8. La Volpe e la Cacciatrice

La casa di Elena Fox era in ordine, ma la porta d’ingresso era stata divelta: qualcuno aveva fatto saltare la serratura con tre colpi di pistola.

E lei sapeva chi!

La donna andò sparata come una furia in camera. Aprì il cassetto centrale della scrivania di fronte alla finestra, impugnò le due pistole di grosso calibro che vi teneva, e se le infilò dietro, nella cintola dei jeans. Prese per un attimo la parrucca rossa in mano, ma la rigettò con sdegno nel cassetto.

Prese il cellulare, e fece una telefonata.

I tempi dei giochi erano finiti!

Aprendo le apposite cartelle, aveva trovato quel che cercava. L’articolo, con relativa foto, risaliva a quattro mesi prima, e riguardava l’assegnazione del titolo di Miss Detective a Elena Fox, assegnato, a livello europeo, a chi aveva saputo distinguersi nel proprio lavoro.

Serena doveva aver appreso la notizia all’estero; e, avendo letto che viveva a Milano e lavorava per lui, aveva pianificato la sua vendetta.

Mister Noir sorrise. Chissà cosa sarebbe successo se a ritirare il premio fosse andata Serena Bonita?

Smise di sorridere, ricordandosi che, due giorni prima, quando erano sul tetto a lottare, Elena e Serena erano sparite dalla vista di tutti.

All’improvviso, il sorriso tirato di Elena quando le aveva ricordato di avvicinarsi con il donnone e il grido di gioia del bambino B&B nel rivedere la sua Sylvie, assunsero significati completamente diversi.

Anche il cellulare spento di Elena la sera dell’omicidio di Alfredo Musso, ora assumeva un significato preciso. Non era stata una distrazione o una dimenticanza. E non era in possesso di Elena.

In quel momento, il telefono trillò; Mr. Noir controllò il numero sul display: era quello di Elena Fox. Rispose col vivavoce, e la donna l’avvertì che qualcuno era entrato in casa sua, mettendola a soqquadro; tra poco sarebbe stata da lui.

I due energumeni al servizio di Beppe Puglisi erano in auto, e avevano visto la donna dalla parrucca bionda entrare nell’edificio dove abitava Antonio Castri, detto Toni.

I due uomini non erano i soli a tenere d’occhio la donna. Oltre a loro c’erano altri quattro spioni: due erano poliziotti, incaricati da Cordieri di sorvegliare la casa di Castri, e gli altri due erano una coppia di energumeni supplementari, mandati da Puglisi all’insaputa dei primi.

La finta bionda entrò in casa di Toni alle 8.30 di sera, molto prima dell’appuntamento previsto, e piombò nel suo appartamento avvinghiandosi a lui, baciandolo. Lo spinse contro il lungo mobile del corridoio, e chiuse la porta con un colpo di tacco.

– Serena, sei in anticipo! – esclamò lui.

– Non potevo resistere – rispose lei. E lo baciò di nuovo, facendosi trasportare in camera sua.

– Mi sei mancata tantissimo! Le tue labbra sono inconfondibili!… La tua bocca!… Il tuo collo!… Le tue spalle!… – disse, slacciandole la camicia gialla e baciandole la spalla sinistra. – Il tuo tatuaggio!… – Si bloccò di colpo. – Hey! Dov’è il tuo tatuaggio? –

– Cosa? –

– Il tuo tatuaggio, la rosa nera che mi diverto sempre a mordicchiare, dov’è? –

La finta bionda roteò gli occhi. – Ehm!… Ho usato un pesticida sbagliato! –

– Ehi! Ho capito! Tu non sei Serena! Tu sei quella schifosa della detective! – disse, allontanandosi di qualche passo.

– Schifosa a chi??? –

La reazione di Elena fu immediata: gli sferrò un calcio in pieno petto che lo fece mandare a sbattere contro la parete, e un sinistro in faccia che lo tramortì; dopodiché, lo prese per i risvolti della camicia e lo scaraventò sul letto matrimoniale, bocconi.

Lei gli montò sopra a cavalcioni, e gli storse il braccio destro dietro la schiena, tenendolo rigido e perpendicolare al corpo.

