Ottobre 1989.

La vita... un ciclo continuo...

Inizio a pensare che esista una connessione fra gli inspiegabili fenomeni di cui anch'io faccio parte, di cui sono vittima e testimone, e la storia di Cristoforo Colombo che m'avvolge oramai come le spire di Quetzalcoatl, Il Serpente Piumato...

Anche quest'anno non ho ottenuto il trasferimento. Il gioco, a ben vedere, è sempre più duro e scabro... sfilano i treni e gli orari, corrono sulle rotaie i giorni e si consuma nella notte l'orribile verità quotidiana... perché non m' hanno trasferito? Perché continuo a vagabondare per tutta la riviera ligure di Levante?

Tra i miei amici balena intermittente l'idea che il mancato trasferimento sia una sorta di neanche troppo velato avvertimento; a dire che c'è qualcuno che tanto di buon occhio non vede i temi che affronto e come li affronto, e poiché di certo non può intimidirmi per via diretta, tenta di aggirare l'ostacolo... in modo ellittico...

Può darsi. Potrebbe essere.

E' così, forse. Ma in tal caso è una ragione in più per lavorare e a fondo in questa direzione, perché vuol dire che ciò che sto cercando di dimostrare è giusto.

E poi, questi sono i paradossi della nostra cultura. Se dieci o vent’anni anni addietro avessi scritto un libro come quello a cui sto lavorando, tutta la cultura di sinistra m'avrebbe aperto le braccia e io avrei avuto da temere, che ne so, dai miliziani di Ordine Nuovo o di Avanguardia Nazionale. Oggi è il contrario; altri sono i nemici; non hanno nomi o sigle ma il potere che manovrano è ben ampio, forte il loro denaro... e la totale mancanza di fede o di ideali rende questa gente pericolosa.

E forse i miei amici non sono troppo lontani dal vero.

Novembre 1989.

Vivo oramai chiuso in una sorta di parauniverso, dove il mio libro e il collezionista di libri colombiani s'alternano con un vorticoso ritmo da gimmick.

Al primo continuo a lavorare senza un momento di requie.

Al secondo mi ritrovo a pensare quando non riesco più a concentrarmi sul primo. Ho fatto spargere una voce in giro, nei diversi antiquari genovesi, nelle librerie dell'usato, nei negozi di bibliofilia; ho fatto sapere che sono interessato a testi strani su Cristoforo Colombo, e una chiacchiera tira l'altra, i rumori crescono, e di voce in voce ho stilato una possibile lista di sospetti... tutti individui estremamente rispettabili, com'è ovvio; un direttore di banca, un paio di professionisti, qualche commerciante, un primario d'ospedale... ma tutta gente danarosa, troppo danarosa per esser colpevole; e poi; qualche insegnante delle superiori, un giornalista, qualche altro professionista... nessuno di loro è un colombista in senso stretto, però; sono le ultime leve, gli ultimi arrivati... io so tutto di loro, e loro sapranno tutto di me, a questo punto che le notizie con così poca discrezione sono circolate... ma tra di loro deve esserci per forza il mio avversario, che prima o poi manderà qualcuno a svaligiarmi la casa, come in tempi remoti un altro collezionista fece per impossessarsi delle mie cartoline su Gabriele d'Annunzio...

Così nascondo tutto. Ho preso in affitto un paio di cassette di sicurezza e vi ho nascosto i rari volumi che possedevo a proposito di Colombo. Ma ogni tanto, quando me ne capita sott'occhio qualcuno e le mie magre finanze me lo permettono, acquisto un libro e lo chiudo nella cassetta perché non voglio lasciare al mio avversario la soddisfazione di derubarmi. Ma spesso m'arrovello a pensare al modo di smascherarlo.

Ma questo è nulla, tutto sommato.

L'attuale grande problema è un altro.

