Ho un buon rapporto con il cibo: mi piace mangiare, sono curiosa e adoro assaggiare nuovi piatti e sapori ma quando sono al ristorante tendo a essere un’abitudinaria. Adoro la pizza, è decisamente il mio piatto preferito, e la mangio sempre con le mani. Mi piace cucinare e so fare di tutto tranne i dolci anche perché preferisco il salato. Ma quando mia madre fa la torta al limone la divoro. Non seguo diete particolari. Se mi viene voglia di qualcosa me lo procuro come una cacciatrice. Per quindici anni ho evitato di andare nei ristoranti e nelle pizzerie per un fioretto e non ho mai trasgredito.

Ho sempre pensato più alla mia anima che al mio corpo. Piuttosto che spendere soldi in prodotti di bellezza compravo libri; fino all’anno scorso non ho mai usato una crema per il viso o cose simili.

Adoro le essenze e gli oli essenziali. Da ragazzina mi cucivo i vestiti e mi infilavo le spille da balia nelle orecchie al posto dei pendenti. Una volta un ragazzo mi ha detto che una come me si doveva vestire solo di seta. Forse voleva essere un complimento, io mi sono offesa a morte. Non mi ritengo parte di nessuna categoria; indosso quello che mi piace con predilezione per il colore nero a cui aggiungo note di colore che vanno dal viola al verde smeraldo. Da bambina mi vestivo in modo originale. Evitavo le marche, preferivo gioielli fatti a mano e fin dalla più tenera età ho le unghie smaltate di nero. Adoro gli abiti molto femminili ma anche i jeans consumati abbinati a una t-shirt comoda: l’ultima che ho comprato ha una stampa con uno scheletro (cassa toracica, bacino…) a dimensioni reali.

La mia più grande paura sin da piccina era che una bambola, che vedevo un po’ come una bambina senza l’anima, potesse rubare la mia anima. Le fissavo per controllarne i movimenti. Non si è mai tradita, è rimasta sempre immobile. Ho vinto questa paura collezionando bambole. Ne ho di spaventose, ma anche di ammalianti. L’ultima me l’hanno regalata gli organizzatori di Molise in giallo, il premio letterario di cui ho l’onore di essere presidente della giuria.

Si tratta di una bambola di porcellana che indossa costumi tipici molisani imbrattati di sangue e tiene tra le mani un coltello realizzato appositamente da un fabbro locale. Me l’hanno consegnata che era fuori “Bad prisma”, l’antologia di Epix Mondadori che contiene il mio racconto ispirato al fantasma di Melissa, “Le bambole non uccidono”. Naturalmente l’ho chiamata Melissa. C’è un’altra bambola che mi ha regalato un amico scrittore: somiglia un po’ a Sadako di “The ring” e in mano tiene una mela con spilli conficcati. I miei lettori mi hanno regalato bellissime bambole tra cui una ballerina zombie e una mini Apple Doll.

Vivo in provincia e non faccio sport particolari. In paese non mi muovo mai in auto. A piedi o in bicicletta, anche quando piove, rigorosamente senza ombrello. Mi piace scegliere un luogo importante in ogni posto in cui vado. Ho bisogno di avere sempre una tana, un piccolo spazio segreto. Allo stesso modo aggiungo un tocco personale anche se resto una sola notte in hotel. Una bottiglia di birra con un fiore secco o una barchetta di carta. Faccio barchette di carta con tutto quello che trovo, dai tovaglioli ai biglietti del tram.

Da qualche anno scrivo con un computer portatile. Il mio adorato vecchio Pc che ogni tanto si spegne e mi fa i dispetti. Mi piacerebbe avere un Mac ma mi sembrerebbe di tradirlo. Scrivo sempre, scrivo appena posso. Rispetto la scrittura e la considero sacra.

Cerco di non farla arrabbiare. Se ho una scadenza ci penso ogni giorno, quindi tendo a consegnare con anticipo per non restare ancorata allo stesso pensiero fisso.

Adoro le mie due nonne. Dei miei due nonni che non ci sono più mantengo i ricordi: mio nonno e il suo fischiettio per dirmi che stava arrivando. Quando mi prendeva in braccio da piccola e si faceva rubare il cappello. O ancora mio nonno che quando volevo la casa delle Barbie me l’ha fatta a mano, di legno; la conservo ancora oggi ma anziché di bambole è piena di piante grasse. Mia nonna materna e i suoi maglioni lana, mia nonna paterna e le sue storie che facevano paura.

Se mi appoggio dormo. Sogno sempre. Sogni veri che a volte confondo con la realtà.

Scrivo da sempre ma non l’ho mai detto a nessuno. In seconda media ero timidissima, magra come un’acciuga. Ho partecipato a un concorso letterario provinciale con un tema e sono arrivata seconda. Il giorno della premiazione gli altri vincitori e il pubblico erano tutti del paese così quando sono salita sul palco mi hanno accolta a fischi.

C’era con me mia madre, mio padre, il professore di italiano e il preside. Io ho sorpreso tutti e anche me stessa: ho mostrato al pubblico il dito medio. Fuck off and die, avrebbero detto allora i Guns’n Roses. Dopotutto avevo il poster di Axl appeso all’armadio! Ringrazio chi per primo ha creduto in me e mi ha dato la forza di andare avanti. Ringrazio chi per la prima volta mi ha detto: sei brava a raccontare storie, hai mai pensato di scriverle?

Se penso all’erotismo penso a un gioco. Per me il gioco è la parte fondamentale dell’erotismo. Gioco mentale, di sguardi, di tocco. La fantasia è erotismo. Scrivere è erotismo, leggere è erotismo.

Ho tanti passatempi ma il tempo è troppo poco per tutti. Mi diverto con poco. Non ho la televisione, adoro il cinema. Mi piace scattare foto e guardare gli album fotografici altrui. Camminare a passo spedito mi aiuta a pensare. Sono una lettrice forte e in certi libri mi sembra di viverci dentro. Realizzo gioielli artigianali e quando tengo a una persona gliene regalo uno. Adoro il vino. Non mi separo mai dalla fiaschetta di nocino artigianale, la tengo in borsetta. Naturalmente si tratta di quello fatto dalla sottoscritta con 48 noci, la notte del 23 giugno. Dicono che sia curativo. Per me aiuta a vincere l’ansia da presentazione.

Sì, a volte vorrei essere invisibile.

Chi non vorrebbe esserlo, almeno per una volta? Da piccola, per esempio, ho sempre preferito ascoltare i discorsi dei grandi. Era come spiare senza essere vista perché nessuno di loro mi rivolgeva parola. Adesso coi bambini ho una specie di fluido: tendo a farli addormentare! Per questo le amiche mamme mi vorrebbero sempre nelle vicinanze. Faccio amicizia in fretta e mi diverto in compagnia. Sto bene anche da sola, forse perché non mi sento mai veramente sola.

Barbara Baraldi con il racconto Una storia da rubare ha vinto il XXXIII Premio Gran Giallo Città di Cattolica. Ha pubblicato con Perdisa le due novelle La collezionista di sogni infranti (2007) e La casa di Amelia (2009). Nella collana Il Giallo Mondadori presenta è uscito il suo romanzo La Bambola dagli occhi di Cristallo.