La storia delle buone e delle cattive abitudini del signor Isidoro è decisamente emblematica, visto che la sua ossessione per l'ordine e la disciplina, maturata nel corso degli anni, è sopravvissuta al disordine delle sue idee, apparentemente fin troppo ordinate.

Dal suo quinto anno di età in poi e per altri cinquanta anni, d'estate e d'inverno, col buono e col cattivo tempo, in salute e in malattia, il signor Isidoro si alzava sempre come se fosse in caserma: alle sei. Si recava subito in bagno e poiché riteneva che rasoi, schiume da barba e After Shave fossero delle perdite di tempo inutili, dalla pubertà in poi ogni mattina alle sei e cinque minuti si strappava con la pinzetta i pochi peli che madre natura, rispettosa del suo misero bilancio familiare, gli aveva donato. Dopodichè si lavava la faccia e versava in un recipiente i due o tre litri d'acqua utilizzati, di cui si sarebbe servito per lavarsi il viso fino al lunedì successivo, quando quella stessa acqua sarebbe stata destinata al lavaggio delle mani per altri sette giorni. La settimana dopo l'avrebbe usata per lavarsi i piedi e le parti intime e, infine, i restanti sette giorni del mese, quando l'acqua sarebbe diventata ormai nera di sporcizia, vi avrebbe annaffiato i gerani sul balcone. Così faceva tutti i mesi.

Il signor Isidoro era molto orgoglioso della sua passione per l'ordine e si vantava del suo eccezionale senso di risparmio con la propria consorte, che in trenta anni di matrimonio non era riuscita a fargli cambiare modo di pensare.

Secondo lo stesso principio, dai dieci anni in su, vale a dire da ben quarantacinque anni, il signor Isidoro si cambiava la biancheria intima ogni lunedì, la camicia ogni domenica, il fazzoletto ogni quattordici giorni e la cravatta ogni primo giorno dell'anno. In occasione della festa di ognissanti metteva via il vestito estivo e indossava quello autunnale che portava poi fino a Natale. Il venti marzo, a prescindere dal fatto che fuori ci fosse un caldo tropicale o un freddo polare, sostituiva l'abito invernale con uno più leggero andandovi a spasso fino al ventitrè giugno, quando subentrava il vestito estivo. Dei cinque bottoni sul panciotto ne abbottonava soltanto il primo e l'ultimo. Ciò non era certo dovuto a manie modaiole né a dimenticanze momentanee, bensì alla semplice constatazione che i restanti tre bottoni si sarebbero usurati inutilmente se fossero stati abbottonati e sbottonati ogni giorno.

Dopo essersi vestito, alle sei e mezza in punto - né minuto più né minuto meno - lui e la moglie si sedevano a bere il caffé, addolcito con mezzo cucchiaino di zucchero. Questo passaggio durava dai sette ai dieci minuti, a seconda della velocità con cui la moglie, che faticava a stare al passo del marito, sorseggiava il caffé.

Subito dopo il signor Isidoro si recava nuovamente in bagno e si sedeva accanto a un insolito, ma a detta sua utilissimo oggetto che aveva ereditato dal padre, che a sua volta lo aveva ereditato dal nonno e così via fino a tre generazioni addietro. Una sputacchiera! Affianco si trovava un seggiolino a tre gambe sul quale si accomodava precisamente alle sei e quaranta e dove se ne stava senza alcuna effettiva necessità o impellente bisogno fino alle sette e mezza, tossendo e sputando fuori tutto il muco che, a detta sua, gli aveva riempito i bronchi nell'arco della giornata e durante il sonno.

"Con tutte le porcherie che inaliamo ogni giorno è un miracolo se siamo ancora vivi," commentava ogni tanto. Egli si dedicava a tale attività con estrema calma, talvolta addirittura con una certa allegria. Dopo questo rituale il signor Isidoro si sentiva felice e soddisfatto e pronto a scalare una montagna, se fosse stato necessario. Ma erano già le sette e mezza e bisognava andare al lavoro.

