Credo non sia facile trasporre in arte visiva il mondo che la scrittura può aprire nella mente. Paesaggi, personaggi, ambienti, sensazioni, sfumature, corde che le parole scritte toccano lievemente e la cui eco può espandersi all’infinito. Una parola può disegnare materia concreta e nonostante ciò lasciarla vaga e a vagare nell’immaginazione. Mondi concreti che possono variare da individuo a individuo lasciando ancora spazio perché mutino ancora e ancora. Così quando si cerca di trasporre sulla carta con tratti e inchiostri definiti l’intento di uno scrittore …sembra quasi si rovini qualcosa. In ogni passaggio si perde inevitabilmente una parte intraducibile. La materia è lì, ben disegnata, interpretata a sua volta. Comunque Peter Kuper riesce a tradurre l’atmosfera kafkiana e l’angoscia del Sig. Samsa nei suoi tratti neri, a volte squadrati, foschi e vorticosi. Riesce a tradurre e a trasportarci l’inquietudine e l’impotenza dei personaggi. La storia la conosciamo, la metamorfosi a scarafaggio di Gregor Samsa, commesso viaggiatore, la causa: l’insoddisfazione, l’inquietudine, non sentirsi accettato o semplicemente per dar modo al resto della famiglia di uscire da un torpore nauseabondo in cui versa. Quell’atmosfera tra l’incubo e il possibile, tra l’assurdo e la realtà, Kuper ne sottolinea l’eterno confine con i segni suoi, segni che ci trascinano fin dentro l’inchiostro, ci mescolano con esso. “un libro dovrebbe servire come ascia per spaccare il mare di ghiaccio dentro di noi” è la citazione di un’altra opera di Kuper da racconti di Franz Kafka Lascia stare!, e un’ascia Kuper la usa per riproporre l’angoscia kafkiana fino all’ultima scena amara e solare al contempo del giovane corpo della fanciulla teso al futuro.