Lo scorso ottobre la Fanucci ha tenuto a battesimo l’esordio letterario di Adriano Casassa, con un thriller inedito intitolato Il gioco estremo. Un’opera prima che l’editore definisce “un page-turner [...], un thriller a sfondo ecologico, una spy story, una denuncia di un mondo alla deriva, un gioco di alta finanza, un mistero intorno a Salvador Dalì, una storia d’amore per l’uomo e per gli alberi, una speranza concreta per un futuro migliore. [...] Un libro che non lascia indifferenti.” Abbiamo voluto conoscere meglio Adriano Casassa e il suo lavoro...

Caro Adriano, benvenuto su ThrillerMagazine.

Caro Thriller Magazine, ringrazio Voi per l’interesse al Gioco estremo.

Prima di parlare del tuo romanzo, vuoi raccontarci qualcosa di te?

Adriano Casassa è prima di tutto un marinaio, che ha avuto la passione della finanza e lavorato come trader di banche internazionali per dieci anni ed è in seguito divenuto chef per questioni etiche e di qualitá di vita. Ho abbandonato Milano e Londra per Barcellona dove vivo e a volte cucino nel mio ristorante: La Locanda.

“Il gioco estremo” è il tuo titolo d’esordio. Qual è la trama, in sintesi?

E’ una storia di spie che usa la suspense e l’intrigo per rendere avvincente la lettura, ma il suo vero obiettivo è stimolare riflessioni nel lettore sull’enorme pericolo che si delinea all’orizzonte. Un futuro inquietante che evoca scenari infernali.

“Il gioco estremo” è un bel titolo. Lo hai scelto da subito, o dopo aver scritto il romanzo?

E’ stato scelto da Sergio Fanucci, il mio romanzo era intitolato I Microbi della Trottola, un titolo allegorico e ritenuto poco commerciale dal mio editore.

Nel tuo lavoro convivono vari generi. Volendo trovare una definizione di sintesi, quella di thriller ecologista ti sembra azzeccata?

“To thrill”, significa spaventare, e provocare paura è uno dei miei obiettivi, ma solo come stimolo alla riflessione e quindi alla reazione contro un futuro che svanisce e minaccia di cadere nel Nulla.

Quando e come è nata l’idea per questo romanzo?

E’ nata dalla frustrazione, da un senso di potenza inespressa. Io non sono uno scrittore, ma un guerriero antico romano. Non ho cominciato a scrivere per intrattenere. Il Gioco Estremo è l’erede della mia spada ormai obsoleta. Questa nuova arma, forgiata nei cristalli liquidi di un computer, è la speranza che legioni di parole possano muovere coscienze e provocare reazioni. Da molti anni tutto ha cominciato a perdere senso e, quando la vita perde senso significa che il vuoto la intossica. Io ho scritto il Gioco Estremo perché sento e vedo il Nulla dilagare intorno a me, ai miei bambini, a tutti. Per combatterlo non è bastato aver chiuso la mia finanziaria privata che rendeva cento volte un ristorante, oltre a scegliere un lavoro etico ho dedicato le notti a combattere con la fantasia contro chi avvelena il mondo e ruba la gioia di vivere, contro chi usa logica tanto gelida da essere inumana.

Il tuo editore ha creduto molto nel tuo lavoro. Com’è avvenuto il tuo incontro con Fanucci? E’ stato il primo editore a cui hai proposto il testo?

Il mio amico Carlo Feltrinelli è stato il primo a ricevere il manoscritto, ma lo ha dato a Sergio Fanucci. Carlo aveva difficoltà a inserire un romanzo di genere Spy nelle sue collane editoriali e per questo lo ha passato a una persona di fiducia. Fanucci lo ha letto ed entusiasta è volato a Barcellona per incontrarmi. E’ nata una grande amicizia, nutrita da stima e affetto reciproco. Sebbene questi siano tempi dominati dall’immagine, dalla comunicazione passiva, Sergio ha fede nella magia che ancora un libro può evocare. Entrambi speriamo che Il Gioco estremo arrivi al cuore dei lettori e risvegli guerrieri assopiti, li renda consci del loro potere, della possibilità di cambiare il mondo. Il futuro non è scelta esclusiva di poche persone, anche in questi tempi bui, il massimo potere è nella gente.

