Alla memoria di Philip K. Dick

un oscuro discepolo dedica

 

- Che cosa importa se un filo di questa tragedia m'è passato per le mani un momento in forma d'un guinzaglio? A un tratto mi sento di nuovo estraneo, estraneo fino alla paura...

No. Forse la mia storia non inizia con queste parole, coniate da Alessandro Pavolini quando scrisse, tempo addietro, Levriero d’Irun, no; ma Pavolini in questa oscura architettura delle cose ha il suo ruolo, il suo luogo; è sufficiente tornare indietro di un solo anno; è il 1939, e lui, in qualità di Presidente della Confederazione Fascista dei Professionisti e degli Artisti, non ancora divenuto ministro della Cultura popolare e men che mai segretario del Partito Fascista Repubblicano, a Genova introduce il primo volume delle Celebrazioni Liguri, una raccolta di conferenze il cui scopo è quello d'illustrare la gloria degli uomini della Superba:

- Con la Liguria, quell'Olimpo patrio, quel Pantheon di sempreviventi che le Celebrazioni fasciste dei grandi Italiani vengono idealmente disegnando nei cieli del tempo mussoliniano, s'è di assai innalzato verso la compiutezza della sua architettura.

- Dir gloria dei Liguri è infatti dire gloria d'Italia e quindi gloria della universalità umana in alcune tra le loro somme vette individuali. Leggendari Eroi; Scopritori di mondi geografici e di mondi dello spirito.

Benissimo. Adesso, come in un gioco ironico e divertito, proviamo a togliere qualche aggettivo, magari solo un paio, e cerchiamo di rendere il discorso più democratico, magari solo un poco; togliamo fasciste, ad esempio, e poniamo al suo posto colombiane; in luogo di mussoliniano mettiamoci un più neutro moderno. In seguito sfogliamo uno dei tanti volumi su Cristoforo Colombo, uno fra i molti che infestano in modo pernicioso le librerie cittadine e chiediamoci, comparando le parole di Pavolini e dell'estensore di uno dei suddetti volumi: chi è il fascista?

E' quasi il 1992. Come in ogni fatale ricorrenza, c'è un lungo rincorrere ogni possibile aspetto della storia quale essa sia, e non ultimo quello del potere... ma non saprei dire in realtà chi serva questo potere e come, quanto occulto sia e a che dia effettivamente àdito; ma è certo che per il nostro gruppetto che in sordina s'occupa da anni di storia delle esplorazioni, altri se ne sono formati ovunque e sono dieci, e cento e mille che in gran clamore strepitano delle loro grandi scoperte... forse è quello che vanno cercando, loro; forse è il potere - forse una briciola di esso - che follemente inseguono; al contrario, forse il potere è una sorta di boomerang in mano a chi lo ha lanciato...

E' quasi il 1992. Tutti gli operatori culturali sono nel frattempo divenuti esperti colombisti o colombologi, infallibili americanofili o americanisti; diverse carriere, qui, all'ombra della Lanterna sono state decise da chi s'è improvvisato studioso di storia dei viaggi e delle esplorazioni, dell'etnologia amerindia e dell' Europa cinquecentesca; chi studia l'hispanidad, chi le caravelle, chi i galeoni e chi i portolani; Pinzòn, Sepulvèda, Las Casas e Isabelita son quotati quasi quanto i calciatori del Genoa e della Sampdoria; altri ancora partono per Palos, per Zaragoza, per Salamanca, per Madrid e per l'Hispaniola a scoprire nuove americhe, nuove terre, nuovi mondi, nuovi soldi...

E' quasi il 1992 e la mia storia inizia così.

