Anno nuovo, abitudini vecchie! E' cominciato il 2008, infatti, ma continua il nostro consueto appuntamento nel salotto letterario virtuale dedicato agli autori alla loro prima volta editoriale. E dopo aver spaziato tra racconti ed esperienze che esulano dal genere, apriamo l'anno nuovo parlando di giallo. Infatti l'ospite di questo mese è il vincitore del Premio Tedeschi 2007: Gianluca Durante con il suo romanzo Altravita (libri/5793).

Per prima cosa grazie Gianluca per aver accettato l'invito nel nostro salotto virtuale e se ti va cominciamo subito, senza ulteriori preamboli.

Ecco i dadi. Comincia tu.

Partiamo dalle origini da dove nasce l'esigenza di scrivere? Viene dall'infanzia o l'hai maturata in tempi recenti?

In verità durante l'infanzia giocavo coi Playmobil. Ma ero pur sempre il regista di storie che ideavo di giorno in giorno, con nuovi personaggi e trame. Nell'adolescenza ho abbandonato i giochi e ho trasferito su carta quel mio desiderio di gestire vite e storie. Quindi, sì, credo che l'esigenza di scrivere venga dalla mia infanzia. Anche se c'è voluto un po' prima di capire in che modo esattamente andasse concretizzata.

E da dove nasce l'idea per Altravita?

Altravita nasce da dieci anni di esperienza nel mondo giornalistico e dagli ultimi due anni trascorsi a occuparmi principalmente di cronaca nera. Da tutto ciò che ha a che fare con personali esperienze di vita passata e da una costante della mia vita presente: i sogni.

Quindi si può dire che nel romanzo c'è una forte componente autobiografica?

Assolutamente sì. Credo che uno dei segreti della prosa sia la sincerità nel raccontare. Ma naturalmente il libro non è un'autobiografia. Per "sincerità" intendo "raccontare ciò che si conosce". E tutto ciò che conosco fa inevitabilmente parte di me.

Il tuo romanzo contiene molti elementi, non solo strettamente legati al genere giallo, perciò tu come lo definisci?

Altravita è un giallo a tutti gli effetti in quanto sono presenti gli elementi essenziali che definiscono il genere: un killer, le vittime, un personaggio che investiga sui delitti, la scoperta e l'intrecciarsi di elementi chiave che portano alla soluzione del mistero. E' chiaro che ogni giallo può avere connotati propri - ambientazione, ruolo dei personaggi e filo conduttore -e Altravita si discosta dai più classici polizieschi e dai vari "inviti a cena con delitto" il cui colpevole è chiunque fuorché il maggiordomo (guai a essere banali!). Il libro esplora un mondo talvolta virtuale (il web), talvolta del tutto immaginario (i sogni), ma ponendo entrambi in stretta relazione con la realtà e i fatti di cronaca – tra l'altro, purtroppo, estremamente attuali.

Il rapporto tra realtà e sogno è uno degli elementi chiave dell'opera e tu sei molto bravo nel portare avanti l'alternarsi e l'accavallarsi dei piani di narrazione, tanto che il lettore si trova spesso a chiedersi fino a dove arrivi l'uno e da dove parta l'altro. Che rapporto c'è tra i due piani nella storia e nella vita quotidiana, secondo te?

I sogni sono strettamente legati alla vita reale e chiaramente ne fanno parte. Esistono parti molto profonde di noi stessi, lontane dalla nostra stessa consapevolezza e raggiungibili soltanto attraverso l'analisi dei nostri sogni. Il protagonista del thriller è costretto a scavare dentro di sé per venire a capo di una serie di omicidi, ma anche per risolvere un conflitto interiore che gli avvelenava la vita. Per qual che riguarda la vita quotidiana, la nostra, quella reale, consiglio un buon analista per tutti. Che lo si piazzi al posto del tradizionale medico di famiglia. Sarebbe un toccasana per la mente, lo spirito e la salute in generale. Siamo tutti ammalati d'animo, smettiamola di scaricare la colpa su virus e batteri.

"I miei sogni mi beffano. Anche mentre sogno ho la consapevolezza di stare sognando... " Questa è la frase di apertura con cui Stefano Mombelli, il protagonista, entra sempre in chat. Che significato ha per lui? E per te?

