Quando, nell’aprile del 2007, ho iniziato a scrivere la trilogia di ‘Montecristo’ avevo in testa un progetto ma poco di più. Da anni volevo sviluppare in un romanzo l’ipotesi di un colpo di stato in Italia, un lavoro che contenesse in qualche modo tutte le suggestioni e le esperienze di narratore popolare sperimentate in precedenza, ma che avesse, allo stesso tempo, qualcosa di più. Pubblicavo da 17 anni ed ero passato dal noir urbano, allo spionaggio internazionale, all’avventura storica e a quella esotica. Circa un paio d’anni prima avevo avuto una di quelle fulminazioni che ti cambiano il modo di vedere la scrittura e la narrativa. Come già mi era capitato all’inizio degli anni ’90, quando la passione per il cinema di Hong Kong aveva radicalmente cambiato la mia visione delle scene d’azione e del modo di narrarle, nell’inverno del 2005 cominciai, quasi per una sfida con me stesso, a scrivere un’avventura del ‘Professionista’ ambientata in Italia, a Milano, la mia città, in particolare. Non che non avessi mai ambientato le mie storie in Italia … Sin dall’esordio, ‘Per il sangue versato’, mi ero mosso a Milano e importanti brani dei miei racconti avevano avuto la mia città come set( ‘Sopravvivere alla Notte’, ‘Pista cieca’, ‘L’ombra del Corvo’ e poi ‘Il cavaliere del vento’ e ‘Quarto Reich’ contenevano ampie ricostruzioni di Genova e Bologna). Lo stesso Professionista, il mio personaggio più fortunato, spesso aveva brevemente agito in Italia, a Venezia, a Cortina, in Liguria e a Napoli. Ma si era trattato di escursioni non molto differenti da quelle che si possono trovare in qualsiasi romanzo di spionaggio anche straniero.L’idea di riscoprire il panorama italiano nasceva da stimoli differenti. Il primo, come dicevo, fu cinematografico. Da anni sono un collezionista e un ricercatore della tradizione cinematografica italiana legata al thriller e all’azione. In altra sede ho già avuto modo di sostenere che le attuali tendenze narrative della new wave degli autori italiani nasce proprio dal cinema di ‘ genere’ delle decadi 60-70. Avevo riscoperto il ‘ thrilling’ pre e post argentiano, di cui ero già cultore da tempo. La novità è stata il ripresentarsi sugli scaffali delle videoteche del cosiddetto poliziottesco, quelle storie cariche di adrenalina ed entusiasmo se non di denaro che da ragazzino avevo visto solo sui flani perché considerate troppo violente. Ai tempi del liceo (che stupidaggine!) erano catalogati come film ‘fascisti’ mentre il più delle volte era proprio l’opposto. L’idea poi di riscoprire ambientazioni a me più vicine si sposava con l’osservazione della realtà che mi proponeva una Milano differente, multietnica e animata da una criminalità che- sotto il profilo della narrazione- non aveva nulla da invidiare a quella francese, britannica o americana. Sulle pagine dei romanzi … be’ qui si faceva un salto indietro perché le atmosfere che cercavo, e anche una certe dose di durezza le ritrovavo solo nei testi di Scerbanenco che riletti con attenzione presentavano caratteri comuni con un personaggio dei fumetti che mi ha sempre molto influenzato, ‘Lo Sconosciuto’ di Magnus. La linea che univa Ulisse Ursini, Lo Sconosciuto e Chance Renard, Il Professionista era nella mia mente già molto chiara. Il tassello definitivo era quindi raccontare una storia tutta milanese con il mio personaggio. Ho iniziato a scrivere quindi un racconto “fuori serie” del Professionista, ambientato tutto in una Milano che chiamai ‘Gangland’, trasformando i nomi delle strade. La preoccupazione maggiore era quella di non spiazzare troppo il pubblico di Segretissimo che aveva seguito Chance in ogni angolo del mondo e si trovava di fronte una vicenda non solo dai toni solo vagamente spionistici ma anche contestualizzata in un ambiente nostrano. Il progetto era di trarne un raccontino