Con Enrico Fermi, a Roma, c'erano i ragazzi di via Panisperna; a Genova ci siamo noi, i ragazzi di via Lomellini, ovvero la via dove ha sede l'istituto di Medievistica... noi che nulla abbiamo a che spartire con tutta la genìa di arrivisti, di ciarlatani, di lestofanti, di arrampicatori sociali, di studiosi falsi e di falsi esperti, quelli che sfornano pubblicazioni e incamerano soldi, e incassano e più incassano più pubblicano e più pubblicano più la loro vita acquisisce titoli migliori; il primo gennaio del 1993 avranno già dimenticato tutto, entrando in stato di animazione sospesa almeno fino al prossimo anniversario, qualunque esso sia, la Liberazione, la Marcia su Roma, la guerra d'Africa, la nascita di Marconi, problemi dei quali, ancora una volta, s'improvviseranno esperti; ma per adesso hanno in mano tutto, soldi, fondi e pubblicazioni e a noi, i ragazzi di via Lomellini, neanche le briciole, e questo non solo perché il nostro capo milita nell'estrema sinistra e tutti noi, chi più chi meno proveniamo dal Movimento; no; la politica c'entra poco o nulla... il problema è che la nostra visione degli eventi non è celebrativa, non è agiografica, non lauda, non onora, non restaura; piuttosto smantella, corrode, dissolve, incendia smaschera, consuma... piacciono poco alla città i ragazzi di via Lomellini...

Per questo ognuno di noi s'arrangia, scrivendo nei ritagli del tempo libero che il lavoro circadiano concede; a parte il nostro capo, che è l'art director della situazione e che questo lavoro lo intraprende a tempo pieno tutti noi ci ritagliamo piccoli spazi nel nostro poco sapere; il capo conosce tutto, taglia, cuce, incolla, coordina, suggerisce, incalza; noi tutti diamo il nostro contributo, in un mondo sempre più volto alla mistificazione, a smascherare il colpevole, comunque...

Poi ci sono le occasioni che giungono inaspettate. Ad esempio quando una piccola casa editrice decise di ripubblicare le Historie di Fernando Colombo, figlio minore ed illegittimo nonché accurato biografo del padre.

Fu allora che iniziai ad occuparmi di Colombo, benché poco m'avesse interessato; m'impegnai a curarne l'edizione; scrissi ancora e per altri versi delle grandi mistificazioni della storia, quelle che ci hanno dato l'eroe bianco protetto da Cristo contro la demoniaca orda nera, i buoni ed i cattivi, la missione civilizzatrice dell'Europa e il retaggio del pensiero occidentale; ignoro quante copie abbia venduto il libro; non m'interessa saperlo; immagino poche perché la mia analisi verteva maggiormente più che sulla celebrazione di Colombo sulla sua demitizzazione; ma il successo ottenuto dalle mie critiche sarà sicuramente pari a quello ottenuto dall'attacco del nostro capo a proposito dell'ultima celebrativa biografia, il silenzio...

E fu allora che iniziò il gioco; perché non scrivere un'analisi comparata delle celebrazioni, ufficiali e no, "fasciste" e "democratiche" a proposito del nostro illustre conterraneo?

La nostra cultura, dal 1945 ad oggi ha espunto tutto ciò che sapeva di destra dall'ambito delle possibili metodologie d'indagine; ma la matrice è sempre quella, più che difformità vi sono similitudini, e tutti i colombisti d'assalto altro non hanno fatto che legittimare l'equivoco nato durante il Fascismo; e forse che noi di via Lomellini non abbiamo in massimo punto la chiarezza?

Sulle prime mi parve un'ottima idea, questa; ora non più, per i motivi che m'accingo a raccontare... ora, mentre scrivo queste righe e stancamente m'accorgo che tutto è andato in malora; prima, quando la stessa casa editrice che m'aveva commissionato il libro di Fernando Colombo si accordò con me per pubblicare questo provocatorio testo.

Cominciai a lavorare. Neppure ricordo quanti lessi, di tutto ciò che era stato stampato sul tema dal 1922 ad oggi; quanti volumi scorsi, e quanti articoli spulciai e quanti saggi ho chiosato in quei giorni in biblioteca e quante bibliografie, una ad una, lette e rilette alla ricerca dell'indicazione che a passi di gigante m'avrebbe fatto procedere nella giusta direzione... una fatica improba, resa ancor più grave dal fatto che io lavoro in una scuola lontana circa un centinaio di chilometri da casa mia, e che per me le giornate iniziano all'alba cosicché anche la semplice frequentazione delle biblioteche diventa un inferno e qualunque semplice atto si complica in modo inarrestabile...

