Una donna con un lungo camice di tela grigia e un vecchio cappello che le copre interamente i capelli, guarda fisso davanti a sé.

 

<<Io, Virginia, sono la seconda delle figlie del conte Della Serra, un solo anno mi divideva da Flavia, la maggiore, eppure tra noi due c'era il mondo- che dico! - l'universo intero. Per quanto Flavia, proprio come nostra madre, fosse delicata, bionda, con gli occhi chiari e con quella leziosità che i più considerano indispensabile requisito per una donna, io sono rude, forte, lontana - per carità! - da qualsiasi tipo di svenevolezza e il mio corpo, per così dire, è consono al mio temperamento, mi si attaglia benissimo solido e robusto come è, per non parlare dei miei capelli bruni e riottosi a qualsiasi acconciatura che abbia la pur minima grazia femminile. Eloisa, la terza sorella, nacque quando io e Flavia avevamo rispettivamente quindici e sedici anni. All'inizio portò un grande scompiglio in quello che era il tran-tran quotidiano della nostra famiglia - i nostri genitori erano sempre più nervosi - ma presto si legò a me con un affetto talmente grande che non mi fece mai rimpiangere il fatto di aver rinunciato per anni a qualsiasi storia d'amore e, prima ancora, al benchè minimo rapporto con un maschio che andasse anche solo al di là della semplice e rozza complicità cameratesca. Non è vero che ero gelosa di mia sorella Flavia, solo - ecco - trovavo un po' fuori luogo quel suo modo di bamboleggiarsi, di comportarsi spesso come una bambina, vezzosa e soprattutto capricciosa. Per quello che riguarda Eloisa il discorso era diverso, con lei avevo un rapporto di grande affetto, di così profonda intesa e simbiosi che, forse, poteva sembrare morboso agli occhi di un estraneo poco sensibile>>

Si alza e comincia a camminare nervosamente, continuando a parlare.

 

<<Mia sorella Eloisa era come l'usignolo che papà mi regalò quando fui promossa a pieni voti in seconda liceo. "Lo devi lasciare andare": mi dicevano così quando stringevo forte tra le mani il mio usignolo. "Lo devi lasciare andare", sì dicevano tutti così e aggiungevano che a stringerlo tanto il mio usignolo non solo non avrebbe più cantato, ma sarebbe morto. Così, una mattina di fine novembre, fredda e pungente come i ricci del mio castagno davanti a casa, aprii la bella gabbia fatta a pagoda, lo presi tra le mani e lo liberai. Mi aspettavo un volo alto, verso il cielo freddo di quell'inverno, invece volò solo fino al palazzo di fronte. Non lo sentivo più cantare. Fu per questo che feci iniziare le ricerche, seguite e istigate dai miei pianti. Ma il gatto del palazzo di fronte fu, probabilmente, pù veloce. Non mi hanno mai detto perchè il mio usignolo non l'hanno trovato, ripetevano: "lo dovevi lasciare andare".

Eloisa - lo ricordo perfettamente - cantava, con voce celestiale - ecco, sì, celestiale - saturando l'aria della nostra antica casa.

Il momento del disvelamento, per così dire, fu terribile; è fissato per sempre nella mia mente il volto di Flavia mentre diceva al suo amante - l'amico più caro di mio marito, del padre dei miei figli - che doveva mettermi al corrente, finalmente, che Eloisa era loro figlia e che i nostri genitori avevano mentito per anni, corrosi dal tarlo di un eccessivo perbenismo. Eloisa - la mia Eloisa! - me l'avrebbero portata via.

No, non potevo permettere che Eloisa avesse la stessa sorte del mio usignolo, così non la "lasciai andare" ma, al contrario, strinsi forte tra le mie mani il suo esile collo, finchè non fui assolutamente certa che lei non si sarebbe mai più potuta allontanare da me.

