A poker con il morto

Quattro uomini stanno giocando a poker in una bisca clandestina, quando a un tratto la luce si spenge. Qualche istante dopo la luce si riaccende e uno dei giocatori è riverso sul tavolo verde. In mezzo alla fronte l’uomo ha avvitato un trapano nuovo di zecca, con tanto di certificato di garanzia ancora da spedire. Gli occhi sbalorditi della vittima, guardano con insistenza, attraverso una finestra, la pioggia cadere.

La scena era stata ripresa da una telecamera nascosta che il tenutario della bisca aveva piazzato per controllare che i giocatori durante le pause di gioco non si tirassero le molliche di pane.

L’improbabile commissario Max, guardando il filmato, constatò che i tre giocatori superstiti, una volta che la luce si era riaccesa, avevano degli atteggiamenti a dir poco sospetti: un giocatore stava pensando di fare la settimana bianca a Saint Tropez, e in mano aveva un full di jack. Un altro si era annodato la cravatta in modo da potersela ricordare, e in mano aveva un tris di assi. L’ultimo giocatore invece stava fischiettando con la mente “O mia bella Madunina”, e in mano aveva una scala a colore di picche.

Come fece l’improbabile commissario Max a capire che l’assassino era il giocatore con la scala  colore di picche? E quale fu il movente? E per curiosità: perché la garanzia del trapano non era stata spedita?    

 

Soluzione: un morto che si mette a guardare con insistenza la pioggia non si era mai visto. C’era forse un mistero sotto? Fu quello che scoprì l’ improbabile commissario Max, allorché ricordò la regola del poker che recita così: come, quando, fuori, piove. Dove“come” sta per Cuori, “quando” sta per Quadri, “fuori” sta per Fiori e “piove”sta per Picche. Guarda caso proprio la scala a colore dell’assassino!

Una volta l’omicida mentre stavano giocando a poker si stirò le gambe e inavvertitamente fece piedino alla sua futura vittima. Il tenutario della bisca aveva ripreso anche quella seduta di gioco e all’insaputa dei due aveva messo il video su You Tube per screditare virilmente l’assassino, che si vociferava facesse sesso con sua moglie. L’omicida credendo fosse stata la vittima a mettere il video in rete aveva vendicato la sua mascolinità ferita uccidendolo durante un provvidenziale calo di tensione. Al biscazziere non fu contestato nessun capo di imputazione, anche perché dovette pagare dazio all’improbabile commissario Max, il quale volle conoscere a “fondo” la moglie…    

Non conosciamo il motivo per cui il certificato di garanzia non era stato spedito, tuttavia, bisogna riconoscere che l’attrezzo aveva funzionato piuttosto bene…

 

Il test infallibile

Margareth Dever, una clochard snob, che passava le notti in un giaciglio di cartoni dentro una limousine con il tetto apribile, fu trovata senza vita alle una di notte, con la testa fracassata da un colpo sferrato da un corpo contundente. Infatti, la Dever era stata legata alla lancetta dei minuti del Big Ben e quando le due lancette si erano incontrate, la poveretta si era beccata una tronata in testa. Morte orribile, considerando che la vittima soffriva di vertigini.

Cinque minuti dopo l'improbabile commissario Max stava già interrogando il proprietario della limousine, il quale aveva un alibi inattaccabile per l’ora del delitto: stava leccando l’asfalto.  

L’improbabile commissario Max non si perse e d’animo e mise in atto uno dei suoi 1500 infallibili test: si avvicinò all’uomo,  gli prese il polso, gli sentì le pulsazioni e dopo lo ammanettò.        

Quale risultato aveva dato il test per prendere una decisione così drastica? E perché quella spietata messa in scena?  

 

Soluzione: il test era stato solo una scusa per sapere che ora segnasse l’orologio al polso dell’uomo. Non per nulla l’ora legale era entrata in vigore quel giorno, e l’improbabile commissario Max notò che l’orologio al polso dell’assassino aveva ancora l’ora solare. L’alibi era dunque indietro di un’ora. Ora in cui per l’improbabile commissario Max, l’omicida ebbe tutto il tempo per preparare il delitto.