Questo accadeva, comunque, prima. Trascorsi l'estate del 1988 a lavorare, giocando sulle vacanze; ma poi la scuola riprese, io non avevo ottenuto il trasferimento, e allora prima di riprendere il lavoro riordinai il mio materiale per scoprire che avevo messo da parte un'antologia della critica colombiana non certo esaustiva, un poco caotica ma comunque definitoria di quelle che sarebbero state le direttrici fondamentali del mio lavoro a venire.

Così una sera che esco dalla sezione colombiana della biblioteca decido di andare a trovare il mio editore, tanto per scambiar quattro chiacchiere e fargli visionare tutto ciò che ho raccolto in quei lunghi giorni trascorsi chino su polverose annate di riviste; volevo, povero ingenuo, sapere se c'era stata qualche novità, a proposito... all'inferno... anche troppe...

Arrivo nei locali dove ha sede la direzione; l'equipe è al lavoro attorno ai tavoli, al computer, alle stampanti; ognuno è indaffarato a ribattere, a leggere, a tagliare; il direttore è al suo tavolo, sta leggendo un corposo dattiloscritto, e quando giungo presso di lui si caccia in bocca un sorriso; ha l'aria piuttosto imbarazzata, e ciò m'induce a pensare che ci sia qualcosa che non funziona; alle mie domande risponde in modo evasivo; tentenna, cincischia, elide, glissa, sorvola, sorride e poi m'avvisa dell'esistenza di alcuni problemi editoriali... oh Lucifero!, fu quello forse il momento in cui l'universo nel quale viviamo tutti iniziò a frantumarsi; avevo retto per tutto quel tempo l'orrore di una vita di banalità fatta a regola di vita, eletta come tale, nella speranza che giungesse infine il momento del riscatto; nulla da fare; la vita di colpo riprese a non aver più senso, dall'oggi al domani... semplicemente tutta la mia immagine del mondo si smantellò all'istante. E non riemerse.

La tensione è quasi palpabile. La stampante di un computer ticchetta all'impazzata chissà quale scritto ma scandisce il testo con lo stesso battito alle mie tempie, e quegli aghi che s'infiggono inchiostrati sulla carta martellano la mia carne:

- Quali problemi?

E la corsa riprende, allora. Incessante. Riprese, ripartendo con lo stesso incedere zoppicante, simile al lungo e corposo passo che fino ad allora aveva retto la maratona.

La scusa? Dopo il flop delle Historie ufficialmente si temeva che un altro libro su Colombo vendesse troppo poco per poter tamponare la falla; bisognava pubblicare qualcosa che vendesse... cosa?... e questo non vuol significare naturalmente che il libro non esca, beninteso... e quando esce, allora?... solo una questione di tempi; uscirà solo un po' in ritardo... quando?... se tu lo consegni come d'accordo nell'estate del 1990... diciamo... non so bene, ora... non prima del 1994... e perché?... Perché prima non è possibile, ecco tutto...

Ma la realtà era un'altra, e ben chiara alla mia mente; la realtà era che non piaceva, alla ghenga dei colombisti, che qualcuno s'occupasse di quello che giudicano il loro territorio di caccia.

O ancora peggio: non vogliono che l'esecrato Pavolini si scopra fosse solito affermare le stesse cose che solitamente dice l'onorevole Taviani, rappresentante del partito di maggioranza, definito il massimo dei colombisti mondiali; o ancora che la visione del problema amerindio trattato al modo di Critica Fascista di Bottai negli anni Trenta risulti più avanzata di quella dei colombisti... insomma, c'è chi non vuole che il basic italian che ora scopre per la prima volta Colombo s'accorga d'esser stato menato per il naso così tanti anni, accorgendosi infine che il retrivo nazionalismo fascista non differisce poi molto dal trito nazionalismo democristiano... o forse una differenza c'é: i fascisti ci credevano davvero... e morivano, per il loro credo...

E il 1992 si avvicina, comunque. La vita, forse un attimo rallentata dall'improbabile che si manifesta, ha nello svolgersi la stessa possanza di quel locomotore spinto all'alba sui binari luccicosi di pioggia quando il cielo è ancora inchiostro ed io, assonnato ma furibondo, sto ancora chiosando le recensioni ai libri di Colombo dei regimi di ieri e di oggi, chiedendomi, forse un poco stupidamente quale sia il peggiore.

E non ho affatto le idee più chiare.