– Scusa. Tu sarai anche un bravo ragazzo, ma io ho una piccola questione in sospeso con la tua fidanzata. Sai, ha rubato la mia identità, sostituendosi a me senza il mio permesso, procurandomi un sacco di guai. E io sono molto, molto arrabbiata. –

– Come mi hai trovato? –

– Hai presente le Pagine Gialle? Ecco: ti ho trovato consultando le loro sorelle, le Pagine Bianche. –

Notò che sul comodino a sinistra del letto c’era un telefono fisso. – Ah! Ti piace la vita comoda!… Molto bene, facciamo subito una telefonata! –

Mollò il braccio destro, abbrancò con entrambe le mani il colletto della camicia, e, andando carponi, trascinò l’uomo sul letto fino al telefono. Sollevò la cornetta e compose il numero di casa di Mister Noir.

Il telefonò squillò due volte, poi Elena sentì lo scatto di un otturatore alle sue spalle, si voltò, e vide i due energumeni di Beppe Puglisi puntarle addosso le loro armi da fuoco. Elena calò la cornetta sulla nuca di Toni, stordendolo, e rotolò dalla parte opposta del letto, accovacciandosi per terra.

Un proiettile andò a colpire il telefono, facendolo esplodere, mentre altri seguirono invano la traiettoria della detective.

I due energumeni si avvicinarono al letto, piano piano, aggirandolo: uno si fermò ai piedi del letto, l’altro oltrepassò la sponda spianando la pistola in avanti, nel punto in cui doveva esserci la donna.

Ma la donna non c’era.

Appiattendosi contro il pavimento era scivolata sotto il letto e l’aveva attraversato di sbieco, sbucando dalla parte opposta, preparandosi con braccia e gambe a scattare in ginocchio.

Ci vollero due secondi perché i due energumeni capissero cos’era successo; quanto bastò a Elena per rizzarsi in ginocchio, sparare due colpi, e fare due centri.

Si alzò in piedi. Si tolse la parrucca bionda, che gli aveva dato la sera prima Beppe Puglisi credendola Serena Bonita, e la lasciò cadere sulla schiena di Toni: quando Puglisi avesse saputo dello scempio, avrebbe dato la colpa a Bonita.

Elena vide il cellulare di Toni uscirgli dalla tasca; lo prese senza troppi complimenti. Uscì a passo spedito, decisa a fermare la killer e a riprendere la propria identità.

La donna che uscì dalla casa di Toni non era più bionda, aveva dei lunghi capelli castani che le arrivavano fino alle spalle, ma né i poliziotti né gli energumeni ebbero dubbi: era proprio lei: Serena Bonita.

Avviarono le proprie rispettive auto, e, all’insaputa gli uni degli altri, la seguirono.

Il telefono di Mister Noir aveva squillato solo due volte, ma il numero del chiamante era rimasto sul display, e aveva fatto la ricerca sul sito delle Pagine Bianche.

Sogghignò.

Era come pensava. La telefonata proveniva dalla casa di Antonio Castri; e sicuramente non era stato lui a farla!

Il telefono squillò di nuovo. Il numero che apparve sul display non lo conosceva, ma il detective non aveva dubbi su chi fosse.

– Ciao, sono io. Sto venendo lì – disse Elena.

– Era ora. E’ da ieri che ti sto aspettando. –

Elena riattaccò.

Poco prima delle 9, Serena Bonita, ignara di essere stata scoperta, giunse a casa di Mister Noir ancora nei panni di Elena Fox.

Era stato semplice sostituirsi a lei. C’era solo una cosa che le differenziava quando stavano lottando sul tetto: il colore del maglione. E dopo che aveva stordito l’avversaria, fuori dalla vista di tutti, era stata questione di un attimo scambiare i due maglioni.

Aveva goduto tantissimo quando neanche il suo capo, il suo grande amico, si era accorto dello scambio di persona. E ora, dopo aver eliminato l’ex Stefano Giuffrida davanti agli occhi increduli del detective, avrebbe goduto ancora di più.

Entrò nell’appartamento del detective, vestita con canottiera nera e pantaloni neri attillati. Non degnò Consuelo, che le stava venendo incontro.

– Allora, andiamo? – disse bruscamente al detective, vedendolo comparire in corridoio.

Mister Noir sapeva bene con chi stava parlando, ma, conservando il suo perfetto aplomb inglese con tanto di sorriso, rispose: – Sì, certo –.

Avviandosi verso l’uscita con la carrozzina elettrica, Mr. Noir disse a Consuelo di andare a pulire il computer; Consuelo rimase un po’ interdetta da quella richiesta, ma, dopo che i due detective se ne furono andati, obbedì.

Consuelo andò nello studio, e notò il monitor acceso e le parole che c’erano scritte: KIAMI POLIZIA, seguite da un indirizzo di Castelletto Ticino.