Di tutti i generi che convivono nel tuo romanzo, stante il soggetto, gli elementi propri della spy story giocano inevitabilmente un ruolo di primo piano. E’ una semplice conseguenza della trama scelta, oppure il thriller spionistico è in effetti tra le tue preferenze di lettore? E, se lo è, vuoi darmi un’opinione sulla spy fiction attuale?

Io leggo soprattutto classici e filosofia. Della spy fiction contemporanea, ho letto Stefano di Marino, Genna, Follet, Forsyth, Le Carre’. Lo spionaggio è un genere che amo per il suo ritmo rapido, l’azione e la presenza di eroi che mettono in gioco il loro bene supremo, la vita, anche se spesso per cause indegne di tale sacrificio

Sotto certi aspetti, azzarderei a dire che il tuo romanzo ha un respiro un po’ fantasy. Sia chiaro: non c’è alcun aspetto magico (semmai filosofico, quasi religioso) nel modo in cui la Natura emerge nel romanzo. Il mio riferimento al fantasy riguarda piuttosto la forte presenza di simboli, l’antagonismo tra forze positive e negative – per quanto non interpretate in modo strettamente e irritantemente dicotomico - e il carattere universale – “globale”, in chiave moderna – di uno scontro duro, estremo, epico quindi...

Ti ringrazio per aver percepito l’attenzione con cui ho cercato di evitare ogni aspetto “magico” nel libro, un errore che temevo perché avrebbe portato a classificarlo come Fantascienza. E’ vero, lo scontro è manicheo, ma reale. Sono tempi dove i mezzi toni hanno perso senso, mai come ora le scelte da fare devono essere nette. Il tempo dei compromessi è finito. La religiosità che emerge nello scorrere della storia è paganesimo, un inno alla Natura a un Dio finito e molteplice. Un Dio che si vede e si tocca, che mostra ogni giorno il suo potere creativo, ma che abbiamo rinnegato per il Dio del cielo: un entità metafisica, indifferente, in cui è sempre più difficile credere.

Tanti i personaggi: Hadra, Leonard, Jasmine, Boris, Vitalij, Alexander... Qualcuno in particolare sul quale vuoi qui soffermarti?

Li amo tutti, ognuno ha tratti unici. Jasmine è donna, custodice la Vita e questo la eleva sopra gli altri, ma fra le mie preferenze svetta anche il Ramo Violento di Albero. Hadra è dolore trasformato in energia, è la ribellione, è presa di coscienza e sviluppo del potere insito in ognuno di noi. Hadra è un dio guerriero.

Ad un certo punto, entrano in gioco anche dei quadri famosi. Quelli di Salvador Dalì, ma soprattutto il celebre (o meglio, “i celebri”, visto che ne esistono più versioni), L’isola dei morti, di Böcklin, un’opera il cui fascino inquietante ha catalizzato l’interesse di studiosi, artisti, scrittori e di figure storiche anche tristemente note. Ci dici qualcosa su questo tema?

Boklin era un pittore maledetto e per me lo è anche Salvador Dalì. Spinto da un’intuizione, una raffica di follia, ho analizzato tutta l’opera dell’artista catalano. L’analisi ha svelato significati occulti e inediti. Ho navigato in dimensioni parallele e molto pericolose, da cui sono riuscito a tornare ferito, ma con alcuni segreti. Per questioni di spazio, i quadri citati nel romanzo sono solo una piccola parte della decodifica a cui ho dedicato anni. Il percorso che mi ha portato su questa pista dai contorni esoterici inquieta anche me. Ma è stata utile per intuire il piano del Nulla, il suo progetto di annichilazione. Non posso dire come sia nato il mio interesse per Dalì, un pittore che non amo affatto. Forse è stata la scelta di vivere in Catalogna, forse percependo il vuoto più che altri ho subito provato sgomento davanti ai suoi quadri: una complessa apologia dello sterminio vitale.