Anche il capo mi ha mollato per strada. Lo sapevo... lo intuivo... qualcosa m'avvertiva che le cose non funzionavano come un tempo... che il capo non sembrava più interessato a quello che stavo facendo, si negava, spesso, non aveva occhi e orecchie se non per una nuova leva appena reclutata... poi un giorno che eravamo entrambi in istituto, improvvisamente mi disse tutto quello che fino a quell'istante s'era tenuto in serbo per sé; e lo disse impacciato, confuso, imbarazzato, cercando di dissimulare la verità con una serie di fole che avevano lo stesso spessore di quelle che avevo sentito - ma quanto tempo prima! - in un'altra stanza, in un altro contesto, in altri tempi ma con modi simili... la scusa? Quella ufficiale che benché io avessi giurato che il testo sarebbe stato pronto per la prossima estate, motivi e tutti speciosi ne rimandavano la pubblicazione non prima del 1991; ma per quell'epoca il mercato sarebbe stato inflazionato, e allora non conveniva attendere la fine del 1992, quando si sarebbe esaurita la spinta, e magari nel 1993, terminata l'ebbrezza colombiana, quando tutti si sarebbero dimenticati delle celebrazioni e il mio libro invece sarebbe rimasto uno dei pochi in circolazione a tracciare le mappe di quest'avventura intellettuale...

Conosco bene il capo. Il management non è il suo forte. Riuscì a render così complesse le cose, che il mio libro su d'Annunzio, anziché uscire nel 1988 in occasione del cinquantenario della morte è ancora, un anno dopo, che attende il via, c'è tutto il testo composto, le note, la copertina, ma qualcosa lo blocca... cosa?

Qualunque altro terribile evento che fosse potuto accadere avrebbe destato meno sorpresa in me, che quelle parole; anche perché di colpo ripensai all'altro libro, quello su d'Annunzio, appunto... ripensai alla mia vita trasformata in un inferno per avere il tempo di lavorare... e come se nulla fosse, nel giro di un anno tutto andava a dissolversi nel nulla senza lasciare traccia alcuna...

Che colpo, fu quello! Peggiore del primo! Sul mio mondo che già vacillava fece l'effetto di una bomba...

- Quali problemi?

Inaspettato giunse a spazzare via, quest'evento, ogni residuo di convinzione a proposito dell'utilità dell'esistenza... restai a pensarci sopra, e senza averne l'aria...

Non rividi più il capo.

Non lo volli mai più rivedere.

La storia dei ragazzi di via Lomellini, per me, era definitivamente chiusa.

Decisi che io avrei giocato il tutto per tutto; che io sarei stato d'ora in poi a gestire la pubblicazione di quel libro che bruciava nelle mie cartelle più della chimera o di qualunque altro mitico animale... dovevo terminare quel libro, dovevo pubblicarlo, farne parola e carta stampata...

Era un debito che avevo con me stesso.

Non esistono, in giro, grandi documentazioni autografe dell'Ammiraglio del Mare Oceano: tre sono a Genova, una ventina a Madrid, una a Salamanca... e benché i colombisti di tutto il mondo siano da sempre affaccendati a mostrare come testimonianze inconfutabili gli scritti coevi alla scoperta, alle volte ho l'impressione di naufragare in una palude di citazioni di altre citazioni...

Anche tutti i documenti relativi alla famiglia Colombo conservati qui a Genova paiono ben lungi dall'essere inoppugnabili; eppure tutti giurano sulla genovesità di Colombo... giurano sulla sua esistenza... sulla sua fede cattolica... sulle sue capacità nautiche... un giorno m'è capitato perfino di leggere uno studio di non ricordo quale cialtrone impegnato a sostenere che Colombo fosse dotato di uno sviluppato senso dell'olfatto; e questa sua specificità veniva desunta dal suo amore per i profumi...

