«La sua famiglia veniva da Stregoicavar. Era un nome che ricordavo di aver letto di sfuggita nei “Culti inesplicabili” di Von Juntz». Questa citazione tratta da “La Casa del Tempio” (The House of the Temple, 1980) di Brian Lumley testimonia il successo e il fascino riscosso dallo pseudobiblion inventato da Robert Ervin Howard. Questi, famoso soprattutto per aver creato il personaggio di Conan il Barbaro, nel numero di aprile/maggio 1931 di “Weird Tales” pubblica il racconto “I Figli della Notte” (Children of the Night) in cui, in una biblioteca specializzata nell’occulto, appare il titolo “I Culti innominabili” di Von Junzt. L’idea piace e nel numero di novembre dello stesso anno, sulla stessa rivista, Howard pubblica “La Pietra Nera” (The Black Stone), primo titolo in cui appare lo pseudobiblionUnaussprechlichen Kulten” (versione tedesca del precedente “I Culti innominabili”) scritto dal misterioso ed «eccentrico studioso tedesco» Friedrich Wilhelm Von Juntz (quello che nel racconto precedente era Junzt).

Howard, seguendo gli insegnamenti del “Necronomicon” lovecraftiano e al contrario del “Re in Giallo” di Chambers, fornisce minuziosi dettagli su questo libro. «Il cosiddetto “Libro Nero”, pubblicato a Düsseldorf nel 1839 poco prima che un tragico destino colpisse l’autore. I collezionisti di testi rari conoscono in genere l’opera soltanto attraverso la traduzione, mediocre e lacunosa, che fu pubblicata a Londra nel 1845 da Bridewall in un’edizione pirata, oppure la versione pesantemente censurata apparsa nel 1909 presso la Golden Goblin Press di New York». Una descrizione decisamente accurata, per un libro inesistente!

Abbiamo precise informazioni anche sull’autore. «Von Juntz trascorse tutta la vita (1795/1840) occupandosi di argomenti proibiti. Viaggiò in ogni parte del mondo, riuscì ad affiliarsi a innumerevoli sètte segrete, e lesse una quantità incredibile di libri e di manoscritti occulti poco noti, nelle versioni originali. I capitoli del suo Libro Nero (redatti in uno stile che oscilla tra la più sorprendente chiarezza espositiva e la più tenebrosa ambiguità), contengono affermazioni e allusioni da far gelare il sangue». La sua morte è misteriosa e terribile: «fu rinvenuto, strangolato in modo inspiegabile, nella sua camera chiusa e sbarrata, in una notte del 1840, sei mesi dopo essere tornato da un misterioso viaggio in Mongolia».

Il libro segue gli insegnamenti dei suoi illustri precedenti (e successori): è una porta su un altro mondo ed un’altra realtà, che fa sì che chi osi leggerlo venga catapultato in un’altra dimensione e viva le incredibili (e magiche) vicissitudini di entità “altre” (spesso con elementi mistico-religiosi). Se queste “esperienze” siano solamente illusorie, dovute alla lettura dei “Culti innominabili”, rimane sempre in dubbio, finché qualche evento finale non sussurra la risposta.

Robert E. Howard
Robert E. Howard
Va precisato come Howard fosse in contatto epistolare con Howard Phillips Lovecraft ed August Derleth: furono le idee riunite di questi tre scrittori a creare gli “Unaussprechlichen Kulten”. Non sembrano esserci prove definitive, ma molte fonti riconoscono a Derleth l’idea di usare il tedesco per il titolo dello pseudobiblion, mentre Lovecraft avrebbe avuto l’idea di crearne tre edizioni: Düsseldorf (1839), Bridewell (1845) e la terza, censurata, della Golden Goblin Press (1909).

Nel febbraio del 1932, sempre su “Weird Tales”, Howard pubblica “La cosa sopra il tetto” (The Thing on the Roof), dove non si limita a citare il proprio pseudobiblion, ma quello di un suo grande amico di penna: «Egli desiderava che lo aiutassi a reperire una copia della prima edizione degli Unaussprechlichen Kulten di von Juntz - quell'edizione nota come Il Libro Nero non tanto per il colore della sua copertina, quanto per l'oscurità dei suoi contenuti. A quel punto, avrebbe anche potuto chiedermi l'edizione originale, in greco, del Necronomicon.» Ovviamente l’amico di Howard è Lovecraft!

Questi gli restituisce il favore e scrive in quel periodo (anche se sarà pubblicato nel luglio del 1933) “La casa delle streghe” (o “I sogni della casa stregata”, The Dreams in the Witch-House), dove cita Von Juntz: «che aveva messo in relazione con le sue formule astratte sulle proprietà dello spazio e con l’anello di con­giunzione tra le dimensioni conosciute e sconosciute»; citerà lui e i suoi culti («impubblicabili per legge!») più volte, come per esempio ne “La cosa sulla soglia” (The Thing on the Doorstep, 1933) o “L’ombra fuori dal tempo” (Shadow Out of Time, 1935).

Nel marzo del 1944 i Culti si ritrovano ne “La casa in Curwen Street” (The Trail of Cthulhu) di August Derleth, affiancati da illustri titoli come l’omnipresente “Necronomicon” o il “Liber Ivonis” (di cui si parlerà in seguito). Derleth inserirà ancora lo pseudobiblion in suoi racconti, come “Il custode della chiave” (The Keeper of the Key, 1951).

Oltre al già citato Lumley, nel 1981 F. Paul Wilson li annovera in una incredibile collezione di “libri impossibili” ritrovati in un castello, nel romanzo “La fortezza” (The Keep), mentre nel 1987 sono annoverati nell’elenco di pseudobiblia enumerati dal racconto “Acque rosse a Innsmouth” di Domenico Cammarota. Li ritroviamo ancora nel 1990 nel racconto “H.P.L.” di Gahan Wilson, in cui il protagonista si rivolge a Lovecraft in persona chiedendogli: «Se questo cambiamento della realtà è tutta opera sua, allora che cosa dire di quei libri? De Vermis Mysteriis e gli altri - li ho visti di sfuggita - tutti quegli antichi tomi di magia nera che credevo che lei e i suoi colleghi aveste inventato per i vostri racconti - Cultes des Goules, Unaussprechlichen Kulten - quei tomi sono vecchi! Sono antichissimi! Esistono da molto tempo prima che nascessimo!»

Da ricordare poi come H. Warner Munn, nel suo “Il Signore torna a casa” (o “La vendetta del Lupo Mannaro”), riporti addirittura un brano di questo pseudobiblion: «Satana è stato sopravvalutato per troppo tempo. Ci sono dèmoni peggiori, più antichi di quelli noti alla mitologia cristiana.»

Per finire, va ricordato come nel racconto “La Pietra Nera” Howard crei un altro pseudobiblon minore: “Il popolo del Monolito” (People of the Monolith), antologia del poeta pazzo Justin Geoffrey «scritta durante un viaggio in Ungheria». Howard riporta diversi brani del testo, ma non lo analizza mai come i suoi “Culti”. Eccone un brano «Si narra che antichi esseri immondi / percorrano tuttora questo mondo, / e le Porte si schiudan certe notti, / liberando i figli dell'inferno.»