Vuoto centrale è il primo romanzo di Silvia Tebaldi, un’autrice che ancor prima del suo esordio in libreria ha ricevuto alcuni riconoscimenti: suoi racconti si sono classificati, infatti, al secondo posto ex-aequo nelle edizioni 2006 e 2007 del concorso Lama e trama. Difficile quindi non riporre delle aspettative in questo romanzo d’esordio, aspettative che non vengono affatto tradite. La scrittura di Silvia è straordinaria, fluida, essenziale, ma allo stesso tempo imprevedibile. Il racconto procede in un vorticoso succedersi di segmenti narrativi, coinvolgendo i personaggi in una ricerca di sé, prima ancora che nello scioglimento del mistero che sta alla base di inquietanti accadimenti e strane coincidenze che ruotano intorno alle porte antiche di una Bologna schiacciata nella modernità allucinata di un futuro prossimo. Una città su cui i protagonisti disegnano una mappa invisibile fatta di indizi, di squarci visivi, di frammenti di vita. Ho incontrato Silvia e l'ho intervistata per Thrillermagazine..

Ciao Silvia, benvenuta su Thrillermagazine. Vuoto centrale è il tuo primo romanzo. Com’è nato il desiderio di esordire con un testo di confine come questo?

Con te che sei fotografa, Barbara, vorrei parlare di questa scelta in termini fotografici. Immaginiamo una foto in bianco e nero, sgranata, contrastata, a luce radente: l’immagine spietata di un destino; semplificando molto, chiamiamola noir.

E poi un'altra foto col grandangolo, con grandi spazi distorti: ha dettagli metallici e di plastica, ultramoderni ma oscuramente familiari, e dettagli vecchissimi, una specie di decadenza prebarbarica. Questa seconda foto, chiamiamola fantascienza.

Ecco: quando sono riuscita a sovrapporre le due foto, l'idea di Vuoto Centrale era lì.

Ma a quel punto c’era qualcosa di strano: il destino non era quello di un singolo, come accade invece nel noir classico. Era il destino di un gruppo, di una comunità, e quindi nemmeno il narratore era più un narratore singolo. E allora anche il meccanismo del giallo, il suo vecchio ticchettio, era cambiato; proprio lì passava il confine.

 

Perché hai scelto di ambientare la vicenda proprio nella tua Bologna?

Vivo a Bologna da anni, ma da qualche parte avevo ancora lo sguardo

delle prime passeggiate per la città; lo sguardo un po' obliquo, stranito, degli studenti pendolari con un’ora vuota; e fin da allora la mappa di Bologna, con le sue dodici porte, mi ha sempre fatto pensare al quadrante di un orologio.

In fondo, come mi hanno detto alcuni lettori di diverse provenienze, Vuoto Centrale non è esattamente un libro su Bologna: è piuttosto una storia sulla vita nelle città.

 

Il personaggio di Mara è un personaggio femminile forte e pieno di sfumature. Come l’hai costruito? C’è qualcosa di autobiografico?

Mara nasce, semplicemente, da alcune donne che conosco: donne che non hanno nessun dubbio se scegliere una cena in un posto di tendenza – una cena affollata, elegante e sfocata - o pane e stracchino con chi gli piace davvero.

Ne conosciamo tutti, di donne così; sono meno rare di quanto si pensi, e hanno il fascino che proviene dalla libertà interiore. Detto questo, non considero Mara un personaggio autobiografico: a parte qualche dettaglio acustico, non le somiglio molto. Piuttosto somiglio a Elia, che costruisce mappe e disegna mancino.

E ora con le parole di Mara vorrei che ci dicessi: chi è Silvia Tebaldi?

Mara diffida delle parole astratte: se volesse descrivermi, forse direbbe che Silvia Tebaldi è una che prova ad ascoltare le cose. Che so, tipo la nona sinfonia di Mahler mentre lava i piatti…

Bologna sta cambiando, esemplificative le porte (città antica) che diventano centri commerciali. Una sorta di critica sociale, la tua?

In questo libro le porte antiche sembrano integre, anzi rispettate e curate: il progresso nefasto è appena fuori porta, vorrei dire alle porte delle porte. Per questo, a volte, fatichiamo a rendercene conto: perché questa falsa modernità convive con un antico restaurato, ottimizzato, reso quasi sterile.

Il censimento fotografico di cui parli nel testo e che costituisce in qualche modo un punto di svolta per il romanzo mi ha molto incuriosita. So che si tratta di un documento esistente. Puoi parlarci di come ci sei entrata in contatto?

E’ un librone con la copertina rossa, più esattamente è il catalogo di una mostra, pubblicato nel 1970 dall’editrice Alfa con il titolo “Bologna Centro Storico”.

Se ne trovano ancora delle copie nelle librerie antiquarie, e forse su E-bay. Lo conosco da sempre, perché mio padre me ne parlò tanti anni fa. La parte più emozionante del libro sono senz’altro le foto del rilevamento: Bologna quasi deserta, vuota, finalmente visibile senza le croste del traffico. Ma se ci fossero solo le foto, sarebbe un bellissimo album e basta… invece ci sono indagini, studi sociali, riflessioni importanti sull’idea di centro storico e sui possibili progetti di salvaguardia. Allora la città guardava avanti, e per poter guardare avanti doveva fare un passo indietro, fermarsi un momento e guardare meglio.

E più in generale, quali sono le fonti da cui trai ispirazione per le tue scritture?

Gente che incontro, discorsi, tracce musicali, passeggiate nelle città. Oggetti ritrovati. Certi mercatini dell’usato, alcuni brevi viaggi in treno, quello che si chiama “paesaggio sonoro”; poi vengono i libri, le voci di narratori e personaggi… ma le fonti primarie sono fuori, nel mondo.

Puoi parlarci dei tuoi progetti futuri più prossimi che riguardano la letteratura?

Temo che ti sembrerà un po’ vago… sto scrivendo, ma per ora non è un progetto chiaro: so solo che sto prendendo appunti sugli anni Cinquanta dello scorso secolo.