Detto per detto. A volte mi viene in mente che Colombo poteva essere uno degli abitanti della misteriosa Antilla, dell'Atlantide perduta, di Bimini... un viaggiatore sopravvissuto ad un naufragio o ad una disgrazia; uno straniero che, mescolando italiano, genovese, portoghese e castigliano riuscì ad imbrogliare i Reali di Spagna per farsi affidare una piccola flottiglia in modo da farsi riportare a casa; Antilla, Atlantide, Bimini, o anche Mu o Gondwana o Lemuria o chissà quale altra immaginifica invenzione... qualunque fosse la sua terra, questa magari sprofondò in mare nel tempo che lui tornava indietro... non gli rimase che simulare d'aver scoperto una terra che conosceva benissimo, al punto che gli Azteca, discendenti di Aztlan, altro non erano che i diretti figli del ceppo originario di quella civiltà perduta frammentata da una prima catastrofe avvenuta nell'antichità e distrutta completamente nell'anno di grazia 1492... poi se ne tornò a morire in povertà, a Valladolid.

Cosa sto facendo? Non lo so. Mi domando se davvero tutto ciò che m'avviene attorno abbia significato; nel chiuso universo in cui giorno a giorno m'avvolgo scopro tante metamorfosi da non saperle più discriminare…

Non ho ancora trovato il modo d'identificare il misterioso collezionista... ad esempio; l'emorragia continua; i libri scomparsi sono altri tre. Ventitré testi da aprile ad oggi. E' inammissibile! Nessuno dice nulla, nessuno interviene.

E in tutto ciò che mi circonda intravvedo... come se ci fosse qualcuno che m'impedisce di lavorare in pace, e per farlo mi nasconde i libri. Forse è la stanchezza di questo dicembre, di queste vacanze natalizie che anziché riposarmi lavoro e anche più del solito.

Febbraio 1990.

Ho come l'impressione d'esser seguito, pedinato, controllato mossa dopo mossa; è una sensazione che m'attanaglia da diverso tempo e che si lega, in qualche buio modo, alla situazione e al modo in cui la sto vivendo.

Sarò più chiaro.

Da quando ho iniziato a dar la caccia al Collezionista - oramai lo chiamo così - la mia attenzione è più che mai fissa su questi libri che scompaiono senza lasciar traccia, su queste indicazioni che si vanno dissolvendo... oggetti che qualcuno mi toglie di sotto e che comunque non verranno mai restituiti... provo un'orribile sensazione, come se ci fosse qualcuno pronto a coprire ogni mio passo e a studiare ogni dettaglio della mia vita; questa constatazione - ogniqualvolta si presenta alla mia coscienza - m'angustia, m'opprime, mi soffoca. La vita che da sempre è inferno ancora più insopportabile si manifesta in tutti i suoi aspetti più negativi.

Vado in biblioteca.

Laggiù c'è sempre qualcuno che mi è amico, ma anche qualcuno che mi controlla. Forse è la stessa persona ma io non sono assolutamente in grado di accorgermene; così i benevoli sguardi degli amici finiscono a confondersi tra gli sguardi dei nemici... al mio tavolo m'accorgo perfettamente del senso che ciò acquisisce; quando esco la biblioteca sfuma e viene sostituita da qualche altro spazio, da un'altra osservazione, da un ulteriore pedinamento, da altri occhi e da altri sguardi.

Non so chi siano, né perché facciano così.

Posso soltanto immaginare d'esser centro di una chiara configurazione in cui, l'Ammiraglio da un lato, e Lucifero sa chi dall'altro stanno per giocare una difficile partita nella quale per caso anch'io sono entrato.

Marzo 1990.

La tensione di questi giorni infiniti mi sta distruggendo.

Uno dopo l'altro avvengono fatti sempre più strani che io non sono in grado di comprendere; non hanno inizio né fine... come se l'esistenza di giorno in giorno fosse sempre più buia... e sempre meno... insomma, è come se cercassi di fuggire da un nemico che non conosco.

La mia vita è intrappolata nell'identico periodare di tutti i giorni. Esco dalla biblioteca. Faccio un salto in libreria. Torno a casa. Me ne vado a dormire, dopo cena. All'alba esco da casa e vado in stazione. Poi il treno, e la scuola. Finita la scuola, ancora la stazione e il treno.