Meno chiaro invece fu il motivo di quella spietata messa in scena, anche perché la limousine era stata presa in  leasing... 

 

La macchina della verità

Dopo un alterco fra due uomini, causato da una diversa valutazione sull’incidenza dei tempi morti di un maniscalco alla catena di montaggio di una moderna casa automobilistica, uno dei due litiganti era stramazzato al suolo con un coltello conficcato nel petto.

L’uomo sopravvissuto, interrogato dall’improbabile commissario Max, aveva detto di essersi difeso dopo che la vittima lo aveva aggredito con lo stesso coltello che, per una tragica fatalità, si era conficcato nel petto dell’aggressore. 

L’uomo era un tranquillo imbalsamatore di formiche. Ma non aveva mai ucciso nessuno sino ad allora, se non a metà. Quindi, tutto faceva ritenere che avesse agito in stato di legittima difesa.

L’improbabile commissario Max, volle comunque sottoporre l’uomo al verdetto della macchina della verità.

Dopo avergli applicato gli elettrodi alle adenoidi gli fece una domanda:

– Chi aveva il coltello dalla parte del manico? –  

– Il morto, commissario! – 

La macchina della verità aveva risposto che l’uomo non aveva mentito.

Ma ciò nonostante l’improbabile commissario Max arrestò l’imbalsamatore di formiche, con l’accusa di omicidio volontario?     

Perché l’improbabile commissario Max lo arrestò, nonostante la macchina della verità l’avesse scagionato?  

 

Soluzione: la macchina della verità aveva visto giusto: solo che il morto aveva sì il coltello dalla parte del manico, ma solo perché se lo stava estraendo. L’assassino con la sua risposta aveva volutamente tratto in inganno la macchina della verità, ma non l’improbabile commissario Max. 

 

L’assassino bugiardino

 

La prima cosa che l’improbabile commissario Max avvertì entrando nell’appartamento del delitto, fu la mancanza di alcuni oggetti di inestimabile valore: un tostapane a fiato, tracce di forfora appartenute al toupé dell’uomo di Neanderthal e 1 kg. di zucchine.

I tratti somatici di Hannie Fisher erano stati stravolti da un potente aspiratore infilatole in gola, che le aveva risucchiato fuori tutti gli interni, rivoltandola come un calzino. Il corpo orrendamente straziato della vittima fu riconosciuto a malapena dalla madre, grazie ad alcuni effetti personali rimasti intatti: un eclissi solare, un album di foto giovanili mai scattate e dal tatuaggio sopra la natica destra, riconoscibile sulla carta di identità.

Tre i potenziali assassini: uno squilibrato che si ostinava ad allenarsi come equilibrista in un circo. Un calciatore che per fare le reti dava del filo da torcere ai difensori e un tizio che non aveva mai fumato sino al momento che non glielo avevano vietato.

Un particolare: la serratura non aveva segni di effrazione e la casa era senza finestre dall’esterno. La vittima dunque aveva aperto la porta a qualcuno che conosceva molto bene. Ma i tre indagati affermarono categoricamente di non conoscere la morta. Era chiaro che almeno l’assassino aveva mentito.

La soluzione del caso sembrava essere lontana. Poi lo sguardo dell’improbabile commissario Max cadde sulla foto della moglie, che era sulla sua scrivania. E fu proprio negli occhi della consorte che vide scritta la soluzione. Non gli restava altro che togliere le scarpe ai sospettati, controllarne i calzini, sbugiardare il calciatore ed arrestarlo come autore del delitto.

Come cacchio fece l’improbabile commissario Max, a capire chi era l’assassino da un paio di calzini? E quale fu il movente?