A quel punto scattava l'ora in cui la moglie di Isidoro poteva tirare un sospiro di sollievo e dedicarsi alla sua attività preferita: le pulizie. Lo faceva con calma e sistematicamente, in fondo aveva a disposizione ben otto ore e mezzo di tempo per ripulire in lungo in largo il loro nido d'amore. A volte però le capitava di terminare le pulizie prima del previsto. In quel caso ricominciava daccapo, questa volta nel senso opposto, partendo dalla camera degli ospiti, che si trovava nella parte più settentrionale della casa, per arrivare alla porta d'ingresso alle quattro precise, dove attendeva con la scopa in mano, il volto raggiante e un sorriso smagliante sulle labbra che il signor Isidoro tornasse dal lavoro.

Bisogna dire, infatti, che il signor Isidoro non tornava mai dal lavoro né minuto più né minuto meno delle quattro. Spesso lo avevano visto davanti al portone di casa sotto il peggiore diluvio o col freddo glaciale ad aspettare che le campane della vicina chiesa rintoccassero le quattro. Non si era mai comprato un orologio. Era sicuro, infatti, che la ditta per la quale lavorava gliene avrebbe regalato uno quando sarebbe andato in pensione, vale a dire tra cinque anni. Fino ad allora avrebbe fatto affidamento sul suo senso del tempo, che era impeccabile e puntuale ma soprattutto gratuito. E a pensarci bene neanche l'orologio del campanile gli costava nulla.

Una volta a casa si dedicava alla lettura fino alle diciotto e cinquanta minuti. E lo faceva con metodica precisione. Innanzi tutto leggeva dalla A alla Z il giornale, che un suo collega abbandonava gentilmente sulla scrivania, dopodiché passava ad alcuni articoli tratti dalla rivista "Sani e belli", che gli veniva prestata altrettanto gentilmente da uno dei loro pochi amici di famiglia, il dottor Medvešček. Oggi, ad esempio, aveva dedicato le sue eccezionali doti intellettuali a un articolo che svelava con assoluta precisione scientifica le cause dell'affezione di una vena attraverso cui i carboidrati, quali il glicogeno, arrivano al fegato. Nonostante fosse un uomo dì poche parole, di tanto in tanto comunicava alla moglie qualche interessante informazione riportata nella rivista, la qual cosa tuttavia non pareva colpirla particolarmente, dato che se ne restava ferma a fissarlo come stregata e gli rispondeva come in una sorta di trance, ma sempre con una punta di orgoglio:

"Mio Dio, quanto sei intelligente!"

Quando mancavano dieci minuti alle sette, il signor Isidoro iniziava i preparativi per la cena. Poiché mangiava sempre, tranne in casi eccezionali, minestra e filetto di cavallo, esattamente come sua moglie, che però rinunciava alla bistecca, disponeva simmetricamente sul tavolo tre piatti, due cucchiai, un coltello e una forchetta, estraeva dal cassetto due stuzzicadenti già rosicchiati e infine si sedeva ad aspettare. La cena veniva servita alle sette in punto, né minuto più né minuto meno. Prima di iniziare a mangiare, il signor Isidoro estraeva dalla tasca destra un foglio di carta che aveva portato a casa dal lavoro: si trattava del modulo di una fattura commerciale, stampata soltanto da un lato, dal piacevole colore rosa chiaro. Egli strappava il foglio esattamente a metà, ne conservava una parte per sé e passava l'altra alla moglie. Su questi due pezzi di carta il signor Isidoro e consorte appoggiavano i cucchiai e le forchette sporche, evitando così di macchiare la tovaglia di plastica comprata a buon mercato. Venivano utilizzati con questa funzione per alcune sere di fila, fino a quando diventavano completamente sporchi e spiegazzati, visto che li usavano anche per pulirsi la bocca. A quel punto il loro premuroso proprietario li ripiegava e li adibiva ad altro, altrettanto utile scopo.