E poi la biblioteca. O la casa. Non esco neanche più, la sera.

Dietro di me c'è qualcuno che mi spia. Qualcuno che s'è incollato alle mie spalle; altri che s'interessano all'Ammiraglio, forse, hanno un gran desiderio di scoprire che cosa io stia facendo.

Se qualcuno potesse entrare nella mia mente non avrebbe nessuna difficoltà a riconoscere in me la tipica strutturazione cognitiva del soggetto paranoide. Anch'io lo crederei se non fossi immerso in questa storia fino al collo. Non è solo un problema di sensazioni.

E' qualcosa di più.

Questo buio sembra coinvolgere anche la stessa organizzazione della mia vita. Tutti si allontanano da me - o al contrario sono io che m'allontano da loro; un processo irreversibile che oramai dura da mesi.

Il mio mondo va sempre più spopolandosi; è fatto di fantasmi; intangibili, ombre tutte che s'allontanano.

Ho perso tutti i miei amici. Ho lasciato anche Renata, la donna con cui negli ultimi due anni ho condiviso le ansie e le serenità dell'esistenza.

Renata s'allontana all'indietro nel tempo. Io la dimentico come vado dimenticando quello che è il tessuto del mondo circostante; oramai assorbito dalla visione di Cristoforo Colombo, Ammiraglio del Mare Oceano, che m'attende in fondo ad un inesplorato cammino, solitario.

Non credo che Renata abbia preso bene questa storia. Forse non si è resa conto che tutto ciò che é avvenuto tra di noi non è sorto per equivoci, dissapori o disaccordi; ma che si è trattato semplicemente di un modo per non coinvolgerla nella caduta.

Ho impegnato buona parte della mia vita, in questa storia; forse tutta; ma in quest'universo che si frantuma, adempiere ai riti della vita quotidiana non ha senso alcuno; è meglio sprofondare e nella caduta non trascinar con sè nessuno; lasciar che la nave, la Santa Maria, affondi e che si salvino tutti gli altri! - Io voglio affondare; solo.

Lei non l'ha compreso.

Assolutamente.

Ma è meglio che le immagini di questo mondo si dissolvano lentamente, in solitudine; che si perdano assieme a questi libri che non si ritrovano più, a queste edizioni smarrite, a questi opuscoli polverosi, a quei manoscritti veri o falsi e introvabili, a queste improbabili testimonianze di una disperata ricerca dell'assoluto...

Ignoro che rotta Cristoforo Colombo abbia tracciato nella sua vita; ma certo seguiva un percorso meno tortuoso di quello che io seguo; e chi avrebbe mai detto che esisteva un testo intitolato Colombo esoterico, e che la Blavatskij scrisse ai tempi dell'Iside svelata?

Maggio 1990.

Un'altra notizia. Qualcuno, sempre lui, immagino, ha rubato il Colombo esoterico.

Ora ne ho le prove. Io ho letto quel libro; lo ricordo; un volume dei Fratelli Bocca, della collana "Biblioteca scientifico-spirituale", un'edizione del 1933; ricordo d'averlo sfogliato, d'aver palpato con i polpastrelli la ruvida copertina bianca, prima di tagliare le pagine che nessuno aveva mai tagliato; era giunto da appena un paio di giorni in biblioteca, quel libro; faceva parte di un lascito; io l'ho avuto fra le mani; ora non c'è più; come se mai fosse esistito; ho chiesto in giro ma nessuno lo ricordava; ho guardato a schedario e non era neanche citato; ho fatto controllare l'elenco generale, ma nulla neanche in quel settore; semplicemente non è mai stato...

Evidentemente il Collezionista si è specializzato nei suoi furti. E' riuscito, e non so come, a far sparire anche le prove della sua esistenza.

Ottobre 1990.

Accerchiato.

Mi sento accerchiato.