di una trentina di pagine al massimo. Poi, come altre volte mi è capitato, la storia mi ha un po’ preso la mano, diramandosi in cento vicoli, imponendo attenzione per ambientazioni e personaggi secondari tanto da diventare un romanzo. Cosa fare? Lo stimolo a scrivere era forte, tanto che mi capitava di interrompere altre attività per buttare giù dei brani. Insomma un romanzo quasi più lungo della media che si è letteralmente scritto da solo, almeno nella sua prima stesura. Restava ancora il dubbio se una vicenda che aveva più punti di contatto con la ‘Trilogia del Milieu’ di Fernando Di Leo che con De Villiers potesse risultare gradita al pubblico di Segretissimo. Chiesi consiglio all’editor (Altieri) e lo presentai come un fuoriserie all’editore che stava pubblicando in libreria le prime avventure di Chance e che già stava stampando i miei romanzi più importanti firmati Di Marino (‘Ora Zero’ e ‘Sole di Fuoco’). Ora, senza voler entrare nei dettagli, il rapporto con questo editore si stava deteriorando per ragioni varie e non tutte comprensibili. Si stava delineando una situazione per cui i miei libri sarebbero stati promossi solo se fossero rientrati in un filone più tradizionale del giallo italiano, insomma avrei dovuto scrivere storie con l’odiato cliché del commissario dal volto buono. Non era proprio il mio pane. Perciò ‘Gangland’ (che si chiamava ‘Milano senza pietà’) non solo venne rifiutato ma mi sentii dire che la storia era irrealistica (ma io mica volevo scrivere un saggio sulla mala milanese) che pareva quasi una caricatura di un poliziottesco e che … insomma (questo era il succo) certe cose sono ammissibili in film e romanzi “americani” ma in Italia certe cose non succedevano …( l’editor in questione evidentemente non legge i giornali e non si accorge delle scene di violenza Made in Hong Kong che avvengono a 100 metri dalla sua redazione …) Non ero molto contento. Di fatto ‘Gangland’ mi sembrava una delle cose migliori mai scritte. Così decisi di fare ‘il salto’ e proporlo a Segretissimo ripristinando appunto l’escamotage del cambio dei nomi delle vie in modo che Gangland fosse una città mitica … immaginaria … un po’ come Sin City. Il risultato su Segretissimo è stato quello che sapete. Al pubblico non solo l’idea piacque ma generò una nuova direzione delle avventure del Professionista che, da quel momento si è trasferito da Parigi a Milano e, pur continuando a vivere avventure in ogni angolo del mondo, parte sempre dall’Italia. Evidentemente la mia testardaggine nel proseguire il mio progetto narrativo non piacque molto al mio editore per la libreria che aveva già acquistato i diritti per un altro paio di ristampe del vecchio Professionista e per ‘Sole di Fuoco’ (che pure aveva un parte in quella stessa Milano criminale di ‘Gangland’). Insomma, certi fatti li conoscete. La ristampa del Professionista si è arrestata (malgrado ‘Il veleno del Cobra’ avesse avuto prenotazioni superiori ai precedenti episodi) e ‘Sole di Fuoco’ è uscito in sordina, già in economica senza alcuna promozione salvo quella che ho fatto personalmente. Curiosamente il 24 febbraio 2009 ‘Ora Zero’ resta nella classifica IBS dei tascabili più venduti http://www.ibs.it/reparto/b11/reparto.html.... però mi è stato risposto.. che insomma non sono vendite analogiche (qualsiasi cosa voglia dire … in parole buone quell’editor ha deciso di scaricarmi e non ci son santi che tengano) … vedete voi... Al di fuori di queste vicende editoriali più o meno felici ma che fanno parte del nostro lavoro e che uno deve inghiottire ( non accettare …) senza poterci far nulla, il lavoro prosegue. Il Professionista sta continuando con soddisfazione la sua marcia e si prepara ai 15 anni di vita tra vari spin-off e intrecci vari. Con ‘Gangland’ ha imboccato una nuova strada. La rivisitazione ( sempre