 

Soluzione: ancora una volta l‘improbabile commissario Max risolse il caso pescando nel suo bagaglio di esperienze coniugali. Sì, perché, sua moglie (come tutte le donne, del resto…) era una maniaca della pulizia e usava far mettere sempre i pedalini ai conoscenti che venivano a trovarla. A conferma, sui calzini del calciatore, l’improbabile commissario Max trovò dei piccoli frammenti di tessuto, riconducibili alla stoffa di un paio di pedalini che la vittima teneva accanto alla porta. 

Con quello che costano oggi le zucchine...

 

L’assassino furbino

Dopo aver risolto il caso de “Il gigante affetto da nanismo” e quello de “Il mistero del  gatto malato di toxoplasmosi”, l’improbabile commissario Max si stava godendo un meritato riposo in un  albergo a 5 stelle. Ed era comodamente seduto sul suo divano preferito: una ballerina di lap dance, certa Bocca di Fuoco, per l’anagrafe. Soprannominata, nell’intimità, Maria Rossi.

Per creare l’atmosfera giusta si era sintonizzato su una radio educativa locale, dedicata a un target di persone psicologicamente deviate, come partecipanti a un corso di apnea a settemila metri di quota, conduttori di risciò a motore e amanti del tiro alla fune senza nessuno dall’altra parte, quando dalla camera attigua alla sua sentì un uomo urlare come un ossesso.

–  Puttana! Non mi avevi detto la verità! –  Una pausa, poi un rumore di passi frettolosi che correvano giù per le scale dell’albergo.

L’improbabile commissario Max si fiondò subito nella stanza da dove provenivano le urla, e constatò la morte per mancanza di respiro di una vecchia prostituta, che lui calcolò avesse almeno un’ottantina d’anni. La donna era completamente nuda. Solo un apparecchio per l’udito faceva bella mostra di sé all’orecchio della vecchia meretrice.

L’improbabile commissario Max scese di corsa nella hall dell’albergo, e vide che c'erano  quattordici persone che stavano per uscire. Non c’era tempo per pensare. Perché una volta usciti  l’assassino si sarebbe mescolato fra la calca dei passanti. E allora addio…

Come fece l’improbabile commissario Max a capire in un battibaleno chi aveva strangolato la donna, fra le quattordici persone che stavano uscendo dall’albergo? E quale fu il movente?

 

Soluzione: l’improbabile commissario Max fece una semplice deduzione: se l’apparecchio per l’udito era della vittima che bisogno aveva l’assassino a urlare come un ossesso? Poi gridò con quanto fiato aveva in gola: "Bausettete!" L’omicida fu l’unico a non girarsi.  

Pare che la prostituta ottuagenaria si fosse tolta due o tre anni e che una volta saliti in camera glielo avesse confessato…

 

Una brutta caduta di stile

La morte violenta del generale Etevurria Vasà, aveva lasciato gli abitanti del Principato di Monaco sconvolti. Infatti, era la prima volta che nel piccolo Stato accadeva un omicidio simile, almeno in modo così definitivo. Il militare era stato riempito di tritolo e poi un kamikaze gli si era lanciato contro, esplodendo insieme a lui.

Il generale Etevurria Vasà, prima di rifugiarsi nel suo esilio dorato monegasco, era stato dittatore di un paese sudamericano. L’alto graduato era arrivato al potere grazie a un golpe geniale: dopo aver sfidato i suoi rivali politici al gioco del ciribè (una specie di primarie sudamericane), li aveva fucilati tutti. Poi si era proclamato unico candidato e aveva fatto stampare le sue foto sui manifesti elettorali, ma in pose diverse. Ottenendo così un doppio risultato: arrivare democraticamente al potere, e cosa più importante capire finalmente quale fosse il suo lato più fotogenico.

Ma nonostante il generale Etevurria Vasà fosse riuscito a sconfiggere la fame e a portare il paese a livelli di appetito, era stato deposto e costretto a fuggire dalla stessa borghesia illuminata, che l’aveva sostenuto durante la sua scalata al potere, incolpandolo della penuria di patè de fois che a loro dire era stata la molla che aveva scatenato una rivolta popolare. 

