Il thriller, la spy-story, il noir parlano italiano. E non da un giorno, ma in questi ‘90 anni del Giallo Mondadori assistiamo a una produzione massiccia e di qualità di prodotti che si identificano come appartenenti a una vera e propria “scuola” nazionale. In un momento in cui tutti si buttano sul genere con l’illusione che questo venda per poi accorgersi che solo le storie buone e ben raccontate hanno successo, librerie ed edicole traboccano di titoli. Mi fa piacere però notare che, pur partendo da punti diversi, si incrocino a volte voci che rivelano un medesimo ‘sentire’ non solo il filone, ma anche questo lavoro. Ho scoperto e letto il libro Ferro e Fuoco di Romano De Marco senza conoscerlo. Ho trovato molti punti in comune con il mio modo di intendere questo tipo di narrativa, ma anche questo nostro mestiere di cantastorie che, prima di ogni altra cosa, richiede … passione.

Lasciamo che sia Romano stesso a parlarci del suo romanzo e incoraggiamolo. Questo è un talento. Parola del Professionista ….

Chi sono i quattro banditi che la stampa ha ribattezzato "I cavalieri dell'apocalisse"?

Da mesi tengono sotto assedio la capitale rapinando, uccidendo senza pietà e prendendosi gioco delle forze dell'ordine. Quando, nell'ennesimo attacco ad un supermercato, una giovane commessa viene uccisa senza apparente motivo, il procuratore capo di Roma capisce che la sua città è davvero in ginocchio e decide di scendere a patti con il diavolo.

C'è solo un uomo che può fermare i banditi, anche se il suo rientro in servizio rischia di innescare una escalation di violenza. Quando il capitano Rinaldo Ferro, del reparto operativo dei carabinieri, tornerà in scena con la sua squadra, Roma si trasformerà in un territorio di guerra.

Ma catturare i cavalieri dell'apocalisse non è il solo motivo che ha convinto Ferro a tornare in azione. C'è un doloroso episodio del suo passato su cui è giunta l'ora di fare chiarezza. Una sottile linea di sangue collegherà gli eventi legati alla indagine sui cavalieri dell'apocalisse a quelli che quattro anni prima causarono il suo allontanamento dall'arma dei carabinieri.

Gli spiriti delle vittime hanno sete di giustizia... e Rinaldo Ferro ha intenzione di placare quella sete. Ad ogni costo.

C'è stato un tempo in cui il cinema italiano non era fatto solo di commedie di natale, polpettoni sentimental-giovanilistici e pellicole più o meno d'autore sovvenzionate dallo stato. Un tempo in cui poliziotti violenti inseguivano criminali e assassini a bordo di Giuliette sprint, combattendo una guerra senza esclusione di colpi per le strade di grigie metropoli industriali passate improvvisamente dal sogno del boom economico all'incubo degli anni di piombo.

Erano i tempi del "poliziottesco", uno dei filoni del famigerato cinema di genere nostrano, dimenticato troppo in fretta e riscoperto troppo frettolosamente, perlomeno dai molti che hanno avuto il solo scopo di compiere una discutibilissima operazione "nostalgia".

Se artisticamente quel cinema, nel complesso, lasciava a desiderare (a parte alcuni rari capolavori) dal punto di vista delle idee, della tecnica e della analisi sociologica del contesto storico ha rappresentato un fenomeno che merita ampia e ragionata analisi.

Evito di continuare a sviluppare il discorso in questa direzione, per ovvi motivi di spazio e di opportunità, sperando di poter dare il mio modesto contributo di appassionato in una sede più specifica. Voglio soffermarmi, piuttosto, sulle suggestioni, le visioni, le icone di quel cinema, che da sempre hanno abitato il mio immaginario e quello di una intera generazione di quarantenni. Ma parlare semplicemente di immaginario forse è riduttivo. La narrativa, i fumetti, il cinema, dei quali da una vita sono grande, appassionato fruitore, hanno contribuito alla mia formazione culturale così come le esperienze vissute e la letteratura "alta", della quale sono innamorato perdutamente.