attuata con un minimo di distacco, ‘ cucinando’ le storie alla mia maniera così come avevo fatto con lo spionaggio classico, l’action orientale e altre suggestioni) del polizziottesco però aveva aperto un orizzonte nuovo ma, come omaggio a quella stagione cinematografica italiana è rimasta circoscritta a ‘Gangland’. Già con ‘I lupi muoiono in silenzio’ (uscito in ‘Anime nere’) l’Italia percorsa da Chance Renard è diventato un altro dei suoi scenari … mitici ma autonomi rispetto all’ispirazione anni 70. È l’Italia di oggi, della cronaca, la stessa che ritroviamo in un frammento importante di ‘Sole di Fuoco’. A questo punto ‘Montecristo’ era già in pieno svolgimento. Avevo buttato giù un’idea di base che però comprendeva un lavoro esteso, una trama complicata anche di più di ‘Ora Zero’ che già aveva raggiunto le 700 pagine. Credo sia abbastanza interessante ( per me era importante farlo prima di cominciare il lavoro) capire quali erano le origini della storia e lo spirito che l’avrebbe pervasa. Prima di tutto ‘Montecristo’ non è un romanzo politico. Non lo era almeno inizialmente, poi alcune intuizioni avute guardando la cronaca del nostro tempo hanno trovato uno spazio nella narrazione. Alcuni lettori mi hanno segnalato che certi personaggi, soprattutto tra i cospiratori, presentavano somiglianze con figure che i giornali ci ripropongono tutti i giorni. Come si dice... ogni riferimento a fatti e persone reali è puramente casuale. Almeno sino a un certo punto. Di fatto non avevo in mente quel politico o quella figura pubblica particolare. La situazione generale italiana di questi ultimi anni, sicuramente sì. Ma ‘Montecristo’ resta un romanzo d’intrattenimento, “principalmente”… a volte leggendo con attenzione certe notizie ho avuto qualche idea che poi si è sviluppata sulla carta ( molti mesi prima della effettiva pubblicazione) suggerendo l’impressione che abbia voluto focalizzarmi su un problema specifico. Un esempio eclatante è l’inizio di ‘Giorno maledetto’ in cui Calarno incontra un informatore nella discarica di San Giuliano, luogo su cui mi ero documentato e che mi pareva un ottimo set per una scena forte d’azione. Ancora non sapevo che nei mesi a venire proprio in quella zona si sarebbe sviluppata l’insostenibile situazione di cui abbiamo letto sui giornali. Preveggenza? No, solo una certa attenzione ai dettagli. L’idea di scrivere un romanzo su un colpo di stato nel nostro Paese mi solleticava da anni senza però trovare una via definitiva per esprimersi. Certo, qualche spunto mi era stato suggerito da film come ‘La polizia accusa, il servizio segreto uccide’, o ‘La Polizia ha le mani legate’ e fors’anche il mitico ‘La Polizia ringrazia’, ma non era esattamente quello il tono con cui volevo affrontare la storia. Del resto non desideravo scrivere un romanzo di rivisitazione scritta del poliziottesco anche se il filone qualche traccia dentro di me l’aveva lasciata. Piuttosto ( e qui si tratta di percezioni più che progetti elaborati) sin dai tempi della ‘Piovra’, ero convinto che una vicenda che trattasse, in maniera spettacolare ma con un impianto realistico, i rapporti tra malavita e potere potesse ottenere qualche riscontro. Io credo che la via sia stata aperta da ‘Ora Zero’ e dal suo seguito ‘Sole di fuoco’, romanzi che mi hanno impegnato molto e sui quali avevo puntato parecchio. Che il risultato sia stato meno soddisfacente in termini di diffusione del mio lavoro non conta. Per la verità entrambi hanno ricevuto lusinghieri e ‘sinceri’- cioè non sponsorizzati- riconoscimenti critici (basti citare Pacchiano, Oliva e Cheli). ‘Ora Zero’ era una sfida con me stesso. Raccontare una spy story alla massima potenza ambientata ‘solo’ in Europa rinunciando ai miei già rodati cavalli di battaglia dell’avventura esotica e dei ricordi di viaggio in Oriente. Obiettivo