Il poliziesco italiano ha avuto un inizio molto travagliato: molti tentativi falliti con editori che non credevano nell’affermarsi del genere. Ci può raccontare le vere motivazioni di questi ripetuti fallimenti?

Bisogna ripercorrere la storia del giallo in Italia. Negli anni 70 l’unico concorso per farsi conoscere era il Gran Giallo di Cattolica. Il romanzo vincitore era pubblicato alternativamente da tre editori: Longanesi, Garzanti e Mondadori.

Nel 1978 la collana dei gialli Garzanti fu chiusa e rimasero in due.  L’anno dopo morì Tedeschi, direttore del giallo Mondatori, e ci fu un periodo di interregno in cui la collana era di fatto diretta dai redattori fra cui ricordo Orsi, Lia Volpatti,  Laura Grimaldi e Tropea. Per scelta editoriale il giallo italiano non veniva pubblicato nei settimanali del Giallo Mondatori. Qualche autore italiano era riuscito a farsi pubblicare in edizione cartonata. Si trattava di Veraldi, Perria, Olivieri e Russo. Preferivano gli anglosassoni, soprattutto americani e qualche francese perché sostenevano che il giallo italiano non vendeva.

Dopo qualche anno, all’incirca verso l’inizio degli anni 80, non si trovavano più buoni romanzi da tradurre e il motivo era legato alle scelte degli editori americani. In un primo tempo gli scrittori producevano ogni sei mesi un romanzo, successivamente gli autori più famosi elaboravano uno schema della trama e scrivevano il primo capitolo. Mandavano il tutto a un editore il quale, se gli piaceva l’idea, dava loro congruo anticipo sui diritti d’autore e lasciava allo scrittore quattro anni per terminare il romanzo. Alcuni continuarono a produrre moltissimo, spesso a scapito della qualità. In conseguenza del mutamento del mercato editoriale americano, diventò sempre più difficile per la Mondadori pubblicare settimanalmente un romanzo giallo a settimana.

Alla Mondadori, dove era arrivato Oreste Del Buono, non  capirono che era venuto il momento di valorizzare il giallo italiano che, una volta conosciuto dai lettori, avrebbe fatto guadagnare la casa editrice. In quegli anni il salvadanaio della Mondatori era costituito da Topolino e dal giallo: insieme fornivano la linfa per la pubblicazione dei grandi nomi della letteratura mondiale.

Cosa si prefiggeva la prima associazione di scrittori che nacque a Cattolica nel 1980 nell’ambito del Festival del giallo e del mistero?

Nel 1980 alcuni scrittori italiani di gialli per il cinema la TV e l’editoria si riunirono a Cattolica in occasione del primo festival internazionale del giallo e del mistero. L’idea era quella di dar vita a un’associazione italiana di scrittori su modello dei mistery writers americani. Felice Laudario, direttore del festival, indicava fra gli obiettivi dell’allora costituenda associazione, di istituire un premio per il miglior romanzo giallo edito e al miglior soggetto inedito per il cinema o la TV. A distanza di pochi mesi l’ associazione, voluta fortemente da Macchiavelli che ha sempre creduto nel valore del giallo italiano, fu costituita. Gli altri firmatari erano Mario Casacci, Alberto Ciambricco, Diana Crispo, io, Massimo Felisatti, Paolo Levi, Domenico Paolella, Fabio Pittorru, Biagio Proietti, Luciano Secchi, Attilio Veraldi. L’associazione doveva essere “un punto d’incontro per gli autori italiani che professionalmente si dedicano al genere giallo in campo letterario, televisivo e cinematografico” e insieme doveva farsi promotrice di “iniziative adatte a creare interesse intorno al giallo italiano come manifestazioni, premi, rassegne televisive”. In quell’occasione vene istituito il premio gran giallo città di Cattolica per un racconto inedito di un autore italiano.

La neonata associazione scontò fin dall’inizio difficoltà che rimasero insormontabili. La distanza geografica fra gli scrittori che ne facevano parte, la presenza di molti romani che badavano a coltivare il proprio orticello e, non ultima, la difficoltà a convincere gli editori a rischiare investendo sugli italiani. A questo si aggiunse la morte di Alberto Tedeschi che forse si sarebbe impegnato a valorizzare il giallo italiano.

La storia prosegue fino al 1985, quando quattordici scrittori firmano una specie di manifesto del giallo italiano. Rispetto all’80 ci sono state delle variazioni: non ci sono più Mario Casacci, Alberto Ciambricco, Diana Crispo, Biagio Proietti, Luciano Secchi. Entrano Franco Enna, Luciano Anselmi, Ugo Moretti, Antonio Perria, Enzo Russo, Secondo Signorini, Diego Zandel.

Lo zoccolo duro era costituito da me, Attilio Veraldi, Massimo Felisatti, Paolo Levi, Domenico Paolella, Fabio Pittorru e naturalmente Loriano Macchiavelli.

Il gruppo di scrittori che fa decollare il genere ci risulta essere il Gruppo 13 di Bologna con alla testa Macchiavelli. Riesce a far emergere esordienti di talento. Bologna rispetto ad altre realtà ha costituito l’occasione vincente?

Sì, Macchiavelli, dopo tanti tentativi, è riuscito nella sua impresa nel 1985, con il Gruppo 13.  Ne facevano parte esordienti di talento come Pino Cacucci, Massimo Carloni, Nicola Ciccoli, Danila Comastri Montanari, Marcello Fois, Carlo Lucarelli, Loris Marzaduri, Gianni Materazzo,  Sandro Toni. Forse la formula vincente era proprio la caratteristica regionale del gruppo e la conseguente facilità di incontrarsi.

Oggi il giallo gode di buona salute, tanto che scrittori che prima non si  erano cimentati nel poliziesco oggi lo fanno con un buon successo editoriale. Pensa che il trend favorevole continuerà ancora?

Non lo so. Oggi viene pubblicato  molto e la quantità spesso va a scapito della qualità.

 

Le riviste letterarie poliziesche scompaiono una ad una. C’è un motivo meramente economico oppure la struttura della rivista non interessa più neanche agli addetti ai lavori?

Le riviste in genere hanno vita grama, ad eccezione di quelle femminili e di gossip. Quindi anche quelle di letteratura poliziesca seguono la tendenza e chiudono.

Il giallo ha subito un’evoluzione “sociologica” dagli anni 70 ad oggi?

Uno dei principali meriti del giallo italiano è di aver parlato dell’attualità. Bisognava evitare di fornire un cadavere al lettore come facevano i gialli a enigma: il giallo doveva raccontare la realtà contestualizzandola in un certo ambiente. Proprio per questo oggi risultano datati i romanzi di venti o trent’anni fa: la Milano di Scerbanenco o la Firenze ritratta da me non esistono più.

A questo proposito leggo testualmente uno stralcio dal “manifesto” del 1985: “Noi crediamo che esista un gruppo numeroso, qualificato di autori italiani di poliziesco che hanno, nelle diversità delle caratteristiche individuali, elementi in comune: le loro opere si ispirano alla realtà in cui viviamo, le loro storie prendono spunto da fatti accaduti o che possono accadere; sono ambientate nelle nostre città, dichiarate, riconoscibili, delle quali riflettono gli umori e le patologie: contengono, insomma, una testimonianza del nostro mondo come la letteratura “seria” non fa più da tempo”.

Ringraziamo per la cortese disponibilità Alberto Eva.

Per l'intervista a Loriano Macchiavelli: rubriche/8348