Lui, il mostro

La città ha paura. Paura del mostro. Sì, perché chi uccide in quel modo, con  tanta ferocia, senza alcun motivo, per tre volte di fila, in giorni diversi della settimana, non può che essere un mostro. Qual è la novità di tutto ciò? Che questa volta è toccato a noi, alla nostra bella città, con i suoi palazzi barocchi, le sue ville liberty, le sue cattedrali gotiche, i suoi giardini verdissimi e scuri e le sue piazze alla De Chirico, sempre poco illuminate e che, la sera, sembrano popolarsi di ombre misteriose. Forse tra queste ombre c’è anche lui, il mostro. Sì! Lui, il mostro. Ormai tutti in città lo chiamano così. La Polizia brancola nel buio. Le uniche tracce che il mostro ha lasciato sono le cose orribili che ha commesso. La prima vittima è stata una giovane donna, sgozzata con un pugnale dalla lama sottile ed affilata nell’ascensore dello stabile fatiscente dove abitava e dove si vendeva. La seconda è stata un bambino di otto, anche lui ucciso con la stessa arma e nello stesso modo, mentre stava rientrando a casa dopo essere stato nel parco a giocare con i suoi amichetti. Un classico! O quasi. La terza vittima è stata una donna di mezza età, strappata alla vita nel medesimo modo, nel parcheggio sotterraneo del supermercato dove era andata a fare la spesa.

Faccio il giornalista e mi occupo di esteri. Il che vuol dire scrivere quasi sempre di guerre, massacri, torture, dittatori, rivoluzioni, fame, terremoti, alluvioni. Sono ormai assuefatto alla morte. Tutte le volte che scrivo i miei pezzi penso sempre a quello che Chaplin fa dire a Monsieur Verdoux, il quale afferma che i suoi delitti sono solo cose artigianali rispetto ai milioni di morti provocati dalle guerre scatenate dai governi. In questi giorni, ovviamente, non posso non pensare a lui, il mostro. Anzi mi è capitato di pensare che proprio lui, il mostro – lo chiamo anche io così – possa essere in realtà una donna. Che cosa terribile e bellissima se fosse vera! E, immancabilmente, il mio pensiero va Erzsèbet Bathory, la nobildonna ungherese che nel Seicento uccise centinaia di fanciulle per immergersi nel loro sangue convinta com’era che così avrebbe potuto conservare intatte giovinezza e bellezza; Anthony Perkins, che in Psyco uccide vestito da donna; a Clara Calamai, che in Profondo rosso maneggia con tanta disinvoltura coltelli, mannaia e acqua bollente. Ogni cosa che una donna fa, anche il più atroce dei delitti, per un uomo ha sempre qualcosa di seducente.

Piove. Il cielo è petrolio e l’atmosfera strana. In pochi attimi la città è flagellata da una pioggia fredda e greve. Ho deciso me ne torno a casa. In redazione, tanto, non ho nulla da fare di urgente. Questa sera mi attende una bella festa da alcuni amici. E mentre mi vesto con cura per l’evento penso a lui, il mostro, che in pochi giorni ha cambiato la vita della nostra città, che ha cambiato soprattutto la mia vita. Poi vado nello studio e tiro fuori dalla libreria una cassetta di legno foderata di velluto rosso con dentro cinque pugnali dalla lama sottile ed affilata, li afferro, li accarezzo e dico sottovoce:

“Lui… Anzi… Io, il mostro… Che è dentro di me”.