riuscito e replicato in ‘Sole di fuoco’ che è una vicenda solo un po’ più breve (mi era stato dato il via libera purché non facessi spendere troppi soldi in.. carta all’editore... salvo poi ributtarmi in economica in prima battuta). In ‘Sole di Fuoco’ avevo voluto uno spazio tutto milanese ma l’avevo mescolato a scenari asiatici perché, alla fine, non ci vedevo nulla di male. La serie dedicata agli eroi della DSE Bruno Genovese, Linda Casillas e gli altri finisce qui. O meglio in parte la DSE viene a interagire con l’universo del Professionista ma è ovvio che ‘Montecristo’ era un po’ la ‘terza stagione’ della serie, se vogliamo ragionare in termini di show televisivi, come ‘24’ (certamente uno dei modelli almeno per ‘Ora Zero’). Cambiando editore era necessario trovare un protagonista nuovo. Poi volevo una storia che stesse in piedi da sola, quindi con un eroe – sempre che di eroi si tratti – inedito, giovane rispetto a Genovese e del tutto italiano al contrario di Chance che resta sempre uno straniero.Nasce così un intrigo in cui s’inserisce anche un tema da me raramente affrontato, quello del serial killer. Politica internazionale ma sostrato italiano anche se nei primi due episodi qualche puntata all’estero, in Est Europa, non me la sono voluta negare perché ormai la politica non è mai solo un fatto interno. E qui è cominciato il gioco degli intrecci, i riferimenti alla DSE e al suo universo, persino un accenno al Marsigliese, l ‘arcinemico di Chance Renard. E poi c’era Andrea Calarno, eroe di cui quest’anno ricorrono i venti anni, che ho preso a prestito con dovuta deferenza da Sergio ma trasformandolo un po’ perché, appunto è una mia interpretazione del personaggio. Certamente si tratta di un lavoro di ampie dimensioni, una story-line che nel suo complesso ha preso oltre 60 cartelle di struttura e lavorata- per la prima volta- in tempi e blocchi separati.Tirare le somme nell’ultimo episodio che volevo in crescendo e soprattutto ambientato completamente in Italia all’interno di scenari non visti precedentemente, è stato stimolante ma non semplicissimo. Nella stesura dell’ultimo episodio ho tenuto con me non solo la sinossi particolareggiata del racconto ma anche i precedenti volumi. Perché c’erano mille fili da ricongiungere, cento personaggi che dovevano trovare una ragione d’essere nel loro complesso. Poi c’era la sfida rappresentata dal famoso Codice Montecristo del quale solo l’ideatore, il “Grande vecchio” che si rivela solo alla fine, può dare un senso. Rileggere l’opera di Dumas può essere divertente e stimolante ma cercarvi riferimenti indizi da lasciare qua e là in un’avventura dove il ritmo e l’azione dovevano essere sempre al centro del mirino … non era facile. In realtà il romanzo ‘Il conte di Montecristo’ mi ha affascinato e mi ha suggerito altre letture d’epoca in cui, proprio in ‘Stagione di Fuoco’ si trovano delle eco… Senza voler anticipare nulla c’è un duello dei ‘Miserabili’ di Hugo tra Valjean e l’ispettore Javert che … ma non corriamo … Una sfida, ma questo lavoro è fatto anche e soprattutto di queste avventure. C’era poi da definire il protagonista. Dario Massi è il mio primo “sbirro” protagonista. Ovviamente non poteva essere il ‘commissario cliché’ né intendevo che fosse una variante del ‘ commissario di ferro’. Al tempo stesso si differenziava da altri miei personaggi. Non volevo un doppione del Professionista che è un bon vivant, un ‘kazzone’, una vecchia canaglia che a volte sembra lasciarsi distrarre da elementi che non sono legati strettamente alla missione e, alla fine, è un ragazzo che voleva diventare un avventuriero e quando ci è riuscito ha capito che era l’unica cosa che sapeva fare … Un po’ Bruno Genovese che è più anziano ma più realizzato come uomo ( anche se la sua vita matrimoniale è complessa, ma negli ultimi