Tante, troppe volte abbiamo ironizzato sui bestseller statunitensi che con sovrana disinvoltura mescolano storia e finzione, cronaca e fantastoria per regalare ai palati meno raffinati del pianeta succulenti polpettoni su cui imbastire discussioni da ufficio o da bar sport.

Il codice da Vinci, avete presente?

Beh, Merovingi e Graal a parte, la mala pianta del pressappochismo letterario attecchisce anche nei fertili territori di frontiera dell’“altro noir”: in questo caso ancor più di frontiera in quanto si tratta di un altrimenti sconosciuto trentenne autore nato in Italia ma di origine egiziana.

Si prende un evento storico di portata planetaria, l’attacco terroristico dell’11 settembre 2001 alle Torri gemelle del WTC che garantisce un appeal unico anche se un pochino usurato.

Lo si insaporisce con la ben nota teoria del complotto che vede un ramo deviato della C.I.A. (ma non è forse il vero nucleo dell’Agenzia?), soprannominato con invidiabile originalità “Cellula”, essere perlomeno al corrente dei propositi criminosi del commando e non fare nulla: per garantire, è chiaro, agli USA l’alibi per imporre la propria visione imperialistica.

Siccome poi siamo in Italia, ci si ricorda della tragedia all’aeroporto di Linate dell’ottobre 2001 e la si collega, in modo abbastanza fumoso e solo nel prologo e nel finale arruffato, con l’attentato principale.

Ah, dimenticavamo: poteva mancare l’operazione coperta per il rapimento di Abu Omar che anch’essa viene buttata nel calderone, anche qui senza che il collegamento con la vicenda principale sia chiarissimo?

Al centro di questo canovaccio degno di un Ken Follett (o di un Giorgio Faletti) viene posto l’eroe, Adel Kadry, un egiziano abbastanza tradizionalista in fatto di religione e di rapporto con l’altro sesso, discretamente filopalestinese e antioccidentale in politica estera, ma assai spregiudicato e perfettamente inserito nel sistema capitalistico in materia di affari e di riciclaggio di denaro sospetto tramite una miriade di società sparse per il mondo; accanto a lui una donna, Sonia, italiana, anche lei esperta del ramo (lavora in ambienti vicini alla Borsa) con la quale intreccia una relazione ad alto tasso di glicemia e di sesso; infine un giornalista franco-algerino, Jean De Tennais, con il suo essere a cavallo tra mondo musulmano e occidentale, con i suoi contatti sull’uno e sull’altro fronte, garantisce la coscienza critica dell’autore anche di fronte alle derive maschiliste e tradizionaliste del buon Kadry.

Quest’ultimo viene inseguito da una parte all’altra dell’Oceano in quanto ritenuto uno degli attentatori delle Torri Gemelle che ha deciso di cambiare aereo: in realtà Kadry potrebbe risalire alle losche manovre della C.I.A. che utilizza le sue compiacenti società per i suoi traffici sporchi e allora è meglio farlo tacere.

In un mondo dove i cattivi parlano sempre inglese e i buoni quasi sempre appartengono al sud musulmano del mondo, il nostro Kadry cerca una via di scampo sfuggendo ai suoi tentacolari e ipertecnologici persecutori con trovate degne di miglior causa: un cambio di treno al volo alla stazione di Santa Maria Novella e addirittura attraverso passaggi segreti alla falde del Cimino, in Tuscia, protetti da legioni di cacciatori locali e di cani appositamente drogati per azzannare i feroci 007 americani.

Che dire? La strada dell’inferno è lastricata di buone intenzioni.

Il Legame di Fabio Omar El Ariny è un romanzo che voleva essere epocale, pur in una cornice appetibile come quella del thriller fantapolitico, che sbanda vistosamente: per la scarsa credibilità delle scene d’azione, per il dolciastro romanticismo di quelle erotiche, per la dubbia verosimiglianza delle connessioni politico-terroristiche internazionali.

Sospendiamo misericordiosamente il giudizio.

Voto: n.c.