"Ma quale censura? Gli artisti godono di una grande libertà in Cina". Così la signora Tie Ning risponde alle domande dei giornalisti alla Fiera del libro di Francoforte. L'ospite d'onore quest'anno è stata la Cina e Tie è il presidente dell'Associazione degli scrittori cinesi, il che significa che rappresenta il totale dei quasi novemila autori che ricevono il sussidio statale.

La questione non è proprio in questi termini considerato il fatto che il celeste impero, ogni anno, ritira dalle sue librerie circa seicento titoli. Sì, perché a differenza dei film, dove le sceneggiature devono ricevere l'approvazione prima di tradursi in lungometraggi, i libri vengono censurati solo dopo la pubblicazione e, una volta banditi, non ci sono obiezioni che valgano.

Lo scrittore Yan Lianke, di cui in Italia è edito Servire il popolo, racconta che il suo ultimo libro è stato nelle librerie cinesi per ben tre giorni. Poi improvvisamente è stato proibito, gli editori hanno dovuto ritirare tutte le copie e si sono rivalsi sull'autore per le perdite subite. Il nuovo libro, Dream of Ding Village (2006), trae spunto da uno scandalo degli anni '90: la vendita di sangue infetto nello Henan che ebbe come epilogo decine di migliaia di cinesi affetti da HIV. Non era difficile prevedere che non sarebbe stato accolto con gioia dalle autorità.

Non è detto, bisogna sempre tentare. Yu Hua racconta che lui è stato fortunato. Il suo ultimo romanzo Brother, narra la storia di Li Testapelata, uno zotico senza scrupoli che diverrà milionario, e suo fratello Song Gang, malinconico letterato che non riesce ad adeguarsi ai cambiamenti della società. I due si fanno forza l'un l'altro negli anni deliranti della rivoluzione culturale per poi dividersi irrimediabilmente sul valore dei soldi. "Arricchirsi è glorioso!", gridava in quel periodo Deng Xiaoping, ma a quale prezzo?

Brother ha venduto in Cina un milione e mezzo di copie solo perché è stato pubblicato al momento giusto. "Pochi mesi prima o pochi mesi dopo e il mio libro non sarebbe mai apparso in Cina", rivela allegramente Yu. Quando è stato pubblicato era appena morta la vedova di un personaggio politico molto influente, lei era stata una vittima illustre della rivoluzione culturale e in quel momento i censori aspettavano nuove direttive sull'argomento.

Gli scrittori più giovani, quelli che negli anni di Tiananmen erano troppo piccoli per capire, sono per lo più interessati ad altro e il rischio censura non li sfiora nemmeno. Un esempio è il ventiseienne Guo Jingming, che scrive della sua vita e dei suoi amori. Individualismo e capitalismo sono le sue parole d'ordine, gli altri restino pure a guardare. Scrive da quando ha diciotto anni e oggi è un ricco a cui piace sfoggiare la sua ricchezza. Vive tra Pechino e Shanghai e in ognuna delle due città ha un appartamento e una macchina di grande cilindrata con autista. "La politica non mi interessa", afferma. Come dargli torto?

"Trent'anni fa gli scrittori sgraditi erano torturati e uccisi. Quindici anni fa, quando un mio romanzo fu bandito, per sei mesi dovetti recarmi regolarmente agli uffici competenti per scrivere un'autocritica. Oggi nessuno interferisce con la mia vita privata". Racconta ancora Yan Lianke, ma ci sono cose che è ancora meglio non fare. "Voglio vivere in Cina - continua - Non sono una persona forte e forse a volte mi comporto da codardo, ma devo pensare a mia madre, a mia moglie e a mia figlia. Non voglio dargli problemi".

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