romanzi è decisamente un uomo maturo). Dario Massi me lo vedevo un po’ con la faccia e il fisico di Daniel Craig in ‘The Pusher’ ( perché no? Anche in ‘Casinò Royale’). Più giovane, sofferto perché è un uomo dilaniato da diversi conflitti che gli conferiscono una tetraggine di fondo che altri miei eroi non hanno, almeno non come lui. Più umano? Decidetelo voi … Dario Massi non è un pistolero. È un uomo che può essere molto violento; nel secondo ‘Montecristo’ quando scopre di essere tradito dalla donna che ama la butta giù da un tetto … ci soffre, ma non può farne a meno. Come non può fare a meno di accettare patti con il diavolo per arrivare a vendicare amici e amanti morti. Dario Massi è un solitario. La donna che ama veramente è Lana ma, salvo per un breve attimo, sa di non poterla avere. Come sa di non poter avere Daniela Fornari perché lei è una donna ambiziosa, già impegnata con il giudice gatti. Forse con Yelena ha una possibilità … ma c’è qualcosa dentro che lo divora e lo spinge sempre su un sentiero difficile tortuoso. Al contrario di Chance, di Vlad persino, non volevo un dongiovanni anche se le donne gli piacciono e, soprattutto nella prima avventura, ha alcune storie di sesso prive di alcun coinvolgimento emotivo. Dario ha dei sentimenti così profondi e forti da non riuscire a esprimerli se non in modo … assoluto, estremo.Così è per la giustizia. Non è un questurino, un esecutore della Legge, ma crede in una Giustizia il cui concetto gli arriva da una serie di esperienze e probabilmente non è condivisibile da molti cittadini. Di certo non è un personaggio ‘politicamente corretto’. Nel terzo episodio ho cercato di enfatizzare come in una condizione di caos totale, di colpo di stato siano gli agenti della sicurezza nazionale a diventare i terroristi e a muoversi con il loro stesso modo di agire, di sentire la città intorno a loro. In questo senso Dario Massi quando dice di essere Montecristo è sincero. Per sconfiggere il suo nemico deve diventare come lui. Morire e poi tornare a vendicarsi. Anche se, in realtà, Edmond Dantès e il conte di Montecristo sono identificabili con il misterioso uomo politico che ha ordito il piano di sovversione. Che non è una semplice rivalsa, un complicato inganno per arrivare al potere. È un feroce atto di risentimento verso tutto il paese anche a costo dell’autodistruzione.Ma è anche un grande romanzo corale. Di fronte a Dario Massi si profila la figura di Misericordia. Umberto Germani è la mia versione del serial killer e, naturalmente, lo volevo con dei tratti assolutamente originali rispetto ai modelli classici. Prima di tutto doveva avere un ruolo chiave in una vicenda politica. Al tempo stesso doveva mantenere quelle caratteristiche ‘private’ tipiche dei ‘maniaci’. È, perciò, un personaggio imprevedibile anche per chi se ne serve come semplice strumento credendo di poterne manipolare la follia. Strutturalmente è una commistione del classico assassino seriale con turbe paranoico-sessuali e il killer perfetto. Doveva essere di una bellezza inquietante, evocare una sessualità malata, ambigua che nascesse dal rapporto incestuoso con la sorella ma anche dal trauma di averla vista massacrare. Da qui un transfert che gli permette di raggiungere il piacere solo attraverso l’omicidio, Ma Misericordia è anche un maniaco della disciplina dell’ordine. La capacità di controllarsi è un’abilità che gli ha insegnato Matilde, la sorella, come un gioco perverso ma che gli ha concesso di salvarsi quando lei è morta. Negli anni in cui è diventato un killer al servizio del potere, Misericordia ha canalizzato la ferocia omicida in una serie di atti preordinati che ne hanno fatto un militare perfetto. Questa dualità tra follia e metodo è la chiave per comprenderne le azioni, la ragione per cui diventa pericoloso anche peri suoi committenti