Il Collezionista, i Colombisti, lo spettro dell'Ammiraglio dell'Oceano, Dio o il Diavolo o chissà chi m'accerchiano in un cupo incubo pregno di minaccia... non riesco ad uscirne... la minaccia non si concreta per un po' di tempo; poi diventa reale; qualcuno gioca con me in modo pesante con la mia vita, nel tentativo di annullarla... e di annullarmi.

Non dirò che non ho paura della morte. Semplicemente sorrido all'idea, perché ne ho fatto oramai pratica e m'appare come un fantastico viaggio in territori senza confine... un altro viaggio, più oscuro ancora di quello di Colombo ma altrettanto magico.

Ma dalla letteratura al piacere della simulazione; fino all'orrore della vera morte intercorre ogni possibile distanza.

E' notte, è l'alba, é buio; fuori piove, c'è vento, la città è vuota e solitaria e poiché ancora non ho ottenuto il trasferimento, appunto all'alba m'accingo ad andare in stazione - entro in garage, tiro fuori la moto - ancora assonnato m'infilo il casco, accendo il motore, esco fuori nella notte, nel silenzio, nel vento.

Sto scivolando giù. Corro nel buio e i fari tagliano la pioggia. Corro nella notte e una curva dopo l'altra s'infilano nella mia rotta le strade, le discese, i percorsi, i nodi, i margini, i semafori. La moto sfreccia rombando ed il suono che m'accompagna risveglia ogni possibile eco nel buio... una curva, un'altra, una terza curva; vedo il camion dell'AMIU che lampeggia in lontananza - lascio andare il gas, freno, scalo una marcia, ed in quell'istante il motore s'arresta! Grippa! - Ho giusto il tempo di tirare la frizione che già la ruota posteriore si blocca, la moto striscia, sbanda, poi riprende la linea e allora tiro i freni e s'arresta...

Zucchero nella benzina. Se non fosse già stato che ero già sul punto di fermarmi... se avessi corso come al solito, sarei decollato.

E chissà per dove.

Non ne posso più. Non ce la faccio più. L'intero universo cospira contro di me e non mi lascia.

Sono salito sul treno, e come tutte le mattine ho raggiunto l'ultimo vagone che, dei tanti, conserva qualche parvenza di comodità.

Siamo partiti. Abbiamo proseguito la nostra corsa. Correvamo, era la corsa vento e metallo, macchina e rotaia, disperazione e solitudine e paura dell'ignoto...

L'ultimo vagone è sempre vuoto.

All'alba il treno odora di chiuso; puzza di fumo, inoltre, di stantio, di nulla; le porte si aprono da sole; i sedili di similpelle sono istoriati da scritte oscene e tagli di rasoio, malamente ricuciti.

La tumultuosa umanità passa per questi scomparti e lascia ampia traccia della sua escrementizia genesi.

Dopo una delle tante stazioni, la quinta, mi stanco di legger della vita di Colombo e m'alzo per fare due passi nel corridoio.

Tutto è vuoto, silenzioso.

Inutilmente l'aria fischia nelle fessure dei vetri appannati; inutilmente lo sguardo corre lungo il paesaggio; tutto è vuoto, proprio come dentro di me... poi sento uno strano rumore che si leva in fondo al vagone; lo seguo; in quell'istante mi rendo conto che quella è una delle tante prove che dovrò affrontare in questo periodo per giungere... dove?.. ma questo pensiero che mi coglie mi sorprende, m'ambascia... mi riempie di sgomento... una prova... mi sconvolge l'idea di subire delle prove, io quieto e pantofolaio topo di biblioteca... delle prove... io... che altro non ho fatto nella mia vita che leggere... ma quali prove... è sconvolgente...

Meno, comunque, dell'individuo che m'assale cercando di buttarmi giù dal treno.