Giacomo, l'amante di mia sorella Flavia era per me una sorta di intruso, fastidioso come un residuo di cibo che si incastra tra un dente e l'altro. E due denti - perfetti pur nella loro assoluta diversità - eravamo io e mia sorella Flavia, così fu facile eliminarlo, con un veleno inodore, incolore e insapore come lui, l'arsenico. Rimaneva mia sorella Flavia. Per lei il discorso era diverso. Era l'altra faccia della medaglia, la parte migliore di me, quella bella, che tutti ammiravano, ma non era capace di amare, non sapeva "stare al gioco", a nessun gioco che non fosse il suo, aveva contribuito in modo significativo a svuotare di senso la parola "sorellenza". Io costruivo, tra mille difficoltà, e lei distruggeva, sembrava quasi che non sapesse fare altro che rovinare qualsiasi cosa con fatica io realizzassi. Avevo sempre sostenuto che per me era importante raggiungere una "sorellanza" tra noi donne che sostenesse i nostri progetti, allontanando lo spettro che nei secoli ci ha sempre perseguitato, ovvero l'ombra nera della perfidia e dell'invidia che ci ha inevitabilmente divise. Mia sorella Flavia, invece, sembrava mettere tutta la sua volontà al servizio di quello che percepivo come un gioco crudele innanzitutto nei miei confronti, ma anche verso tutte le altre donne. Non mi ha mai sostenuta nelle mie battaglie per avere una maggiore autonomia, anzi, nei casi in cui è stato possibile, mi ha ostacolata, trasformandosi in quello che io- nemmeno troppo scherzosamente! - avevo ribattezzato "il mastino del potere maschile".

Sì, a lei bastava che gettassero - metaforicamente s'intende! - un osso e subito scondinzolava, agitando i suoi bei riccioli biondi.

Flavia aveva una vera e propria avversione per i rospi, che spesso, nelle sere pioviose e umide dell'autunno, facevano la loro comparsa nel nostro giardino, così mi sembrò indispensabile - ecco, sì, questa è la parola giusta! - utilizzare un rospo per eliminarla. Eliminarla - sì - senza spargimento di sangue. Catturai un grosso rospo e, dopo averlo ucciso, lo misi a macerare insieme all'euforbio, aggiunsi schegge finissime di vetro e feci bere a Flavia la venefica pozione spacciandola per una tisana amara a base di ortica, depurativa e purificante. Mi sentivo molto "strega" mentre preparavo la pozione che mi avrebbe per sempre liberato da mia sorella e, finalmente, non mi sentii più umiliata dalla totale assenza di "sorellanza" che aveva sempre contraddistinto - ahimè! - il nostro rapporto.

Dunque, anche Flavia non c'era più...>>

 

Smette di parlare e inizia a fare degli strani gesti con le mani, come se cercasse, vanamente, di testare la consistenza dell'aria.

Riprende a parlare, con voce molto più rauca.

 

<<E invece no, c'era sempre, anzi c'è, permane!... Capite?... Non se ne era voluta andare... Che dico?... Non se ne è voluta andare... - con il palmo della mano destra si batte disperatamente la fronte. Fa una breve pausa, si siede e riprende a parlare -... Una mattina, presto, molto presto, prima che l'alba illumini definitivamente il cielo, in quel lasso di tempo in cui il nero della notte si fa grigio chiaro chiaro, la vidi. Era tornata... capite?... Tornata!... Stava in piedi proprio davanti a me e mi guardava. Avevo sempre desiderato vedere un fantasma, fin da bambina ero attratta dal senso del mistero e spesso mi ero rammaricata di non riuscire a "mettermi in contatto" con quel mondo inconoscibile di cui parlava mia nonna. Ma mia sorella Flavia no, proprio non mi aspettavo che tornasse da quel mondo a farmi visita... Non parlava, ma mi guardava con quei suoi occhi azzurri, che in certi momenti sembravano quasi liquidi, si arrotolava un ricciolo biondo tra le dita e spariva. Cominciai ad avere dei tremori in tutto il corpo non solo nei giorni in cui Flavia mi appariva, ma quasi sempre. Dissero che ero pazza... no, non con queste parole, no, ma io sentivo che alle mie spalle confabulavano... dissero che mi ero fissata con le tinte per i capelli e che spesso mi sporcavo tutta nel maldestro tentativo di tingermi di nero... Che sciocchezza! Perchè mai dovrei tingermi i capelli di nero, dal momento che io sono bruna! Le inservienti, qui, per una bizzarria di mio marito vengono appellate come se fossero delle guardie carcerarie, anche se credo che si prendano un po' troppe libertà con i miei figli, a tal punto che sembrano i loro!...