proprio perché si rifiuta di essere pedina e tiene per sé parte delle informazioni che dovrebbe distruggere. Tra questi due poli si inseriscono numerosi altri personaggi negativi e positivi. Sul fronte dei … cattivi troviamo l’artefice del piano eversivo Montecristo, ma anche Carlo Villagrandi, industriale segretamente imparentato con la mafia che è stato l’antagonista principale dei primi due episodi. Qualche lettore ha voluto vederci una trasposizione di un noto personaggio di cronaca politica ma non è esattamente questo. Villagrandi con le sue parentele mafiose, l’ossessione per il culto di Mithra, i legami con il mondo industriale e politico è un po’ la somma di tanti personaggi, non di uno solo e, in gran parte, è inventato. Ho in mente un modello ma non credo che al di fuori di me qualcuno l’abbia realmente riconosciuto. Marco Scorrano è un altro dei nemici più difficili. Appare in tutti e tre gli episodi e si pone su un livello differente rispetto a Villagrandi e a Misericordia. È un uomo di intelligence, ma anche d’azione. Alla fine un esecutore, un mercenario che cambia spesso la sua fedeltà ma che, per mezzi e capacità, si può dimostrare tra gli avversari più pericolosi. La sua caratteristica è la mancanza di passionalità. L’artefice di Montecristo, Misericordia, Maddalena Pecchi-Rachini, Daniela, altri personaggi minori ambigui come Maffei e Nardella sono, in maniera differente e a livelli diversi, sempre spinti da passioni, odio, avidità, desiderio di rivalsa. Scorrano è un soldato. Per certi versi è la controparte nera di Calarno. C’era poi la squadra che si assottiglia sempre più. Un variegato arazzo di amici di compagni di lotta che, nel corso dei tre romanzi affrontano una situazione disperata che opera veri e propri cambiamenti sul loro modo di essere, rispetto agli altri e la vicenda. Karima ne è l’esempio più evidente. All’inizio è una novellina, anche sessualmente incerta sulle sue scelte, poi il legame con Ivano la trasforma in una guerriera, e come tale arriva sino in fondo. Il cardinale Montero è la personificazione della Chiesa corrotta, lontana dalla fede e più vicina ai corridoi del potere. Alla fine è un meschino come Nitta-Braghieri e il presidente del Senato, Rodi. Pedine di un gioco che non comprendono veramente. L’unico che riesce a intuire la trama astuta che sta alla base del Piano Montecristo è Licata, il vecchio superiore di Dario, l’uomo sfuggito al massacro. È un revenant, un guerriero che torna a essere un uomo di legge spinto dall’orgoglio e che,all’inizio, mal si adatta alla squadra di Dario ma poi ne diviene parte. In questo senso è una citazione. Vittorio Licata è, senza troppo mascheramenti, ispirato al personaggio interpretato da Vittorio Mezzogiorno nella Piovra 5 e 6 anche se, per ovvie ragioni di narrazione, poi si muove e si evolve in maniera differente. Ma nel mio cast ideale è proprio l’attore scomparso che gli presta la faccia. Da ultimo vorrei ricordare un personaggio che sembra solo di contorno e che viene da ‘Ora Zero’. Die Spinne, il Ragno, è un vecchio killer, organizzatore e manipolatore super partes più che attore in prima persona. Eppure, come vedrete, il suo ruolo nella vicenda è più importante di quello che si potrebbe immaginare. Un legame diretto con Ora Zero e Sole di Fuoco che mi piaceva sottolineare. Di più non mi resta da dire …? leggete il romanzo, se ne avete desiderio riprendete la vicenda dall’inizio e assaporate questo gusto da thriller italiano che, senza volerlo, è diventato lo specchio della mia epoca. Io non sono un magistrato o un giornalista. Sono un narratore, ma anche un cittadino, una persona che ancora prova sgomento e si sente oltraggiata di fronte a certe cose che vede sui giornali o nei notiziari. Forse scrivere questo libro un po’ mi è servito per esorcizzare questi timori.