Con il sangue gelato dall'orrore che solo a ripensarci ancora tremo... nel frattempo che la luce si spegne e il treno s'infila in galleria... mi trovo a lottare contro qualcuno che non conosco... ma lui conosce me, e conosce la lotta... vuole comunque la mia pelle... mi stringe il collo... io gli mordo le mani... mi colpisce... non so quanto dura l'aggressione; ma ad un certo punto odo delle voci in lontananza mentre il treno rallenta... la torcia del controllore... prossima stazione...

Stazione terminale.

Quando giungeremo alla fine del viaggio?

 

Dicembre 1990.

Credo di non riuscire più a discriminare la realtà dall'immaginazione. L'equilibrio che così puntigliosamente ho conservato negli ultimi tre anni di questa vita si è decisamente rotto.

Ho paura ad uscir di casa.

E questa non è una ristrutturazione cognitiva di tipo paranoico!... nient'affatto... qualcuno mi dà la caccia... il Collezionista, i Colombisti, chissà... forse è il primo che ha capito che gli sto soffiando i libri che lui va cercando e vuol farmi la pelle... forse sono i secondi che non vogliono che io continui il mio ingloriosamente libro anticolombiano... insomma, ora non è più una minaccia levata nell'aria nebulosa della paura irrazionale; ma la concreta sfida della morte che mi porto addosso.

Ma infine, chiunque sia il mio nemico; poiché ora non ho proprio più nulla da perdere venga finalmente allo scoperto. I libri che riesco a trovare, soffiandoli al Collezionista, e sui quali investo tutti i miei soldi sono sparsi in varie cassette di sicurezza in diverse banche... altre cassette ospitano le copie del mio manoscritto, che comunque porto sempre con me...

E a proposito di questo. Colombo esoterico non esiste nel catalogo dei Fratelli Bocca; nella bibliografia nazionale, anno 1933; in nessun volume di nessun anno della suddetta bibliografia... in realtà non è mai esistito alcun volume scritto né dalla Blavatskij né da chicchessia con quel titolo; e forse l'ossessione dell'Ammiraglio m'induce addirittura a credermi veri i libri che ho solo sognato di leggere, di sfogliare, di possedere...

La vita si districa pezzo a pezzo da questo nodo immaginario, e subitamente s'allega a nodi ancor più aggrovigliati. Così le immaginate note di questa vita che non si celebra ma si subisce proseguono nel loro eterno scorrere... le tenebre sono dappertutto. Io fuggo ancora.

Marzo 1991.

L' ho visto! Finalmente ho visto il Collezionista! L'ho scoperto - per caso - intento a fregarsi un libro! E' mio, oramai! Ora lo marco! E' mio - non fuggirà più...

E' successo così, per caso, come in questa vita balorda tutto avviene per caso. Ero in biblioteca; avevo preso in lettura un volume di Kajetan Altesein, Christoph Columbus, der Charon des Ozeans, che già dal titolo pareva prometter bene... gli ho dato una scorsa... l'ho restituito e fatto portare all'ufficio prestiti... e voilà, nel tempo che il libro compiva venti metri è sparito... come è sparito, domando, neanche cinque minuti prima c'era... tutti lo cercano... si chiedono come sia possibile... un gran casino.... ed in quel mentre scorgo qualcuno uscire dall'ufficio, qualcuno che non ha la divisa dei bibliotecari... un borghese, uno che non fa parte del personale perché io quelli li conosco tutti... esce con aria circospetta... uno strano rigonfiamento in una tasca del trench... si scusa per aver sbagliato porta... si fa strada fra gli utenti del prestito... lo guardo... lo vedo in faccia... s'allontana veloce...

Di colpo capisco che è lui.

Una manciata di secondi e gli sono dietro. Lo pedino lungo i vicoli, in mezzo alla folla; lui s'allontana e di corsa, quasi, e io lo tallono; getto via la giacca, m'infilo gli occhiali, mi calco in testa il basco; esce dai vicoli; io gli sono dietro; lo seguo, fino a casa sua.

So chi è il Collezionista. L'ho scoperto. Ora è mio.

2- continua