– Oh, seňor! Se non si mette in qualche grosso pasticcio non è contento! – disse, parlando tra sé.

La donna, capendo che il suo capo, a cui voleva un bene dell’anima, si era ficcato in  grossi guai, brontolando un po’ eseguì.

Alla guida del suo furgone, Mr. Noir guardò di sottecchi la finta Elena Fox.

Stava andando a velocità moderata, in modo da permettere alla sua vera assistente di raggiungerli. Elena sarebbe andata a casa sua facendo prendere un coccolone a Consuelo, che però le avrebbe dato subito l’indirizzo di dove stava andando.

Doveva ammetterlo: Serena l’aveva organizzata proprio bene! Appresa la notizia di Elena Fox Miss Detective, Serena Bonita si era trasferita a Milano, architettando la messinscena della venditrice di libri, certa che, al momento “opportuno”, i due detective avrebbero trovato le cimici; poi, tenutasi nascosta nel B&B di Sesto San Giovanni, origliando i loro discorsi per carpire le loro intenzioni e, soprattutto, i loro rapporti e il modo di parlare dell’investigatore, che la detective non aveva alcuna difficoltà capire e che quindi lei, Serena, doveva imparare alla perfezione. Infine, aveva cominciato a minacciare Anioni, insospettendoli e facendosi “beccare”.

Ora lui era lì, che la stava trasportando verso il suo bersaglio.

C’era solo un punto che gli era oscuro: Se Serena Bonita era stata con lui sin dall’inizio, chi aveva fatto fuggire Elena Fox credendola la killer?

La risposta gli venne automatica: Beppe Puglisi, figlio di Vito Puglisi, che viveva a Milano. Sì, forse era una soluzione un po’ troppo facile, dato che presupponeva che tutta la vicenda gravitasse attorno a Misterbianco, ma chi aveva detto che le soluzioni dovevano essere per forza

Le due auto che la stavano seguendo non le piacevano affatto; o meglio: le auto erano carine, ma chi stava dentro probabilmente no.

Decise che non era prudente andare a casa di Mr. Noir senza averli prima seminati, così lo chiamò per informarlo del cambiamento di programma.

Rispose Consuelo Gomez. – Seňorita Elena, che piacere sentirla! Voleva scusarsi con me per non avermi salutato prima, vero? –

– Ehm!… sì, certo! – disse Elena, capendo al volo tutta la situazione. – Senta, potrebbe ricordarci dove stiamo andando? –

– Come? –

– L’indirizzo – rispose Elena, sicura delle capacità pragmatiche del suo capo.

All’altro capo del filo, Consuelo strabuzzò gli occhi, guardò la cornetta con sguardo un po’ enigmatico, ma poi obbedì.

Elena prese mentalmente nota dell’indirizzo, e accelerò.

Da quando Cordieri e i suoi uomini non avevano creduto che lei era Elena Fox, negandole persino un confronto con Mister Noir, aveva deciso di fare scena muta.

Per fortuna erano arrivati quei delinquenti dei Puglisi.

Non sapeva cosa c’entrava Castelletto Ticino in quella storia, ma era contenta di essere tornata sulle tracce della sua sosia.

Gli energumeni di Puglisi, dietro a Elena Fox, e gli uomini di Cordieri, dietro a loro, chiamarono i loro rispettivi capi. Entrambe le coppie avevano ricevuto l’ordine di seguirla: i poliziotti perché speravano che la donna li portasse dal mandante dell’omicidio di Alfredo Musso, l’uomo ucciso al Gatto e la Volpe, e gli energumeni semplicemente perché non erano stati abbastanza svegli da bloccarla prima.

Cordieri, che aveva ricevuto la telefonata di Consuelo Gomez, ordinò ai suoi uomini di continuare a seguirla, ché probabilmente si stava recando al Circolo di Castelletto Ticino (e diede loro l’indirizzo), e che lui stesso stava andando là con Tommasi.

Puglisi, che non aveva più ricevuto notizie dai primi due, traendo le logiche conclusioni, disse di tenerlo aggiornato sugli spostamenti, che li avrebbe raggiunti e avrebbe strappato il cuore di quella fìmmina infame con le sue proprie mani. E l’avrebbe fatto proprio lì, dove pinsava di essere al sicuro.

I due energumeni si accorsero dell’auto alle loro spalle, i due poliziotti si accorsero dell’auto che, davanti a loro, probabilmente stava seguendo la donna.

Fu in quel momento che Elena accelerò.

