La porta con il vetro smerigliato era stata sbattuta con violenza da un’infermiera, troppo di fretta per accorgersi del turbine d’aria che aveva investito la stanza e ci aveva fatto ridestare improvvisamente da un torpore troppo lontano dal sonno vero.

In ospedale si sonnecchia, anzi si alterna stordimento artificiale da pillole e cedimento strutturale da rassegnazione, un riposo forzato e senza prospettive, come se mattino, pomeriggio e sera si mescolassero indegnamente confondendo giorni tutti uguali.

Era entrato così, accompagnato da un odioso rumore di vetri infranti, quella figura insolita e giocosa di vecchio pazzo, canuto e malandato, ci guardava tutti come se fossimo i suoi carcerieri, uno sguardo vacuo e allo stesso tempo minaccioso, torvo e maledettamente vivo, qui nel girone degli incurabili, quelli che anche i parenti si sono rassegnati... ”che prima o poi tutti si deve morire di qualcosa”.

L’infermiera con un gesto sgarbato di mento gli avevo indicato un armadietto in ferro, lui come se nulla fosse aveva biascicato una bestemmia e un commento al deretano enorme del suo personalissimo virgilio, in questa terra di nessuno, dove si entra di malavoglia con la promessa implicita che sarebbe stata l’ultima volta.

"Stai crepando?" mi aveva detto con una voce di metallo

"Si, anche tu, se sei qui" gli avevo risposto con altrettanta freddezza evitando di guardarlo e spiegazzando nervosamente il mio quotidiano.

"Io mica crepo, al limite un giorno sceglierò di andarmene perché mi sono rotto le palle di vivere."

"Be' se ti consola pensala pure come vuoi, tanto mica fai un favore a me, basta che ora taci perché mica ho voglia di fare comitato accoglienza all’ultima matricola arrivata" avevo appena alzato lo sguardo dalla cronaca, e lo fissavo con quel sorriso amaro che mia moglie molto spesso mi aveva ricacciato in gola a forza di teneri baci e sorrisi audaci.

"Non cerco la tua compagnia, volevo solo vedere che aria tira, figurati se mi faccio intimidire da un rudere alla fine della sua vita, io qui sono solo di passaggio, domani mio figlio mi viene a prendere e mi porta in clinica in Svizzera, giusto una notte papà... mi ha detto…"

"Come no, quello del letto quindici è da due anni che aspetta la fine dello sciopero dei taxi, suo figlio l’ha chiamato per dirgli che non aveva mezzi per venirlo a prendere… lui spera sempre nella mediazione sindacale per tornare a casa" accidenti la mia voce ormai era fastidiosa quanto quello che dicevo, se fosse stata una sostanza organica sarebbe stato guano di piccione, quello che corrode e ti piove addosso senza un perché quando sei per strada.

"Ma sono le medicine che ti fanno così simpatico o ci nasci Nostro signore degli infami?" un largo sorriso gli illuminava un incarnato senza colore, la pelle come carta velina di un pallore innaturale, vivacizzata qui e li da capillari rotti da bevitore incallito.

"Vedrai che il buon umore ti passa Totò dei miei stivali..cinque giorni di clisteri e flebo e passa la voglia di fare cabaret."

"Che facciamo stasera?" lo aveva detto esattamente come una matricola che varca per la prima volta la soglia del suo appartamento di studente di belle speranze.

"Sarai mica un volontario del buon umore travestito da malato per saggiare l’umore in corsia spero..."

"No, te l’ho detto, non avevano letti e mi hanno piazzato qui, allora che dici si scende in giardino dopo a giocare alle carte?"

"Non siamo al dopolavoro con il lambrusco e poi giocare alle carte non lo dice e non lo fa più nessuno."

"Porca miseria scusa, non pensavo che fossi così moderno."

"Sono malato non rincoglionito..."

"Senti malato vieni giù che mi fumo una sigaretta."

"No."

"Non cammini?"

"Certo che cammino."

"Allora andiamo?"

Avevo preso gusto alla conversazione, devo ammetterlo, da quando Sara era morta ricevevo poche e poco gradite visite da nipoti improbabili, figli di sua sorella che mi aveva sempre addossato la responsabilità di non aver reso madre la meravigliosa Sara, il suo unico e grande amore e solo in seconda battuta mia moglie.

Niente figli, eredità interessante, visite frettolose ma scientifiche in prossimità delle feste.

Forse era proprio il mio astio, il mio laconico rancore che stava accelerando la mia fine.

Sara aveva aperto un varco nella mia ignobile natura misantropa e aveva reso tollerabile tutto, anche questo insopportabile buon umore falso delle persone “serene”.