C'è anche un signore molto anziano che viene spesso a farmi visita, ogni tanto piange, si commuove senza motivo e continua a ripetermi che per fortuna lui ha donato tutto quello che aveva, anche la sua bella casa antica, al fondo per le "Giovani figlie della Lupa", che questa donazione ha salvato, in parte, almeno una delle sue figlie e, di nuovo, si mette a piangere...

Mio marito si trattiene spesso a parlare con lui e, certe volte, vedo che gli mette una mano sulle spalle come se volesse consolarlo, fargli forza, anche se a parer mio questa confidenza è decisamente eccessiva e fuori luogo.

Tutta questa comprensione verso un estraneo da parte di mio marito mi sembra strana, soprattutto tenendo conto del suo carattere tuttaltro che bonario, diciamo così. Odilo - questo è il nome di mio marito - è un bell'uomo, alto, magro, con un portamento eretto e signorile e occhi di un azzurro ghiaccio che sfumano verso il grigio. Qui tutti lo temono, anche perchè è capace di raggiungere vette di crudeltà mentali inimmaginabili... Oh, è vero, lui non alza mai la voce, ma quel tono freddo, metallico quasi, che prende quando vuole comunicarti qualcosa che secondo lui non deve essere fatto così, va dritto come una lama di coltello al cuore. Odilo, troppe volte, è spietato, sa bene che cosa può ferirvi e potete esserne certi che lui userà questo contro di voi e lo farà con estrema calma e freddezza.

Tante volte - anzi decisamente troppe! - ha giocato con me il suo spietato gioco mentale, in cui io, invariabilmente e inevitabilmente, ero la vittima e lui il carnefice. Distaccato, freddo e senza alcuna pietà mi ha guardato, con i suoi occhi che dall'azzurro passavano al grigio, mentre, sotto le sue sferzanti parole, mi dibattevo come un pesce che muore lentamente. Odilo è colonnello medico, psichiatra per l'esattezza, e a lui ho detto che Flavia torna spesso a farmi visita come fantasma... So perfettamente che mi considera, anche e soprattutto per questo, un po' pazza, un'irrazionale da tenere sotto controllo. Sempre più spesso, infatti, mi sento osservata da lui, o meglio, mi sento analizzata e quasi vivisezionata - se ci penso rabbrividisco! - dai suoi occhi freddi.

La menzogna - atroce! - che mio marito racconta è che in realtà Flavia non è mai esistita, ma è l'altra me stessa, quella migliore - appunto! - che io vorrei distruggere, annientare, perchè è lei, è lei - alza il tono della voce, urla - che ha ucciso Eloisa, la mia Eloisa.... - comincia a piangere - Ma non è così, no!... - si asciuga gli occhi con un pezzo di stoffa sporca e stropicciata - Flavia non solo aveva una sua vita, ma torna a tormentarmi, torna e mi parla di nostra madre... - con le mani annaspa nell'aria, come se volesse catturare qualcosa ma non ci riuscisse - quella strega che voleva venderci per quattro schifosi soldi!... Sì, sì, bionda e delicata come era, nostra madre sembrava tanto dolce, ma in realtà era una strega...- alza di nuovo il tono della voce- Non so chi le aveva promesso di salvarla in cambio della pelle di almeno una delle sue figlie, quella più diversa da lei naturalmente, ovvero io.

Io sarei stata la prima ad essere sacrificata, ma mia sorella Flavia ed Eloisa - ne sono convinta! - mi avrebbero seguito presto.

No, non sono pazza; certe volte sì, mi sembra di impazzire quando penso che tutto questo è successo a me.

