue colpe, paventare l’Inferno per far desiderare il Paradiso. La prima chiave dell’horror è già tutta qui : in questi piccoli uomini che provavano sgomento di fronte alla wilderness dei boschi nei quali ancora vivevano gli indiani in pace con il creato. Per loro gli stessi indigeni erano figure archetipiche di una tentazione e perdersi nel bosco equivaleva a perdersi nelle meraviglie del sesso, nella lussuria di una Natura non domata e forte.

Ed è proprio in questa eccitazione per il proibito che si ravvisa la seconda chiave che apre le porte all’horror. Ben prima degli slasher il sesso è già qualcosa di desiderabile e di assolutamente censurabile. Concedervisi significa provare l’ebrezza di un attimo di passione, ma anche aprire la porta al mostro col coltello che è pronto a fare scempio delle nostre carni.

Da questo inizio all’oggi dei remake di un cinema horror che fu c’è soprattutto tanto sangue. Ma non quello delle pellicole, bensì quello delle stragi degli indiani, della guerra di secessione e delle tante guerre che, subito dopo, si sarebbero celebrate fuori dei territori americani, in un vecchio continente affascinante, ma anche malevolo dal quale non potevano che venire vampiri come Dracula o abomini come L’Uomo lupo. L’alterità prendeva forma nel mostruoso e la salvezza stava tutta nel modello americano, fonte di ogni bene a fronte delle ambiguità di un mondo con troppo passato.

Ma la cultura americana resta troppo imbevuta di pensiero apocalittico, laddove l’Apocalisse non è intesa più come rivelazione, ma come fine dell’ordine costituito, come morte del Mondo conosciuto. L’America vive sulle proprie spalle la paura per il futuro e il fatto che nel passato ci siano soprattutto colpe non lascia intravedere altro che nuvole di tempesta all’orizzonte. Le stesse che chiudono in gloria il più cristologico degli incubi cinematografici : Terminator di James Cameron.

Tra ansia di evoluzionismo e desiderio di creazionismo, l’uomo medio americano vive imbevuto di religione. Anche quando si professa ateo. E la religione è davvero il “sangue che irrora e nutre l’America” come dice Roberto Curti nell’introduzione del pregevolissimo Demoni e Dei, edito da Lindau.

Sondare l’horror attraverso la lente della religione è impresa meritoria e disperata. Perché la maggior parte del cinema americano è horror per definizione, perché si porta impresso anche nelle scene della quotidianità più esemplare, le tare di una visione apocalittica che va oltre le intenzioni degli autori.

Curti si cimenta nell’impresa e consegna alle stampe un volume che ha dell’incredibile. La mole di riferimenti, la puntualità dell’apparato bibliografico, la ricchezza degli spunti e la limpidezza delle argomentazioni si fondono nel fuoco vivo di una passione per l’argomento che rende le oltre cinquecento pagine di cui è composto il volume di una bellezza stupefacente.

L’occhio del saggista affonda nelle contraddizioni della realtà americana con la precisione di un bisturi rimodellando il già noto in chiave inedita e scoprendo dettagli assolutamente sconosciuti come la carriera di Ron Ormond che non sveliamo in questa sede per convincervi a leggervi il libro.

La cosa davvero impressionante è che l’acutezza dell’analisi non viene meno neanche quando si arriva ai giorni nostri e si affronta il cinema ancora frainteso di Shyamalan o gli esiti estremi e ancor troppo avveniristici del cinema di Romero.

Insomma un libro davvero notevole che dovrebbe stare in bella mostra sullo scaffale di ogni vero cinefilo.

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