Etica professionale

Danny Fumoso era il suo nome d'arte.

Ma, per tutti, lui era "il rattoppatore", colui che risolveva situazioni ingarbugliate con un semplice gesto.

Lo contattavano da tutta Italia: donne, uomini, politici e professionisti, ognuno bisognoso di un servizio, di una toppa da mettere da qualche parte, più o meno costosa, più o meno sgargiante.

Danny Fumoso sceglieva l'ago più adatto: una corda, un coltello, dei freni manomessi, una tanica di benzina. Per ogni problema c'era la sua brava soluzione e il rammendo più consono.

Era così abile nel proprio mestiere da non aver mai fallito: il suo conto in banca - declinato al plurale e sparso in vari angoli del globo - e la libertà di cui godeva ne erano la prova tangibile.

La passione muoveva la sua mente: un macchinario perfetto che concepiva piani machiavellici, un gioco di scatole cinesi, una concatenazione perfetta di eventi così distanti tra loro, che rendeva impossibile a chi di dovere arrivare alla fonte, o anche solo di pensare alla parola assassinio.

Alla soglia dei cinquant'anni, Danny Fumoso non aveva perso un briciolo dell'agilità fisica e mentale che avevano fatto di lui il miglior killer su commissione.

La donna sedeva al tavolo del bar.

Poteva avere la sua età, o una decina d'anni in più, o una in meno.

Non faceva differenza: non doveva mai essere stata bella.

Di sicuro la sciatteria non era un buon rimedio.

- Questi sono per lei. È un acconto, ovviamente.

Danny Fumoso rimase immobile.

- Non accetto a scatala chiusa, signora - disse.

- Provi a guardare nella busta - rincarò lei, spingendo l'incarto sul tavolo.

- Non è così che funziona. Prima parliamo, poi decido.

- Come crede.

Per mezz'ora, la donna accompagnò le parole con gesti misurati, mentre Danny Fumoso immagazzinava informazioni; ogni tanto la interrompeva, per fare qualche domanda, poi la donna riprendeva, tranquilla, a dipingere il quadro delle sua vita.

Alla fine, Danny Fumoso allungò la mano sulla busta.

Dieci giorni dopo, il meccanismo per la risoluzione della faccenda era già in funzione.

Nulla di che, a dire il vero, così come non era particolarmente originale il caso di cui doveva occuparsi.

Era, in sostanza, la solita storia della moglie tutta casa, famiglia e devozione, che a un certo punto della vita aveva sentito l'esigenza di trasformarsi in qualcos'altro.

Cosa, Danny Fumoso non avrebbe saputo dire e poco gli interessava.

La sua funzione nella storia era un'altra: togliere di mezzo il marito malato. E facoltoso, naturalmente.

Alle diciotto di un piovoso martedì, la signora Regina, madre della sua datrice di lavoro, scivolò per le scale della propria abitazione, rompendosi il femore.

Alle diciannove di quello stesso giorno, Marina Righetti, infermiera professionale, ebbe un incidente di macchina, probabilmente a causa dell'asfalto viscido.

Alle diciannove e trenta, Danny Fumoso, etereo come un'ombra,  entrò nel desolato appartamento di via Marche.

Con le due donne impegnate altrove, togliere di mezzo l'uomo sarebbe stata cosa veloce. Provocare un infarto era la sua specialità. Avrebbero concluso che aveva scelto la sera sbagliata per avere un malore.

Fumoso s'inoltrò nell'appartamento.

Registrò l'odore  di disinfettante e medicinali.

Il soggiorno era stato trasformato in una enorme camera d'ospedale: lucine rosse e blu lampeggiavano nella semioscurità, tra il ronzio dei macchinari e lo sbuffo di un respiratore artificiale.

Danny Fumoso seguì con lo sguardo la cannula, fino ad arrestarsi alla gola dell'uomo, poi salì con lo sguardo e incontrò due occhi vividi, affondati in una faccia dai muscoli rilassati e immobile, come il resto del corpo.

Poi, un ticchettio lo costrinse a voltare il capo: su un monitor, stava comparendo una scritta.

"Faccia in fretta, la prego." diceva.

Danny Fumoso sentì un fremito di sdegno.

Veloce, estrasse una busta dall'impermeabile, e l'abbandonò sul letto.

Poi s'incamminò verso  l'uscita.

Aveva ucciso conto per terzi per odio, denaro, gelosia.

Ma  per amore no, non poteva:  non era deolontogicamente corretto.