Ma adesso è giunto il momento di rivelarvi un segreto - fa qualche passo in avanti e abbassa il tono della voce - di farvi partecipi di quello che realmente avviene qui... Ogni notte si sente un rumore di passi e qualche ragazza se ne va. Sì, avete capito bene, sparisce. Ma il mio tormento rimane il bel viso di Eloisa, che - certamente! - era troppo giovane per morire. Comincio ad avere dei dubbi sul fatto che l'ho uccisa io, proprio io! Certe volte mi sembra di ricordare che anche lei, come tante altre ragazze che mi hanno fatto compagnia in questo anno, è sparita una notte... Mi sembra quasi di impazzire veramente!

La pazzia - così dice mio marito, che tante volte si è trovato a fronteggiarla - è come un verme che mangia le parti più vitali, ma per me è anche una specie di madre misericordiosa nel cui grembo poter appoggiare la testa per dimenticare. Sì, dimenticare ciò che la vita ti mette brutalmente davanti, costringendoti a vedere, anzi ad averci dei contatti.

Passeggio spesso nell'unico spazio, recintato dal filo spinato, dove ci è consentito camminare, dove ci sono i segni inequivocabili di questo autunno sporco, le foglie cadute dagli alberi, rosse come zampe di galli su un fondo giallo e fangoso che imbratta i miei piedi nudi e sanguinanti.

Passeggio e rimugino sul modo in cui potrei liberarmi delle mie carceriere, che troppo spesso negli ultimi tempi si sono rivelate per quello che ormai sono certa che siano, ovvero le spie di mio marito.

Due cretine - ecco che cosa sono in realtà! - che obbediscono a mio marito con la sottomissione di chi crede di essere nato con un destino già segnato, scritto nel dna. Due donne e, per di più, due dipendenti di mio marito! Come dire che si sentono doppiamente costrette ad assecondare ogni più piccolo desiderio di mio marito.

Mio marito spesso si compiace nell'illustrare la sua teoria sul destino delle donne. Eccovi serviti. La donna è biologicamente diversa dall'uomo - dice lui, scandendo bene le parole - nel senso che è programmata per riprodursi e, quindi, è monogama e cerca l'uomo forte, protettivo e possibilmente ricco. L'uomo è, naturalmente, poligamo e giustificato in questo dalla sua diversità biologica, appunto. Dunque, la donna, secondo la teoria di mio marito, deve essere innanzitutto sottomessa ed è per questo che spesso mi costringe a mettermi in ginocchio e a leccargli gli stivali. Un atto di sottomissione dovuto, a parer suo...

Quelle due cretine delle mie carceriere - credono che io non lo capisca! - si sono letteralmente imbevute dei discorsi e delle teorie di mio marito. Ma non servirà a nulla, ci vorrebbe ben altro che le prediche di mio marito per salvarle!>>

 

Smette, di nuovo, di parlare, si guarda furtivamente intorno, da un buco del pavimento in un angolo tira fuori un flaconcino di vetro trasparente. Con la mano destra lo alza davanti a sé, lo getta a terra e continua a parlare.

 

<<In questo flacone era contenuto il veleno che avrebbe dovuto uccidere le mie due carceriere, lo stesso che era servito per eliminare Flavia, carne di rospo macerata insieme all'euforbio e schegge finissime di vetro.

Ma qualcuno è stato più veloce di me e mi ha rubato il veleno!>>

 

Smette di parlare, fa qualche passo avanti, allarga le braccia e le lascia subito ricadere lungo i fianchi scuotendo la testa.

Riprende a parlare.

 

<<Qualunque cosa accadrà alle mie carceriere, non sarà certamente colpa mia. Ora non rimane che interrogarsi su chi potrebbe aver rubato il veleno.

Potrebbe essere stato mio marito, magari proprio per uccidere le mie due sorveglianti, per punirle di aver disobbedito a qualche suo ordine o quell'uomo anziano, che viene spesso a farci visita e che a me pare proprio un tipo strano... Dopotutto mio marito, che ha fatto perizie psichiatriche a molte di noi qui dentro, subito prima che sparissero, di queste faccende se ne intende eccome!