Il risultato di questo mix è, da sempre, la voglia – il sogno – di raccontare le mie storie, rendendo omaggio a quelle icone e tributandogli il giusto riconoscimento.

Il sogno, ora, è divenuto realtà. FERRO E FUOCO, il mio romanzo d'esordio, nasce proprio da una serie di spunti, di immagini, di ricordi legati al cinema poliziottesco. E anche, in maniera diversa, a quello di arti marziali.

All'inizio c'era l'idea di un personaggio sul quale aleggiasse un alone di mistero, con alle spalle un passato mitico ma anche oscuro. Il ritorno in scena di un eroe politicamente scorretto richiamato sul campo per affrontare una situazione disperata. Questo concetto di base si è arricchito, poi, di personaggi di contorno, in larga parte ispirati a modelli riconducibili alle mie basi "culturali", ma spesso anche prelevati di peso dalla realtà.

La trama si è praticamente sviluppata da sola in una sorta di divertentissimo esercizio di scrittura nel quale mi sono ritrovato ad essere allo stesso tempo autore e lettore curioso degli sviluppi del mio romanzo.

All'inizio l'ipotesi di una pubblicazione era molto vaga... Ha iniziato a concretizzarsi quando i giudizi dei lettori occasionali (alcuni addirittura "in progress"...) si sono rivelati entusiastici.

Sgombro subito il campo da ogni dubbio. Non ho mai avuto né mai avrò ambizioni letterarie di alcun genere. La mia aspirazione, sin dall'inizio, è stata quella di intrattenere. Di divertire con una storia e dei personaggi che ricalcassero le caratteristiche che io stesso, da lettore di narrativa di genere, cerco e pretendo dalle cose che leggo, rimanendo, peraltro, spesso deluso.

Detesto, concettualmente, chi cavalca il genere sia esso noir, piuttosto che thriller, poliziesco ecc., solo per propagandare il proprio stile di scrittura o per mancanza di coraggio nell'andare fino in fondo in quelle che sono le sue vere aspirazioni di autore. Le velleità commerciali di costoro, spesso si scontrano con la delusione di lettori che si sentono presi in giro da trame insulse e incoerenti. Da decine di pagine incentrate su descrizioni di atmosfere, stati d'animo, paesaggi suggestivi (ma per chi?...) a scapito dell'intreccio, della tensione, del ritmo che mi pare lecito e doveroso pretendere da un'opera di un certo tipo di narrativa.

Spiegazioni raccontate in "fuori scena", finali buttati via in poche, offensive pagine, personaggi che non riescono a uscire da una dimensione statica studiata a tavolino, tanto bella e originale da contemplare quanto inadeguata a reggere il ritmo di una storia.

La storia, appunto, è quella che spesso latita nella narrativa ibrida di cui sopra.

Ci sono poi, per fortuna anche in Italia, narratori onesti che ci mettono l'anima, la passione, e una incredibile professionalità che si manifesta anche nella competenza tecnica, lo studio, il rispetto per il lettore. Altieri ha fatto scuola e il suo straordinario universo narrativo ha contribuito a stimolare la creatività di chi ha voluto cimentarsi con un genere tutt'altro che facile (vedi chi mi ospita gentilmente in questo spazio...)

Non so se il mio sogno di vedere pubblicate le mie storie continuerà. Di certo continuerò a scriverle. FERRO E FUOCO è stata pensata sin dall'inizio come una serie. Il secondo "capitolo" è già pronto e il terzo è in cantiere... Amo i miei personaggi, intendo continuare a farli vivere, interagire, evolversi all'interno di una saga che deve soddisfare, innanzitutto, me stesso. Quando non mi divertirò più a raccontare, capirò che è arrivato il momento di smettere. Fino ad allora posso solo sperare che le mie storie possano intrattenere piacevolmente per qualche ora, chi le legge.

Frédéric Dard, il grande autore della straordinaria saga del commissario Sanantonio, parlava di se stesso come di autore di "letteratura da FFSS" riferendosi al fatto che i tascabili di Sanantonio erano tra le letture più apprezzate dai pendolari sui treni... Beh, io ci metterei la firma a diventare un apprezzato autore da FFSS...