– Ma perché vai così piano? – disse la finta Elena Fox.

– Stavo pensando a Guido Stagni. Com’è possibile che un uomo, che solo due anni fa ha seminato la Cacciatrice andandosi a cacciare nel primo portone che gli era capitato, ora vada a ficcarsi nel posto più prevedibile di tutti? –

– Perché è la mossa più imprevedibile di tutte. –

– Sì. Ma perché Serena Bonita ci avrebbe assunti, se già conosceva le sue abitudini? –

– Chi ci avrebbe assunti??? –

– Serena Bonita. Con uno scopo ben preciso: ucciderlo, facendoci sentire “indispensabili” per la riuscita della sua vendetta. –

E così dicendo, guardando nello specchietto retrovisore per vedere se arrivavano i rinforzi, imboccò lo svincolo ed entrò a Castelletto Ticino, ben consapevole che, ogni metro in più, lo avvicinava alla fine di Guido Stagni e alla propria.

9. La fine dei giochi

Erano arrivati a destinazione; l’indirizzo era quello giusto.

Mister Noir parcheggiò il più lentamente possibile. Dallo sguardo fosco di Serena, intuì che lei aveva capito che lui l’aveva scoperta; e, una volta trovato Guido Stagni, le cose sarebbero precipitate.

Entrarono.

Quello che veniva chiamato Circolo era, in realtà, un grosso bar, con veranda, che riuniva tutti gli adulti del quartiere. I tavolini e le sedie di metallo rendevano un po’ freddo l’ambiente, ma l’accoglienza che riservavano i proprietari, un’anziana coppia di allegroni, ricolmava il locale di calore.

Guido Stagni era ad un tavolo abbastanza vicino all’entrata, con altri tre uomini. Giocava a carte. Come da programma.

Mister Noir e la terribile Serena Bonita si avvicinarono. Giuffrida/Stagni, vedendo il detective, e pensando quindi che la donna fosse Elena Fox, non seppe trattenersi dall’alzarsi con uno smagliante sorriso per stringere la mano al detective.

– Finalmente ci rivediamo! – disse.

L’investigatore ebbe la sgradevole sensazione che l’uomo avesse pronunciato una formula magica, una sorta di “Apriti Sesamo!”. Infatti, appena sentito la sua esclamazione, la donna mutò d’espressione. – Ma noi non ci conosciamo! – sibilò, estraendo d’un tratto la pistola e puntandola contro Stagni.

L’uomo sobbalzò e si ritrasse.

– No, non è Elena Fox impazzita – disse Mr. Noir per rassicurarlo. – E’ proprio la killer! –

– Quando hai cominciato a capire? –

– Hai presente il bambino? “Sylvie! Ciao, Sylvie!” Ecco,  quello, unito al tuo nervosismo, mi ha fatto insospettire. Poi, ho cominciato a fare tutti i collegamenti. –

– E me? Come ha trovato me? – le chiese, timoroso, Guido Stagni.

– Per puro caso. Ero a Milano per elaborare il piano della mia vendetta verso lui e la sua assistente, quando un mercoledì sera, la incontrai, la riconobbi, e la seguii fino a casa. Avrei potuto eliminarla subito, questo è vero, ma mi sembrava più divertente unire le due vendette, e far sentire il grande Mister Noir colpevole dell’omicidio dell’uomo a cui aveva salvato la vita. –

– E come facevi a sapere che i poliziotti non mi avrebbero creduta? – le domandò una voce celestiale alle sue spalle.

Serena si voltò, ed Elena le sferrò un diretto sul naso; Serena indietreggiò di qualche passo. Elena, compiendo un doppio movimento circolare della gamba, prima la disarmò, poi la colpì in faccia: Serena crollò su un tavolo, bocconi, ma subito si rialzò ravviandosi i capelli. – Non ti è bastata la lezione che ti ho dato due giorni fa? Ne vuoi un’altra? –

– Guarda che, rispetto a due giorni fa, io ora sono molto, molto arrabbiata. Mi sono dovuta immedesimare in te: ti rendi conto che schifo? –

Serena non se ne rendeva conto, e l’attaccò.

Si scambiarono calci e pugni, e un manrovescio di Serena aveva fatto ruotare Elena su se stessa, quando Mister Noir notò dei movimenti fuori dalla porta. Si accostò sulla destra.

Il primo che entrò fu Beppe Puglisi, che sparò un colpo per far interrompere l’incontro. Le due ragazze si bloccarono, ognuna con le mani sugli avambracci dell'avversaria, mettendo in mostra le loro magnifiche silhouette, e lo fissarono.