Primavera 1989.

Ho parlato a lungo di quest'interessante evento con il mio capo, che, dopo essersi fatto un mese di grasse risate ha deciso che pubblicherà il mio testo nella collana delle dispense universitarie, quella che contiene le più svariate quanto strampalate ricerche sui problemi della nomadologia antica e moderna. Mi ha rassicurato a proposito, illustrandomi diversi aneddoti che contrappongono i liberi ricercatori all'editoria e alle pressioni che da parte politica vengono esercitate, laddove certi interessi sono in pericolo.

E interessi ce ne sono, eccome: l'Expò, la metropolitana, le strade, gli hotel... tutto. E va bene. Colombo è un ospite fisso che compare a teatro, nei fumetti, allo stadio, nei francobolli, nelle tv private e in quella statale, al cinema, in radio, nel turismo; ma Colombo è anche un testimonial per l'abbigliamento, uno sponsor nello sport, un logo nei prodotti... miliardi e miliardi vanno e vengono per la città e la regione senza che i genovesi, storicamente parsimoniosi, s'accorgano dei traffici che stanno nascendo alle loro spalle, clandestini e paralleli ai commerci quotidiani.

Cultura, in compenso, nulla.

O no. C'è chi, oltre ai mercanti, ha un concetto puramente materiale dell'affare Colombo; sto parlando di chi imbosca i libri sul tema, e poi si guarda bene dal riporli da dove ha avuto l'ardire di prelevarli.

Mi spiegherò meglio. Ho notato da un paio di mesi a questa parte l'estrema difficoltà di reperire testi colombiani; non solo perché, come dicevo precedentemente, ora Genova sente l'urgenza di accrescere la sua conoscenza su questi antichi eventi e che suddetti libri siano quindi quasi sempre in prestito o in lettura; ma piuttosto perché alcuni proprio non riesco a catturarli...

Comprendo benissimo che gli studenti impegolati in tesi di laurea ed esami colombiani s'indaffarino a passarsi l'un l'altro con moto vorticoso e accorti stratagemmi i Taviani, i Martini i Ferro, i Caraci gli Airaldi i Morison i Pistarino e così via; ma chi può avere interesse non dico a prendere in lettura, ma addirittura a far scomparire dagli scaffali El enigma de Cristòbal Colòn di Llnas de Niubo?

Nessuno, certamente. Eppure questo testo esisteva, e qualcuno l'ha fatto sparire. Chiedo in biblioteca come ciò sia potuto accadere; gli operatori mostrano la mia stessa perplessità; da anni suddetti libri sono in pratica monopolizzati dai colombisti (che però negli ultimi tempi han preso l'abitudine di farne bibbie microfilmate che consultano comodamente a casa propria senza neanche scomodarsi), e da noi che saltuariamente andiamo a leggerli... non ho mai visto nessuno che non facesse parte di una di queste due fazioni impegnarsi a leggerne uno, neanche per scommessa... già non amo che qualcuno si freghi i testi in biblioteca, figuriamoci quelli che sto leggendo io!... e poi il testo di Llnas de Niubo mi serviva... quel giorno avevo fretta e ho lasciato perdere, strappando di stretta misura ad uno sbarbatello neo-colombista uno dei testi di Henry Vignaud; ma poi ho continuato a pensarci sopra... i miei dubbi si sono acutizzati quando una settimana dopo, nell'altra biblioteca cittadina scoprii che era sparito il volume di Carbia La superchieria en la historia del descubrimiento de Amèrica, un libro edito a Buenos Aires nel 1930... tutto ciò suonava maledettamente strano... e misterioso... chi poteva essere il malnato collezionista colombiano che per impinguare la sua collezione faceva man bassa di questi testi?

Non ne avevo la minima idea.

Charles Molly, in De Jure Maritimo e navali fa nascere Colombo in Inghilterra; Luis Ulloa in Cataluña, Adrian Sanchez Serrano in Estremadura come Vasco Nuñez de Balboa e Francisco Pizarro; per Celso Garcìa de La Riega l'Ammiraglio è invece originario della Galizia; ma è nato anche in Corsica, a Calvi, e si chiamava Christophe Colomb; a Digne, e si chiamava invece Jean Colomb; sempre Colomb quand'era nato a Ginevra; Cristhoforo Colon, in Grecia, e figlio naturale di Costantino Paleologo... non manca un Colombo ebreo, ed è quello di Simon Wiesenthal; per quanto riguarda l'Italia, invece, oltre che Genova e Savona anche l'area del Piacentino ribadisce la propria paternità all'illustre navigatore.