"I sogni son desideri" direbbe Covra (e il signor Disney, soprattutto). Hai mai sognato qualcosa di talmente bello al punto da rendere il tuo risveglio una delusione? Beh - dirai tu - quantomeno me la sono goduta finché è durata... Eppure ci sono persone che, anche durante quell'esperienza meravigliosa, si rendono conto che si tratta nient'altro che di qualcosa di irreale e di passeggero, di fugace. Tutto ciò mi suona come metafora della felicità. Per Stefano Mombelli la felicità non è altro che l'amara consapevolezza di stare vivendo qualcosa destinato a finire. Per quel che mi riguarda, credo che l'importante sia riconoscere la felicità, ma di far finta di niente. Di viverla appieno, ma senza farglielo intuire, altrimenti poi lei se ne va. E una volta che ne sarà andata via (perché prima o poi lo farà, anche da sola), l'importante è mantenersi con lo spirito nell'ambito di quello stato d'animo che si nasconde appena al di sotto: la serenità. Conosco poche persone serene.

Stefano Mombelli è il protagonista, un ragazzo per certi versi misterioso. Parlaci un po' di lui.

Stefano si ritrova sulle tracce del serial killer ancor prima di esserne totalmente cosciente. Ha inizio una ricerca che va ben oltre gli omicidi di giovani donne. La ricerca diventa personale, il personaggio tende a evolversi nel corso del racconto. Credo che sia un aspetto fondamentale il fatto di far ruotare una trama attorno a uno o più personaggi e scoprire in che modo ciò che accade incide sulla loro personalità. Trovo interessante osservare poi le loro reazioni. Ci deve essere quanto meno un'evoluzione interiore. Il mistero può essere spesso l'altra faccia di un conflitto. Stefano ha i suoi bei conflitti interiori (e non solo) da combattere.

Cosa c'è di te nel protagonista?

La sua evoluzione, che viene alla luce man mano nel corso della storia. Credo che ciò mi rappresenti molto. So come agirei adesso, ma non pretendo di sapere come agirò in futuro. Ho la presunzione di cercare di migliorare tutto ciò che fa parte di me (ripeto, sono un gran presuntuoso). Ma bisogna sapersi mettere in gioco, sempre, a qualunque età. Mai adagiarsi alla propria condizione. Fare di più, fare di meglio, per sé e per gli altri.

Le due donne del romanzo sono due figure particolari e agli antipodi. Parlo di Tamara e Sara. Una rappresenta il presente, l'altra il passato. Una è concreta, delineata, presente, l'altra è ambigua, appena accennata eppure sempre viva nei ricordi del protagonista. In un certo senso una rappresenta la realtà e l’altra il sogno… E' corretto?

Credo che invece possano rappresentare esattamente la stessa persona. E hai descritto perfettamente la "donna". Brava, non avrei saputo fare di meglio.

Una cosa che mi ha colpito, perché è abbastanza controtendenza, è il tuo modo di suggerire l’ambientazione della vicenda. Pur essendo tutto molto reale non contestualizzi la storia nei dettagli, tutto risulta appena accennato.

Una delle caratteristiche del libro è appunto l'ambiguità. Ho cercato di toccare qualunque argomento mantenendo una descrizione talvolta indefinita proprio perché corrispondesse al senso di ambiguità che pervade la narrazione. Ciò che contava era dare delle semplici coordinate al lettore per dare spazio anche alla sua fantasia nell'immaginare certi personaggi, situazioni o ambientazioni. Ma ritengo questa una regola universale della narrativa. L'alternativa per essere totalmente esaustivi su qualunque tipo di argomento sono i manuali o i saggi. E non sono un saggista.

Un'altra cosa che mi ha in qualche modo colpito è lo sviluppo temporale, ben definito in un arco di tempo relativamente breve, tra l'altro in un periodo dell'anno molto particolare, cioè nella settimana di Capodanno. Casualità ha poi voluto che leggessi il libro proprio in quel periodo…

Sì, tutto accade in otto giorni, tra l'altro a cavallo di un periodo - le feste natalizie - per me tremendamente produttivo. Ho scritto facendo riferimento al calendario 2007/2008, e il caso ha voluto che il libro fosse pubblicato proprio nel periodo esatto in cui si svolge la storia stessa. Ma non credo al caso.

Arriviamo adesso alla tua esperienza editoriale, che si differenzia un po' da quella della maggioranza, sei infatti il vincitore del Premio Tedeschi. Come sei arrivato al premio, qualcuno ti ha suggerito di inviare l'opera, lo conoscevi già?