Il boss avanzò con la pistola spianata e i due energumeni al seguito, lasciandosi l’handicappato alle spalle.

Vedendo le due donne identiche, Puglisi domandò: – Che succede ca? Chi è la fìmmina infame che devo ammazzare? –.

– E’ lei – rispose prontamente Elena. – Ha una rosa nera tatuata sulla spalla sinistra – rincarò, fingendo di non conoscerlo.

Puntò l’arma su Serena, caricando il cane, poi si bloccò. – Ehi, aspetta un momento!… Se lei è l’infame che ha ucciso quattro dei miei òmini, tu sei quella che ha aiutato a mandare in galera mio patre. –

– Sì. E anche quella che ha mangiato a sbafo a casa tua. –

Puglisi la scrutò. – Quindi, eri tu quella dotata di senso dell’umorismo. –

– Ovvio! –

– E mentre tu ti divertivi alle mie spalle, lei stava facendo "a gratis" il lavoro per il quale pìnsavo di averla pagata. –

– No, l’ha  fatto qualche ora dopo; ricordi? –

Un sorriso cattivo increspò le labbra del boss. – Sempre spiritosa – disse. E spostò la mira su di lei.

Mister Noir non portava la pistola perché la sua tetraparesi spastica non gli avrebbe permesso di estrarla con rapidità, ma i quattro arti del corpo li muoveva comunque agilmente. Quindi, quando vide Puglisi puntare la pistola su Elena decise di intervenire: studiò quale traiettoria fosse meglio seguire per fare strike, optò per quella diagonale, e accelerò.

I tre malviventi formavano un perfetto triangolo equilatero dalle dimensioni ridotte. Mister Noir, che si trovava qualche metro indietro, alla destra del trio, si insinuò tra un energumeno e il boss, montando con le grosse ruote sui piedi del primo, e colpendo con le pedane di acciaio le caviglie del secondo che crollò a terra.

Il secondo energumeno puntò il suo cannone su Mister Noir, mentre le due ragazze avevano ricominciato a pestarsi; il cannone dell’energumeno, però, era troppo vicino al bersaglio, e la mano sinistra del detective, con un colpo mancino scattò da destra a sinistra, colpendo la mano armata dell’avversario, che sparò automaticamente… ferendo alla spalla il compagno, già dolorante ai piedi, che stramazzò al suolo ancora più dolorante.

Mister Noir accelerò, e travolse pure il secondo energumeno, che cadde a terra supino perdendo la pistola. L’uomo tentò di rialzarsi, ma il detective, con una veloce giravolta di 180 gradi, lo colpì sul naso: l’uomo svenne.

L’altro energumeno si era messo carponi, e stava cercando di recuperare la pistola. Mr. Noir se ne accorse, compì un rapido dietrofront, e ci passò letteralmente sopra.

Elena e Serena continuavano a scazzottarsi; entrambe sembravano sfinite, ma Mister Noir aveva altro a cui pensare: Beppe Puglisi si era rialzato e si stava dirigendo verso il bancone chiuso dove i due anziani proprietari, immobili, stavano assistendo a tutta la scena.

Mister Noir piombò alle spalle di Puglisi, e gli sferrò un doppio-calcio alla schiena. Il boss piombò stremato sul bancone; il detective lo colpì alle  giunture delle ginocchia, l’uomo cadde carponi, e lui gli afferrò il collo tra le gambe, incrociando i piedi e stringendo con forza, per immobilizzarlo.

Purtroppo, però, non era finita: allo schiocco di un pugno vide Elena arrivare sfinita e aggrapparsi al bracciolo della sua carrozzina. – Non ce la faccio più – ansimò. – Neanche da infuriata riesco a batterla. –

– Forse non sei infuriata abbastanza. –

– Perché, tu sapresti farmi infuriare di più? –

– Certo. Per te questo ed altro! – disse, dando una scrollatina a Puglisi che tentava di ribellarsi.

Elena allargò le braccia in segno di impazienza; intanto Serena si stava avvicinando, minacciosa.

Il detective voleva fare un discorso un po’ articolato, in modo che Serena si avvicinasse abbastanza da poter essere colta di sorpresa dalla reazione di Elena, ma non riusciva a concentrarsi sull’articolazione del linguaggio se doveva badare anche a Puglisi; quindi, decise: mollò di colpo il collo del boss, e, sempre con i piedi, gli sbatté la testa contro il banco, stordendolo.

