Quando lo scorso anno abbiamo su queste colonne recensito il primo romanzo della coppia Roslund & Hellström abbiamo rinunciato a esprimere un giudizio: troppe situazioni narrative ci avevano disturbato, la materia sembrava disfarsi sotto le mani dei due autori.

Ora invece non abbiamo nessuna difficoltà a ricrederci: Box 21 è tutto un altro romanzo, da leggere d’un fiato.

Non che la durezza della materia – il traffico di giovani prostitute dai paesi baltici con la complicità di “bravi uomini” e “brave donne” dell’immacolata Svezia – sia attenuata: anzi, alcune scene di iniziazione alla nuova professione sono molto pesanti: ma questa volta l’intento apertamente pedagogico e una certa morbosità lasciano (quasi) del tutto il posto ad una asciutta analisi di un aspetto della società svedese altrove solo accennato.

Strettamente intrecciata con la sconvolgente storia delle lituane Lydia Grajauskas e Alena Sljusareva, protagoniste di una vera e propria tratta delle bianche, si svolgono altre due storie: la sfida infinita tra l’ispettore Ewert Grens – mezza età, solo, fanatico di Siw, cantante degli anni Sessanta – e Jochum Lang, un criminale, picchiatore e killer professionista, che ha causato l’invalidità mentale permanente di un’ex collega, Anni, e che ora è accusato della morte di un drogato senza speranza; e il doloroso conflitto tra amicizia ed etica professionale che dilania dapprima lo stesso Grens nei confronti del collega – e forse unico amico – Bengt Nordwall, stranamente conosciuto dalle due prostitute lituane; e poi l’assistente di Grens, Sven Sundkvist, nei confronti del suo stesso superiore.

Il continuo intrecciarsi dei tre piani, che non possiamo rivelare dettagliatamente per non rovinare il piacere di una lettura incalzante e di un finale pirotecnico, consegna però al lettore una morale sconsolante: il concetto di giustizia viene bellamente messo in discussione perché a ogni fatto criminoso non c’è assolutamente rimedio. Quell’astrazione che noi chiamiamo giustizia, e che secondo gli autori sembra essere una rozza formula compensatoria, non sana le ferite aperte nella società, semmai le acuisce. Se qualcuno viene arrestato per i crimini che ha commesso, come lo sfruttatore delle prostitute, può tranquillamente essere rilasciato; e se un criminale incallito come Lang sa destreggiarsi come un serpente tra le maglie e i cavilli dello stato di diritto, potrà essere ingabbiato solo con uno stratagemma che rispetta solo la forma, ma non la sostanza della legge.

Nel triangolo poi Grens-Nordwall-Sundkvist, l’incompatibilità assoluta tra sentimenti personali e rispetto del diritto trova il suo acme in un cupo pessimismo che consegna al lettore una totale assenza di speranza.

Più dolenti stavolta i personaggi (ad esempio il Grens sorpreso nella vasta, ricca e disperata intimità della sua casa; oppure gli affetti familiari di Sundkvist, continuamente sacrificati al lavoro); meno stereotipati i criminali, dal feroce Lang all’eterno drogato Hilding Oldéus; lo stesso pubblico ministero Lars Ågestam qui perde la sua negativa rigidità di uomo di legge da tavolino per piegarsi sulle ferite del mondo che indaga dal suo ufficio.

Una bella prova corale, dunque, un intreccio avvincente, una realtà dura che conferma i romanzi di Roslund & Hellström come la punta più avanzata e feroce del noir scandinavo di questi ultimi anni.

 

Voto: 7.5