Uno spettro di aggira per (i cieli dell’) Europa. No, non è una inedita ideologia collettivistica (o qualsivoglia grottesca distorsione globalizzata della medesima). Non è nemmeno una stella cometa portatrice di pace/fede/speranza (o qualsivoglia ridicola illusione psicotica delle medesime). Questo spettro è una entità mostruosa. Un osceno lupo deforme, il Fenrir, scaturito da un abisso di incubi. Ha una missione: trovare un araldo in grado di spalancargli le porte del Ragnarok, la Fine dei Giorni. Non deve cercare a lungo. L’araldo del Fenrir ha già un volto, ha già un nome. E dopo il suo passaggio sulla terra, nulla, nulla in assoluto, sarà più lo stesso.

Quanto sopra è l’inizio, pura rivisitazione del gotico scandinavo, di Hitler, il nuovo, grandioso romanzo di Giuseppe Genna, Mondadori Editore, collana Scrittori Italiani e Stranieri. Poco meno di dieci giorni dall’uscita e già alla seconda edizione.

Non tentiamo neppure di nasconderci dietro orpelli più o meno ipocriti: la storia dell’uomo è la storia degli sterminatori dell’uomo. Alessandro Magno e Giulio Cesare, Gengis Khan e Timur Lenk, Albrecht von Wallenstein e Napoleone Bonaparte. Eppure, nessuno di questi super-killers riesce ad avvicinarsi neppure lontanamente ai trionfi, genocidari e non solo, di Adolf Hitler.

Molto si è scritto su Adolf Hitler, molto altro si scriverà. Sempre però in forma di saggistica. In un suo libro non troppo conosciuto, Norman Mailer esplorò la strada di tramutare Hitler in personaggio. Con dubbi risultati.

A tutti gli effetti, questa è la prima volta, la prima volta in assoluto, che un autore in generale -- un autore italiano in particolare -- affronta la sfida impossibile di Adolf Hitler protagonista di un’opera di narrativa.

Giuseppe Genna non vince questa sfida: Giuseppe Genna la annienta.

L’uomo in questione non è alieno da imprese temerarie. E straordinarie. In Nel Nome di Ishmael ha ridefinito il thriller di cospirazione. In Grande Madre Rossa ha tramutato Milano in una distorsione di Dresda. In Medium -- singolare proposta narrativa a diffusione (per ora) solamente Internet -- fonde tragedia personale e intrigo esoterico. Per questo autore pressoché unico sulla nostra scena letteraria, Hitler rappresenta una nuova frontiera. In tutti i sensi. Se la lingua italiana avesse un equivalente del genitivo sassone, il titolo esatto di questolibro dovrebbe essere Giuseppe Genna’s Hitler. Il motivo? Tanto semplice quanto agghiacciante:

Giuseppe Genna’s Hitler E' la mappa definitiva del Male umano.

Basate su ricerche storiche di precisione cartesiana, queste 623 pagine -- ben pochi autori, italiani e non, hanno un simile respiro narrativo -- ipnotizzano e spiazzano, affascinano e coinvolgono, demoliscono e vorticano, denudano e giudicano. Esatto: giudicano. L’autore non si colloca fuori dalla storia, esistita e narrata. L’autore vi si getta dentro, alla massima profondità. E trascina dentro anche il lettore.

Giuseppe Genna’s Hitler è la radiografia ad alta definizione di come un patetico idiota maligno, una non-persona (nel senso di antitesi umana) possa assurgere al ruolo -- sanguinoso, sanguinario e molto, troppo temporaneo -- di “Re del Mondo”. Nessuna mitizzazione, nell’analisi di Giuseppe Genna, nessuna assoluzione. Certamente nessuna redenzione. Per spiegare il sorgere della Bestia, non è sufficiente un’infanzia fottuta (chi non l’ha avuta, un’infanzia fottuta?). Non è sufficiente nemmeno un’adolescenza ingombra di demenze erotiche pregresse (sai che novità). Di certo non basta un breve, quanto duro, transito nelle trincee della Grande Guerra (c’è andato solamente lui, in trincea?). Nulla di tutto questo spiega semplicemente perché non-può spiegare.

