“Pesce grosso mangia pesce piccolo”, pensò la dottoressa Ferrante. Da quando si era trovata catapultata dietro la scrivania di direttore del Museo, Claudia Ferrante era talvolta inciampata in qualche palo tra le ruote messo da amministratori cittadini... ma questa, poi, non l’aveva mai sentita.

Sgomenta, rilesse il fax con tanto di stemma comunale.

 

alla c/a Dott.ssa Ferrante.

Ho il dovere di comunicarLe che, in piena armonia d’intenti con la nuova Giunta appena insediata, intendo ricondurre le politiche museali su binari più consoni all’istituzione.

Per troppo tempo i miei predecessori Le hanno consentito di svolgere un ruolo che non le compete: intendo quello di definire le linee programmatiche. D’ora in poi questo ruolo verrà restituito a chi di competenza, cioè al sottoscritto.

Solo perché programmate dalla Giunta uscente acconsento allo svolgimento delle serate “Incantar serpenti & camminar sui carboni ardenti” (sic!), che reputo assolutamente inidonee nello spirito e nella sostanza ad un luogo di studio e apprendimento come il museo, la cui vocazione è di insegnare, non di far salotto.

Distinti saluti.

Il Presidente del Museo Cittadino

dott. Adalberto Santini

Assessore alla Cultura

 

Dietro il grande vetro azzurrato dell’acquario la muraena helena da qualche minuto seguiva con occhi golosi un balistapus undulatus. Il brutto muso del predatore scattò rapido e il pesciolino giallo-verdazzurro ebbe un sussulto. Il brutto muso sbattè contro la paratia trasparente che separava l’acquario mediterraneo da quello tropicale. Il balistapus virò con eleganza, dimenando le pinne diafane. La murena si rituffò nel suo buco scuro a leccarsi il brutto muso.

 

Claudia Ferrante sorrise: “Non sempre. A volte i pesci piccoli te la fanno pagare”. Cercò il cellulare perché esiste la forza di gravità anche nelle borse che tutto finisce sempre in fondo e finalmente lo trovò. Attivò la rubrica e fece scorrere il cursore fino al nome Pisacane. “Lorenzo? Avrei bisogno di parlarti, puoi venire nel pomeriggio?... alle 4 va bene. Ti aspetto, ciao”.

 

Il giorno dell’inaugurazione della nuovo Rettilario, fortemente voluto dal neo Assessore nonché Presidente del Museo Cittadino, il dottor Santini si presentò in ghingheri, con il sorriso di chi aveva vinto una guerra, più che una battaglia.

Non avrebbe mai pensato che il cedimento della Ferrante sarebbe stato così repentino. Prima di essere eletto a cotanta carica pubblica non conosceva la direttrice del museo, però gliel’avevano descritta come persona cocciuta e combattiva, sicura delle proprie idee e soprattutto grande propugnatrice di quelle mode che venivano chiamate “presenza nel territorio”, “sinergia con il sociale”, “educazione permanente”, “museo aperto”.

Musei aperti? Balle, se c’era una cosa che doveva stare al chiuso erano i musei. Lì la gente entrava per stupirsi di cose mai viste e di meraviglie di cui aveva solo sentito parlare. Lì si forgiavano gli spiriti che la curiosità imparata nell’infanzia avrebbe portato a grandi traguardi. Era sempre stato così, perdio, e era anche grazie al Museo che la città aveva donato al Paese patrioti, eroi e scienziati di fulgida fama.

Mentre ascoltava beato i complimenti del Governatore Regionale, intravide la figura - fastidiosa - di una Ferrante sorridente.

“Ridi, ridi”, pensò l’Assessore. “Se è bastato un fax per farti cambiare idea in soli tre mesi, chissà che succederà dopo che ti avrò preso da parte e ti avrò fatto un discorsetto di quelli che so fare io”.