Queste erano state le dichiarazioni degli attuali governanti del paese sudamericano. Versione troppo semplice per l’improbabile commissario Max.

Come fece l’improbabile commissario Max a scoprire cosa si celava veramente dietro la morte del dittatore? E quale fu il movente di un omicidio così efferato?    

 

Soluzione: all’improbabile commissario Max bastò andare dal barbiere di fiducia del generale: la fonte più attendibile, CNN compresa. E questo è il racconto che Figaro fece all’improbabile commissario Max: durante la fucilazione il plotone di esecuzione non rispettò la distanza regolamentare, e come sempre accade in questi casi l’esecuzione fu fatta ripetere. Il generale Etevurria Vasà, questa volta, non fidandosi dei suoi pretoriani volle misurare lui la distanza, ma memore delle sue memorabili partite a pallone non riuscì a resistere alla tentazione di rubare sui passi, commettendo così una brutta caduta di stile. La cosa venne a galla, il generale fu defenestrato dalla borghesia illuminata che l’aveva sostenuto, e dopo varie peripezie riuscì a fuggire e a rifugiarsi nel Principato di Monaco.

Determinati ceti sociali, certe brutte cadute di stile se le legano al dito...  

 

Una strana arma per un delitto

Mister Fu Lì, ricco uomo d’affari cinese, fu strangolato da un’anatra lanciatagli intorno al collo a mo’ di bolas. Mister Fu Lì, era stato aggredito in salotto e rantolando con l’anatra avvinghiata al collo, era riuscito a trascinarsi per le scale sino a raggiungere il piano di sotto, dove finalmente era spirato (finalmente per l’anatra, ormai stanca).

Era stato un grande giocatore d’azzardo. I suoi giochi preferiti erano a morra con i piedi, a nascondino su un campo di calcio e, sua grande passione, i combattimenti illegali fra topi e leoni, dove perdeva grosse somme di denaro. Puntando sui leoni (i topi venivano dopati).

Mister Fu Lì aveva tre figli: Fu Là, Fu Quì e fu Giù. Il giorno del delitto Fu Là indossava uno shilling preso in prestito da un montone. Fu Quì tredici maschere di carnevale, ma con facce diverse e Fu Giù, per non sembrare sempre lo stravagante della famiglia, era nudo. 

Tutti e tre avevano un buon motivo per uccidere il padre: nonostante la loro età non più giovanissima, il padre gli obbligava a mettersi la maglia della salute.

Perché l’improbabile commissario Max arrestò subito Fu Giù come autore del parricidio?

 

Soluzione: uno che sta per morire non spreca certo il suo tempo a scendere le scale … a meno che non abbia voluto lasciare un chiaro messaggio agli inquirenti. Deduzione logica dell’improbabile commissario Max: se fosse stato Fu Là, il cadavere si sarebbe trovato nella stanza attigua a quella dell’aggressione; se l’assassino fosse stato Fu Quì, il cadavere si sarebbe trovato dove era iniziata l’aggressione; trovando la vittima al piano di sotto, per l’improbabile commissario Max,  l’assassino non  poteva essere che Fu Giù.  

 

Le apparenze ingannano

L’improbabile commissario Max stentava a credere a quello che udiva. La ragazza che aveva davanti stava raccontando di essere stata violentata da tre uomini contemporaneamente. Dopo aver fatto un rapido calcolo matematico, l’improbabile commissario Max era rimasto un po’ perplesso. La giovane, vedendo la sua faccia a incredula aveva corretto il tiro, dicendo che a violentarla era stato un solo uomo, ma che durante il brutale atto aveva avuto la sensazione che fossero in tre. Gli altri due, ricordò poi, si erano limitati a osservare, ma siccome era buio fitto non era in grado di riconoscere chi dei tre l’avesse violentata. 