Lo Hitler di Giuseppe Genna “è un cretino”. Testuale inizio di capitolo. E resterà un cretino fino all’abisso conclusivo nel Bunker. E’ un miserabile che si aggira per la Berlino post-bellica (sempre la Prima Guerra) delirando di architetture infernali e di grandiosità blasfeme. Mentitore e illuso, giocoliere e vile, istrione e schizoide. Ha un unico punto di forza dalla sua: una logorrea tanto dilagante quanto trascinante. E di che cosa potrà mai parlare, la non-persona? Del vuoto, del nulla, del niente. Hitler visto da Giuseppe Genna è un untore del nihil. Lo sparge come un virus. Lo diffonde come una metastasi. E in un corpo già malato per la depressione economica, già prostrato dalla fame cronica come quello della Germania della repubblichetta di Weimar, la metastasi non può che tramutarsi mega-metastasi. Così il blocco canceroso originario diviene un putrido bubbone rigonfio di altre non-persone, ani dementi meno carismatici ma ugualmente grotteschi, parimenti atroci. Il tossico Goering, il turpe Röhm, il pervertito Goebbels, il viscido Hess, il subdolo Himmler.

Una irrestibile ascesa, quella della non-persona e dei suoi nani dementi. Dal tragicomico “putsch della birreria”, all’infamante incendio del Reichstag, dalla feroce “Notte dei Lunghi Coltelli”, ai grondanti pogrom anti-ebrei, fino alla millenarista apoteosi pre-apocalittica della “Notte di Norimberga”.

Di questa agghiacciante epopea, Giuseppe Genna non ci risparmia -- né si risparmia -- nulla.

Mentre i potenti d’Europa e d’America stanno a guardare -- in folgorato equilibrio instabile tra ammirazione e soggezione, acquiescienza e diffidenza, ardore e terrore -- la più grande delle tragedie europee avanza verso l’inevitabile compimento della Seconda Guerra Mondiale. Ed è proprio in questa sezione del libro, il terzo atto, che Giuseppe Genna si riscopre prodigioso cantore dell’epica della distruzione. Un garrote la sua descrizione dello sterminio perpetrato dai famigerati Einsatzkommando. Un turbine la sua mis-en-scene dei bombardamenti sull’Inghilterra. Un tifone di metallo la sua rappresentazione dell’attacco all’Unione Sovietica. Uno tsumani bianco il contracco russo d’inverno alle porte di Mosca. Un’orgia del caos il suo affresco della Battaglia di Stalingrado. Una valanga di disperazione la sua cronaca del progressivo collasso del Terzo Reich. Un delirio al limite dell’onirico la sua autopsia gli ultimi giorni della non-persona in una Berlino da girone dantesco.

Uno stile, quello di Giuseppe Genna, esplosivo quanto il fiume del suo raccontare. Niente concessioni alla “bella prosa dei fasulli”, in Hitler. Niente intorcinamenti da “salotto buono dei fighetti”. Ogni singola frase è un colpo di maglio, perfino quando quella frase è composta da un’unica parola. Tutto questo integrato in una struttura della storia narrata ben più solida del “Patto d’Acciaio”.

Giuseppe Genna’s Hitler non è affatto un ennesimo libro su Hitler. Giuseppe Genna’s Hitler arriva addirittura a scavalcare la mappa del male umano che esso stesso traccia. Giuseppe Genna’s Hitler è la parola terminale in materia della farneticazione distruttiva e auto distruttiva insita nella mente.

Ma Giuseppe Genna’s Hitler è anche, e soprattutto, un appello privo di compromessi sulla necessità della memoria -- inevitabile e struggente la “Apocalisse con Figure” nell’ultima parte del testo.

Capolavoro è una parola da usarsi con cautela, d’accordo. Ma se Hitler non è un capolavoro, certamente da queste pagine si riesce a vederlo. Un autore da NON ignorare e un libro da NON perdere. A nessun costo.