Mentre il treno corre nell'alba delle gallerie, non posso far a meno di immaginare quale sia il senso di questa inutile polemica. Se Colombo fosse stato pure un discendente dei Cimbri, come è stato sostenuto più volte da parte danese, i soldi offertigli dalla Spagna per la sua impresa avrebbero avuto una diversa nazionalità?

Eppure sono questi i libri che vendono. Sono i libri delle diatribe inutili, i libri trionfalistici, i libri scandalistici, e più sono assurdi e meno scientifici, più la gente è felice. Il marketing ha le sue esigenze e lo dimostra il fatto che noi di via Lomellini non riusciamo a combinar nulla... un assurdo problema come la genovesità di Colombo ha, con il tempo, assunto ciclopiche proporzioni; e i libri così vendono, eccome!

Colombo... ammiraglio dell'Oceano! Che persecuzione che stai diventando con la tua multiforme, proteica, mutante capacità di scomparire per poi, trasformato in qualcos'altro, incarnarti sotto altre spoglie... riapparire! A quasi cinquecento dalla tua impresa il mondo, che avrebbe di certo problemi più gravi a cui dedicare il proprio tempo disquisisce e disserta sul tuo luogo di nascita - Piacenza o Estremadura? - e fra i tanti, ci sono anch'io che t'odio al punto da non sopportare più quelli che ti roteano attorno come i pianeti e le stelle roteano al centro di chissà quale universo... io che ti amo al punto che tu, genovese quale me, se su questa postuma fortuna ci avessi mai scommesso ti avrei gettato giù dalla traballante tolda di una di quelle caracche che spagnoli, portoghesi e inglesi ti offrirono...

Ma io ti farò la pelle, Cristoforo Colombo!

Giugno 1989. Anche a questa fine d'anno sono riuscito a sopravvivere; ma solo a stento. Ora che è finita la scuola io ho messo da parte altre cinquanta cartelle e finalmente posso indagare con una certa calma... sempreché la paradossale morìa di testi colombiani che epidemiologicamente affligge le biblioteche genovesi s'arresti, e che qualcuno combatta l'emorragia... il malefico collezionista continua a far scomparire i libri e nessuno è in grado di comprendere il perché.

Io invece sono giunto a qualche conclusione... provvisoria.

E' successo, e tutto per caso, una sera.

Confrontavo la bibliografia della Galliano sulle opere contenute nelle biblioteche genovesi, inerenti a Colombo e a tutta l'epopea colombiana, con quella che io in tempi migliori avevo redatto nei giorni trascorsi a leggere e a studiare... controllavo quali testi fossero scomparsi e che senso potesse avere il farli sparire... c'era uno strano filo logico che univa l'una all'altra quelle opere... mi dannavo nella speranza di cavarci qualcosa... l'aria era greve di fumo, la mia casa somigliava ad un bunker, al Nido d'Aquila, al Ridotto della Valtellina... all'ultima spiaggia... e di colpo mi casca l'occhio sul libro di un misterioso Darius Martineur, Etudes critiques sur la magie de Colomb, kabbaliste... un saggio evidentemente senza senso stampato a Lione nel 1935... scomparso… vado avanti a guardare... un'altra mancanza riguarda uno di quei testi che invece il Martini, gloria locale, cita nella sezione "opere contestabili" dell'appendice bibliografica della sua opera su Colombo: contestabile/non contestabile è un criterio invero strano, da unico conoscitore della verità, da sommo sacerdote del potere, d'accordo, e Martini della ghenga dei colombisti é giusto uno di quelli che pensa di conoscere la verità, ma un volume come Colòn toledano di Lòpez Ventura non sembra certo il massimo della ricerca scientifica... e vado ancora avanti... la visione di ¿Fuè Colòn ahorrado o tacaño? di un tal Pablo. E. Tazana sembra superare ogni limite della decenza. L'idea che qualcuno nel 1922 si ponesse il problema di determinare se Colombo fosse stato un semplice risparmiatore o un vero taccagno genovese pare incredibile... ma a quel punto da quell'incontro fortuito mi pongo a rileggere con più calma e attenzione i titoli scomparsi, e scopro, senza possibilità d'equivoco alcuno, che si tratta di testi completamente inutili... pezzi da collezione d'accordo, ma che pezzi!, un insieme di amenità, un'accozzaglia di opere marginali totalmente alla periferia di tutti gli studi storici... testi che pongono mano a leggende e favole per dimostrare in modo inequivocabile le più strane nazionalità colombiane; opuscoli in cui il navigatore è di volta in volta un negromante, un mago, un alchimista; memorie in cui s'analizzano gli aspetti più superficiali del suo carattere, come l'avidità, la taccagneria, il senso di colpa, la presunta omosessualità...