La nuova sala dei rettili gli ricordava la vecchia sala di quando era piccolo, gli scaffali con le decine di barattoli di vetro con le bisce in formalina, il coccodrillo impagliato, il guscio di testuggine appeso al muro. Con un colpo di genio aveva insistito perché ci fosse anche una sezione “I rettili nell’economia” (l’economia non guasta mai), all’interno della mostra, e così aveva gentilmente donato all’istituzione la borsa di coccodrillo e le scarpe di pelle di pitone della defunta zia Enrica. Tutt’attorno, lungo le pareti, erano appesi pannelli esplicativi con le foto di varie specie di serpenti: Vipera ursinii, Python regius, Boa constrictor, Opheodrys aestivus, Dendroaspis angusticeps, Crotalus viridis, Eunectes murinus, bestiacce schifose che stavano bene solo in un museo.

Il Gotha della Cultura cittadina era tutto presente. C’era perfino il suo vecchio prof di greco del Liceo, che credeva morto e cremato. L’Onorevole. Il Governatore Regionale. Il Sindaco e i colleghi di Giunta. I rappresentanti delle Associazioni culturali. Il Circolo Filatelico, di cui (anche di quello) era Presidente, al completo. 

Fece un condiscendente cenno di saluto ai ragazzi della prima media di sua moglie Irene, tutta in piedi ad agitare bandierine di carta con la scritta Il Museo torna a vivere.

Poi si spostò sotto la bassa capriata del tetto spiovente (la sala era stata ristrutturata ricavandola da un vecchio locale nel sottotetto) a bearsi dei cenni deferenti che gli venivano rivolti.

Fu allora che sentì il pizzicore al collo, ma lì per lì non ci fece caso. Mentre ripassava mentalmente il discorso che avrebbe fatto da lì a dieci minuti, continuò ad osservare con bonomìa i capannelli degli invitati.

 

La Ferrante stava flirtando con un consigliere dell’opposizione, notò l’Assessore. Mentre la sua bonomia stava decisamente scemando dalla sala adiacente, quella delle Culture amazzoniche, emerse un tipo grande e grosso che avanzava goffamente, anzi rinculava, tra gli invitati che si scostavano per farlo passare. Santini ebbe appena il tempo di alzare le braccia per proteggersi che i 120 chili del tipo lo investirono. L’omone sembrò incespicare e piombò a terra, trascinando Santini in una caduta rovinosa.

La situazione che si creò era quindi la seguente: l’Assessore supino, il tipo prono su di lui. In mezzo, come una fetta di salame, un pannello come quelli appesi alle pareti.

La fetta superiore del sandwich mormorò qualche parola di scusa e si sollevò con estrema lentezza piantando una manona sulle costole della fetta inferiore, mentre con l’altra sollevava il pannello tenendoglielo ben fermo davanti agli occhi.

Mentre si dimenava imprecando, Santini ebbe tutto il tempo osservare la foto di un serpente a bande bianconerobiancorossobian-conere ecc. e di leggere la didascalia:

Microuroides euryxanthus (Serpente corallo dell’Arizona)

Velenosissimo, si pensa che il suo morso uccida un uomo in meno di 15 minuti.

Solo allora si accorse che tutta la classe di Irene stava ridendo a crepapelle. Si alzò con tutta la dignità che riuscì a recuperare, spintonando con rabbia i 120 chili che si dileguarono come neve al sole.

Mentre si spolverava il completo scuro di tweed alzò il dito verso una ragazzina della prima fila.

“Tu”, disse. “Cosa c’è da ridere?”

La ragazzina urlò. Santini pensò di avere esagerato e cercò gli occhi di Irene. Irene urlò. Santini guardò verso la prima media. La prima media urlò. Verso il prof di greco. Il prof urlò. Verso il Governatore Regionale. Il Giovernatore Regionale urlò. Tutti guardavano in su, sopra la sua testa. Santini guardò. Santini urlò.

Lo riconobbe subito. Un dannato Microuroi­des eury­xanthus a bande bianconerorossonerobianconerorosse ecc. lungo mezzo metro, attorcigliato attorno alla trave.