Dopo cena, alle sette e cinquanta minuti circa, la signora passava a lavare i piatti e lo faceva per due volte di fila. La prima volta con dell'acqua tiepida per addormentare i batteri e poi, quando piatti e pentole erano definitivamente asciutti, li lavava ancora una volta con dell'acqua bollente per eliminare del tutto quegli invisibili, ma - a detta di suo marito - pericolosissimi animaletti. Poiché così facendo si scottava regolarmente le mani, le faceva raffreddare fino alle otto e mezza circa nell'acqua che, come noto, nella seconda settimana del mese era adibita al lavaggio delle mani.

Nel frattempo il signor Isidoro andava a fare la sua solita passeggiata digestiva intorno alla casa che durava dai cinquantacinque ai sessanta minuti. Lo faceva in ogni stagione dell'anno e con qualsiasi tempo, partendo da destra verso sinistra, poiché riteneva fosse la maniera più naturale per girare in tondo, e poi nella direzione opposta. Alle otto e mezza rientrava in casa e se le ustioni della sua brava e solerte mogliettina non erano troppo gravi, la invitava a sedersi sul divano e le leggeva ad alta voce gli articoli del giornale per circa venti minuti. Lo faceva ogni giorno alla stessa ora, anche quando era raffreddato. Sua moglie trovava questo gesto così dolce e rassicurante che alla fine gli dava sempre un bacio in fronte esclamando:

"Mio Dio, come leggi bene!"

Il signor Isidoro non amava per niente le visite. A parte il loro vecchio amico di famiglia, il dottor Medvešček, che gli portava i vecchi numeri di "Sani e belli", accoglieva i pochi ospiti in atrio, davanti alle scale che portavano al piano superiore. In primo luogo perché - come amava ripetere - non si sa mai chi ti può capitare in casa e poi perché se avesse fatto entrare chiunque avesse bussato alla sua porta, il pavimento si sarebbe rovinato da un pezzo. Inoltre avrebbe costretto la moglie ad ore di pulizie aggiuntive. E in terzo luogo, in caso di ospiti avrebbero dovuto modificare continuamente la disposizione delle sedie, rovinando così la simmetria della stanza, cosa a cui erano particolarmente affezionati.

"Piccole manie di mio marito," commentava talvolta la sua signora.

Al signor Isidoro non era mai successo di andare a letto né prima né dopo le nove di sera. Era fermamente convinto che la notte fosse fatta per dormire e non si accorgeva neanche se sua moglie ritardava per un qualche motivo. Il signor Isodoro e consorte ovviamente non avevano figli...

Ma gli imprevisti sono sempre in agguato ed è ciò che capitava al signor Isidoro quasi ogni notte, poiché le sue funzioni digestive non erano altrettanto puntuali quanto le sue idee. Egli era, infatti, costretto ad alzarsi nel cuore della notte e a chiudersi in bagno per un'ora intera a causa di incontrollabili disturbi peristaltici. In questi casi riutilizzava le fatture commerciali, usate per le posate, che erano state piegate e riposte con cura in ordine cronologico su una mensola accanto al gabinetto.

Il signor Isidoro era un marito molto accorto e un padrone di casa premuroso che non pensava soltanto al presente, come fanno i giovani d'oggi, ma anche al futuro. Così aveva comprato per sé e per la moglie un lotto di terra a buon mercato nel cimitero cittadino. Aveva commissionato al fabbro un recinto di ferro con un portoncino a due cardini e al marmista la tomba su cui aveva fatto scolpire il suo nome e quello della moglie, il loro cognome e le date di nascita. Chiamò addirittura un poeta per farsi scrivere un verso in rima. Le date di morte furono lasciate ovviamente vuote, ma data l'inflazione il signor Isidoro fece comunque scolpire i primi due numeri dell'anno di morte, che con ogni probabilità non potevano che essere 1 e 9.

E, infatti, accadde ciò che doveva accadere. La signora si ammalò e morì. I vicini si chiedevano cosa avrebbe fatto il signor Isidoro senza la moglie, ma egli si comportava esattamente come prima. La morte della moglie non cambiò di una virgola la simmetria della sua esistenza.

"Le cose vanno come devono andare! Mia moglie era di quattordici giorni più vecchia di me e solitamente, dopo una grave malattia, subentra la morte. Questo è l'ordine delle cose in natura," ripeteva a se stesso e ai pochi curiosi che ebbero il coraggio di informarsi sui particolari di quella perdita improvvisa. Le era rimasto accanto fino all'ultimo respiro, dolce e servile, ma per nulla affranto o intristito.