E' accaduto che... Ho scritto la prima bozza del romanzo (il 99% di ciò che è stato pubblicato) in venticinque giorni esattamente un anno fa (gennaio 2007). A distanza di un mese ho contattato telefonicamente la Mondadori. Mi hanno invitato a partecipare al PremioTedeschi. L'estate scorsa, dopo una giornata di windsurf, ho ricevuto la telefonata di Sergio Altieri, responsabile del Premio: "Sei seduto? Hai vinto il Tedeschi". Il 6 dicembre il libro è stato distribuito nelle edicole in tutta Italia nell'ambito della collana Il Giallo Mondadori. Sono stato ospite del Noir in Festival, che si tiene ogni anno a Courmayeur. Premiazione del Tedeschi e dello Scerbanenco: tutto in una notte, alla presenza di scrittori come Carlo Lucarelli, Sandrone Dazieri, Scott Turow, Andrea G. Pinketts, etc.

Una curiosità: come mai hai deciso di chiamare proprio la Mondadori? E dopo averlo mandato al Tedeschi hai aspettato pazientemente senza contattare altri editori?

Non mi sono limitato alla Mondadori. Ma ho cominciato da lì perché è stato il primo nome che mi è venuto in mente. A parte il fatto che in mente non me ne sono venuti altri, perché partire dal basso se si ha la possibilità di puntare in alto?

E se non avessi vinto?

Avrei giocato di nuovo. E continuato a scrivere come ho sempre fatto sin da piccolo (i Playmobil... quelli no, li ho regalati).

"Per aver saputo applicare i più solidi meccanismi del thriller a uno degli aspetti più diffusi ma anche più controversi del mondo di internet. Per essere riuscito a mantenere un raffinato equilibrio tra il duro realismo dell'investigazione e l'evanescente surrealismo del virtuale. Per la precisione dello stile contrapposta all'atmosfera di inquietante ambiguità che pervade l'intera narrazione." Questa è la motivazione con cui hai vinto il premio Tedeschi. Che ne pensi?

C'è da andare fieri per quanto scritto da Sergio Altieri (la motivazione è riportata in apertura del libro). Il fatto di "aver saputo applicare i più solidi meccanismi del thriller" è stato del tutto istintivo. Frutto sicuramente delle mie letture a tutto tondo, non solo legate a questo genere letterario, che non ha nulla da invidiare agli altri.

E vista la tua esperienza cosa consigli di fare a chi ha un romanzo nel cassetto?

La massima aspirazione per un "giovane" scrittore è la pubblicazione. Non sempre si riesce, anzi, è molto difficile. Consiglio, prima di proporre il proprio lavoro alle case editrici, di fare in questo modo: scegliere cinque o al massimo una decina di persone di cui si ha grande considerazione e/o di cui si stima il giudizio; far leggere loro il libro solo una volta concluso, mai prima; ascoltare tutti i pareri (purché siano sinceri, anzi, spietati!). La media delle considerazioni ricevute credo rispecchi per grandi linee il valore effettivo del proprio lavoro. In questo campo si va inevitabilmente soggetti al giudizio altrui: se piace, il libro vende. Ed è ciò che interessa alle case editrici (che qualcuno mi dia il numero di cellulare dell'editore il cui slogan recita "E' una schifezza...? Te lo pubblico io"). E poi: è davvero così soddisfacente pubblicare un libro che le persone più importanti della tua vita considerano "non un gran che" o "noioso" o "pesante... potevi aggiustare il rubinetto in cucina negli ultimi tre mesi di tempo che hai perso per scriverlo". Se può essere di conforto la mia esperienza, dopo aver incamerato una serie di giudizi tutto sommato positivi (ma soprattutto utilissimi a eliminare eventuali incoerenze/errori), mi è bastato inviare il manoscritto a un concorso letterario. Anche se, sperare di vincerlo, è una faccenda che richiederebbe riflessioni un tantino più approfondite. Ma tentar non nuoce. Mai.

E tu, adesso che hai superato il "battesimo editoriale", hai altri progetti per dimostrare che il Tedeschi non lo hai vinto per sbaglio?

Continuerò a seguire la regola numero uno, ciò che uno scrittore non deve mai evitare di fare: vivere la propria vita. Continuerò a lavorare in radio e a studiare in vista dei prossimi esami all'università, che ho ripreso a frequentare a distanza di alcuni anni. Il fatto di raccogliere nuove idee per un possibile racconto è qualcosa che ho sempre fatto, ogni giorno, in qualunque occasione. Al momento giusto metterò tutto nero su bianco.