Fu un attimo. Lo collegò al pizzicore al collo. Si passò la mano dove l’arteria pulsava con il ritmo di un messaggio in Morse e la ri­tras­se bagnata di rosso. Solo una gocciolina, fosse stato un ta­glietto con l’apriscatole l’Assessore non sarebbe scivolato al suolo come un asciugamano bagnato.

La prima a muoversi fu la Ferrante. Con un balzo fu presso di lui, allungò il braccio e dalla trave colse la serpe con la delicatezza con cui si coglie un fiore. Poi si inginocchiò al fianco del moribondo e con la bestia tra le mani protese gliela sbattè a un palmo dagli occhi ormai vitrei.

“Non è nulla, presidente”, disse. “Solo un serpente reale delle Montagne Rocciose. Assolutamente innocuo”.

“Mi ha morso... chiamate un’ambulanza”, mormorò l’Assessore, mentre avvertiva vari liquidi corporei inumidirgli le brache.

“Macché morso, questo non morde”.

“Come non  morde... il microcus... il corallo...”. L’assessore sentiva la vita che fuggiva con la fretta di Cenerentola a mezzanotte.

 “Forse si confonde, il serpente corallo sembra identico al reale ma ha le bande colorate disposte in modo diverso. Bianco, nero, ­bianco, rosso e così via, non bianco, nero, rosso, nero”. La Ferrante sembrava una professoressa saccente dietro la cattedra.

“Allora...”.

“Se lei fosse venuto alle serate degli incantatori di serpenti, l’avrebbe saputo”, disse Claudia Ferrante, passando la mano sul collo di Santini con un gesto quasi intimo. “Qui c’è solo il pungiglione di una delle nostre api”, continuò.

Ritrasse la mano e strofinò pollice e indice tesi verso il pavimento, lasciando cadere qualcosa. Come se lasciasse cadere qualcosa.

“Fatto!”, disse. L’Assessore Santini svenne.

 

“Una domanda... perché non l’hai punto mentre gli eri sopra?”

Claudia Ferrante era seduta sulla sedia scomoda di fronte alla sua scrivania. Dall’altra parte, sulla poltrona dirigenziale, i 120 chili di Lorenzo Pisacane, erpetologo ufficiale del museo.

“Sapevo che avrei avuto le mani occupate. Dovevo tenergli il cartello fermo davanti agli occhi, dargli il tempo di leggerlo... quindi l’ho, ehm, morso prima di cadergli addosso. Ho fatto ore di prove, a casa”.

“E allora, come hai fatto, a pungerlo?”

“Questa...”, disse Pisacane appoggiando sulla scrivania un oggetto sottile lungo quasi un metro.

“La cerbottana degli indios Jivaros?”, chiese la direttrice.

Macché, era intasata”, rispose Pisacane. “Ci ho messo un sacco, a trovare qualcos’altro. Ho dovuto buttare un intero rotolo di scottex, ma ne ho ricavato l’anima”. Affiancò alla cerbottana un cilindretto di cartone. “A proposito, non è che neanche questa funzioni granché. Fai pulire le travi, ci sono appiccicati un sacco di proiettili... beh... di palline di carta masticata”.

“Intinte nel veleno Jivaro?”.

“Nel sugo di coniglio al pomodoro. La mia specialità”.

Pausa.

“Non mi hai mai invitato”.

“Ci penserò”.

Silenzio.

“E adesso?” fece Pisacane.

“Sai com’è, il tuo quasi omonimo Lorenz lo ha anche scritto... quando uno nasce la prima faccia che vede diventa la sua mamma. La mia è la prima faccia che Santini ha visto quando è ri-nato. Ergo...”. Claudia sorrise: “Scriverò un saggio sul re-imprinting. Tanto adesso posso fare quello che voglio. L’Assessore nonché Presidente del Museo mi ha dato carta bianca”.