Cito da pag. 477: “Sappiamo che è proprio l’arroganza della logica ad aver accelerato la corsa verso il Nulla. Tecnica e scienza sono frutti avvelenati: senza la fantasia l’umanità non può comprendere il pericolo che si cela dietro gli apparenti vantaggi.” Però anche, a pag. 480 “La via che dobbiamo seguire non è quella dell’irrazionalità, ma quella della ragionevolezza, della fantasia logica.”

La ragione è uno strumento con evidenti limiti, incapace di individuare il nemico che ci minaccia. Dove c’era una foresta adesso non è più, dove era un fiume o un mare, sono acque morte, dove era felicità è depressione. Questo è il Nulla. Ma per la ragione non esiste, dichiarare di poterlo sentire e vedere è una contaddizione logica. Per sconfiggere tale Avversario dobbiamo basarci sui fatti, analizzare le estreme conseguenze delle azioni umane. Tutto intorno a noi dimostra che il lavoro quotidiano sebbene giustificato dalla ricerca di benessere, provoca la nostra annichilazione.

Mi nomini i primi autori internazionali che ti vengono in mente?

Philippe Roth, Baylard, Kapuscinsky, Le Clezio, Amin Malouf. Fra i perduti Marguerite Yourcenar, Nietzche, Goethe, Kafka, Nabokov.

Tra gli italiani, invece?

Tutti gli antichi romani sono la mia bibbia. Poi adoro Machiavelli e fra i contemporanei, Silone, Svevo, Buzzati, Eco, Calvino, Pavese, Sciascia, Levi, Guerri, Puzo, Spinosa, Zucconi, Massimo Fini, Claudio Magris, Tabucchi e molti altri. L’Italia è un paese generoso di talenti.

Sempre in termini di letture: chi, o cosa, invece, ti piace poco?

New age.

Cosa ti ha lasciato di buono e cosa di negativo la tua frequentazione professionale del mondo della finanza?

Mi ha permesso di arrivare al denaro in fretta e scoprire la falsità delle sue promesse e dei suoi attori. Lavorare come speculatore mi ha dato la visione panoramica del mondo dove potere è informazione in movimento e il denaro, allo stato liquido, si trasferisce nei serbatoi dei pochi che creano fatti e manipolano notizie.

A quando il seguito del Gioco estremo? Perché, anche se il romanzo è auto-conclusivo, gli sforzi di Albero contro l’Apocalisse non sono affatto terminati...

Essendo tutto innestato sulla cronaca contemporanea, le ultime note dell’Orchestra mi hanno già spinto a forgiare un seguito. Le grandi speculazioni americane pre elettorali, la guerra in Georgia, la favola della crisi bancaria, il “miracolo” Obama Barak Hussein, il presidente mulatto che in un giorno lava l’immagine di un paese dopo anni e anni di orrore. Anticipo inoltre a te e ai lettori di Thriller Magazine che il mistero Dalì sarà svelato da Jasmine De Beaumont, il Ramo rosso di Albero. La lotta per salvare il mondo è disperata, appare perduta, ma Albero non si arrende, se dovesse bruciare brucierà in piedi.

Altri progetti in cantiere, non correlati allo scontro tra Albero e Orchestra?

Continuare a far mangiare bene e sano i clienti del mio ristorante: la Locanda di Barcellona. Chi mangia e beve sano pensa secondo natura.

Adriano, grazie. Per questa volta è tutto. Alla prossima, dunque!

Grazie a te Fabio, un forte abbraccio a tutti i lettori di Thriller Magazine.