Chiunque stia facendo incetta di libri, raccoglie volumi che sono stati acquistati o donati ma che nessuno, se non il nostro gruppo o quello dei colombisti si è mai sognato di leggere.

Qualcuno che è abbastanza abile da riuscire a trafugare i volumi, abbastanza ricco da aver complici all'interno delle biblioteche,

ovviamente corrotti, ma non al punto tale da organizzare ricerche ad ampio raggio negli studi bibliografici del resto della nazione; un nobile decaduto, un borghese arricchito, un collezionista maniaco, un neo-colombiano, qualcuno che comunque è stato colto dalla moda ora imperante nel jet-set genovese e si è lanciato in questa folle impresa...

Chi diavolo potrà essere?

Per diverso tempo resto a pensarci sopra, ma senza riuscire a disegnare l'identikit di questo strano individuo; lo immagino inafferrabile, come Colombo, un miraggio; può esser chiunque in questa dannata città in preda a questa stupida frenesia cinquecentenaria; ma trovarlo è un'impresa disperata.

Eppure c'è una possibilità. Nei ritagli di tempo che la ricerca mi lascia, decido di inseguirla.

Agosto 1989.

La città è calda, deserta, canicolare.

Le biblioteche sono chiuse. Tutti sono in vacanza e solo io trascorro le mie giornate a leggere, confrontare, battere e ribattere il mio testo che s'intitolerà Falso Ammiraglio dell'Oceano. Interpretazioni di Colombo dal fascismo alla post-democrazia. E' un lavoro che mi consuma, lentamente, che si trascina di giorno in giorno senza termine e fine. Ma che raccoglie tutte le mie speranze di indagatore della storia e delle sue interpretazioni, e tutti i miei desideri di affondare gli affilati bisturi del ricercatore nel ventre del Fascismo e di cavarne fuori un senso... quale senso poi... e perché... proprio questo non me lo so spiegare... o forse nascosta in qualche oscura piega del mio materialismo storico c'è questa nichilistica rovinologia che mi trascino addosso dall'adolescenza, questo territorio di uomini, di fedi, di idee, di lotta per una rivoluzione che non c'è stata nel ventidue e nel quarantatre, nel quarantacinque e nel sessantotto e men che mai nel settantasette, e noi, da una parte e dall'altra, siamo rimasti ancora sulla scena - i protagonisti di sempre - i marginali protagonisti di questo disperato tentativo di cambiare il mondo, tutti nel dimenticatoio, nel tempo che è stato...

Però lasciare nella storia un traccia. Se non come creatore di grandi rivolgimenti almeno come interprete di essi. Forse è questo il senso della ricerca che mi è compagna da non ricordo più quanti anni, e che si trascina fra mille difficoltà, con tutto il tempo imprigionato fra le mie mani, e niente donne, e niente corse in moto, e niente cinema o teatro o concerto, e niente libri che non siano di storia, e niente notti insonni e niente sbronze e niente vacanze... niente... una vita fatta di niente, appunto...

E il tempo, Grande Giustiziere, intanto trascorre...

Siamo in agosto e io leggo una recensione al libro di Charcot apparsa su un numero del 1928 della Rivista aeronautica, poi la confronto con un'altra di trent'anni, di quarant'anni dopo... scopro che nulla è cambiato...

Perché? Perché voglio distruggere Colombo?

1 - continua