E pensare che vogliono farmi credere che quel vecchietto un po' rimbambito, che piagnucola troppo spesso, è mio padre! Sì, mio padre, le ho sentite le due carceriere, più volte, dire questa menzogna pensando che non ascoltassi - alza le spalle e scrolla la testa con un gesto di disprezzo - Ma lasciamo perdere! Torniamo, piuttosto, alla faccenda del veleno, o meglio cerchiamo di capire chi lo ha rubato. Potrebbe anche esserci un'altra spiegazione... non sempre la soluzione si trova seguendo i percorsi più logici, ma, inoltrandosi, alcune volte, nel magma dell'inconoscibile, dell'insondabile, dell'impalpabile...>>

 

Interrompe il discorso, incrocia le braccia e si stringe forte il corpo, come se fosse percorsa da brividi. Riprende a parlare, con un tono di voce più basso, un po' strascicato.

 

<<Potrebbe essere stata Flavia a togliere il veleno dal flacone! Sì, Flavia, avete capito bene. Flavia torna... è una presenza, capite? Flavia, potrebbe essere stata Flavia!...>>

Urla il nome di Flavia, poi riprende a parlare con un tono di voce basso, quasi cantilenante.

<<Flavia vuole vendicarsi... mi vuole uccidere! Ha ucciso il concetto di sorellanza e ora è tornata per uccidere me, che ho osato eliminarla... Il mio combattimento con Flavia è stato per la sopravvivenza ed è iniziato subito, non voleva che io nascessi, voleva togliermi il respiro, soffocarmi, capite? Lei non ha mai sopportato di perdere, mai! Se è stata Flavia a togliere il veleno dal flacone, per me non ci sarà scampo!>>

Si guarda intorno e comincia a muoversi, camminando avanti e indietro in modo ossessivo. Improvvisamente, con la mano sinistra, inizia a massaggiarsi lo stomaco e riprende a parlare.

 

<<Mi brucia lo stomaco! Mi sembra che tanti, piccoli aghi mi trafiggano la carne e che le fiamme dell'Inferno si siano impadronite del mio stomaco che brucia, brucia! - si piega, solo per un istante, in avanti, continuando a massaggiarsi lo stomaco - Forse Flavia... lo spirito di Flavia... mi ha già avvelenato!... Flavia, con i suoi capelli biondi e il suo visetto da angelo, proprio come nostra madre, era anche lei una strega schifosa... chi puo' dirlo?

Bionda e delicata come nostra madre e, proprio come lei, aveva venduto la pelle di sua sorella... chissà...>>

Smette di parlare e fa una risata sgangherata, che la scuote tutta. Riprende a parlare.

<<Bello scherzetto per quella strega schifosa che era nostra madre, ritrovarsi una figlia proprio come lei, non solo per la somiglianza fisica, ma anche per l'anima nera che aveva...>>

Improvvisamente smette di parlare e con un gesto veloce della mano sinistra si toglie il cappello. Le ricadono sulle spalle lunghi e ricci capelli, di un bellissimo color oro, con alcune ciocche maldestramente tinte di nero.

Abbassa la testa e riprende a parlare, con una voce che sembra quasi un lamento.

<<No... no... Flavia non è mai andata via! E' sempre stata qui, bionda come se fosse di pura "razza ariana"- nonostante sia una figlia di Davide- in questo corpo invecchiato, sfasciato, torturato, umiliato dal passare degli anni, in questo viso segnato dai dolori....>>

Ora comincia a piangere, in un primo momento piano, poi con singhiozzi violenti.

Improvvisamente sembra calmarsi. Riprende a parlare con una specie di affanno che la scuote tutta.

<<Non sono servite a nulla le tinte per i capelli... non si può tingere l'anima!...Oh, se solo si potesse!... Sono una figlia di Davide, una maledetta ebrea!...Il veleno l'ho preso io... no, non proprio io...Virginia o Flavia, che importanza ha?... Quello che conta è la sorellanza!... Sì, la sorellanza!>>

Grida la parola "sorellanza" e cade a terra, priva di vita.

 

Campo di sterminio Risiera di San Sabba - Trieste - gennaio 1944.

"La numero 17 è deceduta. Chiamate il colonnello Odilo Globocnik perchè va su tutte le furie quando i prigionieri si uccidono senza che lui lo sappia. Avvertite il numero 188 che sua figlia Flavia è morta, così la smette di venire nelle celle riservate a queste cagne di ebree"