Come succede in questi casi la vita della giovane era stata costellata da continui soprusi. Infatti, la ragazza raccontò all’improbabile commissario Max che il padre l’aveva abbandonata per adottare un’orfana. Decisione alla quale il genitore era arrivato dopo un lungo e travagliato calvario interiore, conclusosi con il lancio della monetina. La madre, approfittando del tempo lasciatole a disposizione dal lancio della monetina era fuggita con un posteggiatore abusivo, con il quale aveva trovato una maggiore sicurezza economica, o comunque un posto sempre libero dove parcheggiare.

I tre uomini furono subito identificati dall’improbabile commissario Max: il primo era un bonaccione, che amava regalare scatole con guantone da box a molla, munito di punzone incandescente incorporato con su scritto: PEACE. Il secondo era un tipo tosto, la cui citazione preferita era: “vuoi mettere l’affetto di una Gillette quando ti accarezza le guance al mattino”, tratta dal libro “Come suicidarsi senza subirne le conseguenze”. Il terzo era un tipo talmente autoritario da decidere lui la frequenza del proprio battito cardiaco.

Perché l’improbabile commissario Max arrestò il bonaccione, quello apparentemente meno sospettabile come autore dello stupro?

 

Soluzione: l’improbabile commissario Max non si fece ingannare dalle apparenze, sfidò i tre a chi ce l’aveva più lungo (giochino a cui nessun violentatore serio sa resistere). Il bonaccione batté tutti. Va da sé che il più dotato fosse anche lo stupratore …

  

Parenti serpenti

Maria Fuentes, nota alcolista di origine cubana, fu trovata senza vita sulla sponda del lago Serpentine in Hyde Park, a Londra. Il corpo della donna era sforacchiato da migliaia di freccette imbevute di Havana Club, con un  tasso alcolemico nel sangue talmente alto che il Coroner, non visto, v’inzuppò dei biscotti. 

La prima ipotesi formulata dall’improbabile commissario Max fu la seguente: la Fuentes, probabilmente, era stata vittima della guerra commerciale in atto fra le multinazionali del Rhum, per il controllo del mercato degli alcolizzati esuli. E, in seconda ipotesi, vittima della concorrenza fra fazioni dissidenti in seno all’organizzazione degli alcolisti anonimi, per il controllo del mercato degli esuli alcolizzati.

Poi però i sospetti caddero sulla sorella della vittima, anch’essa alcolizzata, che nell’ora nel delitto disse di essersi recata in due posti: alle ore 20 dal parrucchiere, e così dicendo alzò un’ascella, e mostrò all’improbabile commissario Max la sua nuova permanente. E alle ore 21, raccontò di aver concluso la serata al cinema Fulgor, dove proiettavano il film ”Resta con la bonaccia”, il remake di “Via col vento” girato al contrario. 

Che cosa c’era che non quadrava nell’alibi della sorella per l’improbabile commissario Max, tanto da arrestarla come autrice del delitto? E quale fu il movente? 

 

Soluzione: memore del tempo che sua moglie passa dal parrucchiere, l’improbabile commissario Max realizzò che  per la sorella era impossibile farsi una permanente in un così breve lasso di tempo. L’alibi della donna era dunque miseramente caduto.

Il movente non fu chiaro. Certamente fra le due sorelle non correva buon sangue. Pardon, buon alcool...

 

Massimo Boni nasce a Firenze dove vive e lavora (commerciante di pavimenti in legno). Inizia la sua carriera artistica con la pittura e dopo passa alla musica come autore di testi e musiche. Ha un suo album all'attivo Amore & zone limitrofe, autoprodotto in poche copie per gli amici. Passa alla comicità pubblicando a proprie spese il suo primo libro Nessuno è perfetto, doppiandolo l'anno dopo con un altro libello: Tutti siamo stati spermatozoi.

Nel frattempo contribuisce con alcune battute all'agenda di Comix e per qualche tempo ha una sua piccola rubrica sul "Vernacoliere". Come tutti, ha un suo romanzo (giallo) "serio" nel cassetto, e spera che un giorno qualcuno lo pubblichi.