Serena si stava avvicinando sempre più.

– Vedi… Devi sapere che ieri… –

Serena si era avvicinata ancora di più.

– …mentre praticamente stavamo parlando di te… –

Serena era quasi arrivata a tiro, ormai.

– …lei ti ha soprannominata Gertrude. –

– Che cosa??? – Elena si alzò, si girò di scatto, e le rifilò un destro direttamente dritto sul naso: Serena cadde supina, a braccia allargate, e priva di sensi.

– Sai?, avete una cosa in comune voi due – disse l’investigatore contemplando la figura della killer.

– Ah sì? E quale? –

– Tu sei carina, lei è Bonita! –

Lei lo guardò assolutamente inespressiva, come neanche Chuck Norris sapeva fare.

– Fermi tutti, polizia! – ordinò Cordieri sulla soglia.

Mister Noir girò la testa, inarcò le sopracciglia, e con la sua tipica espressione da sfottò disse: – Volete un tè? –.

Cordieri si era presentato con l’ispettore Tommasi, i due agenti in borghese che - contrariamente agli energumeni di Puglisi -, non erano riusciti a stare dietro a Elena Fox, e ad alcuni agenti in divisa.

Una coppia di questi, quando prelevarono la killer, furono fermati da Elena. – Ehi, aspettate! – Elena tastò il corpo di Serena, e dalle tasche dei pantaloni fuoriuscirono il suo cellulare e il suo mazzo di chiavi. – E quando sarai in prigione ti manderò il conto della serratura! –

Quando i due agenti portarono via la sua sosia, Elena spiegò: – Non si era limitata a scambiare il suo maglione con il mio, ma mi aveva rubato anche carta d’identità, chiavi, e cellulare. Si nascondeva da me, usava la mia auto e il mio cellulare!… Se andate a casa mia, troverete ancora la parrucca rossa che ha usato per il delitto Musso!… Oggi ho dovuto far saltare la serratura a colpi di pistola, per poter entrare nella mia casa! –

– E perché oggi sei dovuta andare a casa tua, scusa? –

– Per cambiarmi, che domande! –

– Comunque, Serena Bonita ha eliminato solo due scagnozzi di Puglisi, non quattro, come invece ha detto lui, giusto? – disse Mister Noir, intuendo cos’era successo a casa di Antonio Castri.

– Sì, ma era così convinto che non mi sembrava carino disilluderlo! –

Stava per andarsene, ma si fermò. – Ah, dimenticavo! Queste sono le chiavi dell’auto con cui sono venuta. Era in mano a due pischelli che volevano fare una rapina armati di una pistola ad acqua. Non ci riproveranno mai più! –

E, detto ciò, se ne andò, lasciando il commissario con un paio di chiavi anonime e molte auto su cui provarle.

Epilogo

Mister Noir concesse a Elena un’intera settimana di vacanza.

Il venerdì successivo, alle 6 del pomeriggio, Mr. Noir era alla guida del suo furgone neo, diretto con Elena ad un certo appartamento di Sesto San Giovanni. L’astuzia  di Serena Bonita di presentarsi al B&B col proprio aspetto, in modo da poter tornare con lui recitando facilmente la parte della sorella di Sylvie, meritava di essere premiata.

– Dove andiamo? – chiese Elena.

– A mantenere una promessa. –

– Fatta da noi? –

– Più o meno. –

– A chi? – chiese Elena, in un’espressione di ironica rassegnazione.

– Ad un tuo nuovo spasimante. –

– È giovane almeno? –

– Sì, di cinque anni. –

– Nel senso che ne ha 20? – disse Elena, togliendo cinque anni alla propria età.

– No, no; nel senso che ne ha proprio 5. –

Appena la porta d’ingresso della famiglia B&B si aprì, il bambino biondo non ebbe dubbi: spalancò le braccia, gli si illuminò il viso, e correndole incontro gridò: – Ciao, Sylvie! –.

Elena capì tutto e, scoccando un’occhiataccia a Mr. Noir, si chinò verso il bambino e improvvisò un perfetto accento francese.

 

Indice delle puntate del racconto Caccia alla Cacciatrice

1. rubriche/8825 (dal 2-11-2009)

2. rubriche/8826 (dal 3-11-2009)

3. rubriche/8827 (dal 4-11-2009)

4. rubriche/8828 (dal 5-11-2009)

5. rubriche/8829 (dal 6-11-2009)

La presentazione di Mister Noir di Sergio Rilletti è in rubriche/8901

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