Quando sua moglie esalò l'ultimo respiro, le chiuse gli occhi, le coprì il volto con il lenzuolo, si sdraiò accanto a lei e si addormentò russando tranquillamente fino alla solita ora.

E poiché in natura l'ordine è assoluto, il signor Isidoro morì esattamente quattordici giorni dopo la moglie. Un ictus cerebrale, assolutamente indolore. Tempo addietro aveva provveduto a sistemare tutto il necessario per il proprio funerale e aveva fatto testamento, in cui disponeva tra l'altro che:

1.   dopo la sua morte non venissero accese candele;

2.   che lo portassero immediatamente al cimitero e gli dessero sepoltura;

3.   che l'amico dott. Medvešček si portasse via tutte le copie di "Sani e belli" e i pacchi di giornali che aveva riposto con cura in cantina per tutti quegli anni. Disponeva inoltre che la carta venisse venduta e che il dott. Medvešček acquistasse con il ricavato della vendita un buon lubrificante per macchine con cui ungere almeno una volta la settimana i cardini del recinto sulla tomba affinché non cigolassero e affinché il portoncino si chiudesse bene.

Il signor Isidoro aveva terminato la propria vita con metodica precisione: alle nove in punto di sera. Anche ciò rientrava nell'ordine delle cose.

Ma ciò che accadde in seguito non rientrava affatto nell'ordine delle cose! Il signor Isidoro non avrebbe potuto certo prevederlo, né tanto meno aspettarselo e per giunta non dalla sua amata mogliettina a cui era stato devoto per tutta la vita, come si addiceva a un marito fedele.

Quando alzarono il corpo del signor Isidoro per riporlo nella bara, l'amico di famiglia dott. Medvešček notò una busta ingiallita, che era caduta da dietro lo schienale del letto dal lato della moglie. La aprì e lesse:

"Poiché nel nostro matrimonio ha sempre comandato mio marito, ossessionato da manie impressionabili, e poiché prevedo con assoluta certezza quali saranno le sue ultime volontà, in piena coscienza dispongo quanto segue:

a)  desidero che alla morte di mio marito venga organizzato un solenne e costosissimo funerale;

b) desidero che la sua salma venga esposta per tre giorni e per tre notti nella Sala Consiliare del Municipio (egli era stato, infatti, assessore comunale);

e) desidero che vengano accese candele per tre giorni e per tre notti. In cantina ne troverete circa cento dozzine, se non dovessero bastare, compratene delle altre. Che la stanza sia illuminata a giorno;

d)  desidero che il dott. Medvešček venda tutta quell'immensa quantità di carta da giornale, riposta in cantina, e con il ricavato organizzi ai vicini un sontuoso rinfresco, come non se ne era mai visto in città;

          e) il denaro è nascosto nel doppio fondo del secchio per l'immondizia. Siate felici e divertitevi anche a nome mio!"

          In fondo alla lettera c'era la firma della signora.

Il dott. Medvešček, che era un uomo molto intelligente, si trovava ora di fronte al difficile dilemma a quale testamento dar seguito: a quello del signor Isidoro o a quello scritto di nascosto dalla moglie.

Infine prese una decisione salomonica: invece di accendere le mille e duecento candele, nascoste in cantina, ne fece accendere soltanto seicento; la salma del signor Isidoro venne esposta in Municipio per un giorno e mezzo e il restante giorno e mezzo in casa; con il ricavato della vendita della carta da giornale comprò salsicce e vino per i vicini, mentre con il denaro restante ordinò un modesto mazzo di fiori per entrambi.

Quando quindici anni più tardi dovettero riaprire la tomba, al necroforo si parò davanti un'immagine insolita: le mascelle della moglie erano spalancate, come se la signora avesse riso di gusto, mentre le ossa del signor Isidoro erano stranamente rivolte verso il basso, come se si fosse rivoltato più e più volte nella tomba.

 

Traduzione di Laura Sgubin