"Avanti popolo, alla riscossa…", la voce maschile forzatamente marziale ma impietosamente gracchiante s’infiltrò lungo Via Garibaldi dopo il breve zum-pa-pa-zum introduttivo.

"…Bandiera rossa, bandiera rossa…", sembrò scuotere i fiori di geranio sui balconi di Piazza Caduti per la Patria.

"…Avanti popolo alla riscossa, bandiera rossa trionferà!", finché convinse un bottegaio più curioso degli altri a sporgere il capo oltre l’ingresso, gettando sguardi attoniti su e giù per la via.

"Cazzarola, è proprio "Bandiera rossa", pensò terrorizzato. Richiuse accuratamente la porta nonostante il tepore quasi estivo e si diede attorno a una cipolla senza corda nella speranza che qualcuno intervenisse subito evitando guai molto grossi. Purtroppo l’inconfondibile motivetto proseguiva a sovvertire il silenzio dell’ameno paesello.

"S. Luigi, fate che smetta subito o qui va a finir male."

Quasi il santo avesse ascoltato la preghiera dell’orologiaio, la musica cessò, ma troppo tardi. Qualche camicia nera aveva già provveduto ad avvisare il federale presente in quei giorni in paese, il quale si era precipitato in strada in pantofole, direttamente dalla pennichella, giusto il tempo di calcarsi in testa il fez.

 

"Siete proprio sicuri? Questa è roba da tribunale speciale. Mi sembra impossibile. Non conosco nessuno qui che sia pazzo fino a questo punto."

"E invece l’era proprio "Bandiera rossa", non mi posso sbagliare."

"Allora dobbiamo beccarli subito. Mica possiamo permettere che la notizia arrivi in città. Presto: individuare immediatamente testimoni collaborativi. Scattare!", il federale scandì con secca precisione le ultime sillabe.

Facile a dirsi! La strada, abitualmente viva e rumorosa anche nelle ore più placide, sembrava essere stata svuotata da un flagello improvviso che aveva sterminato gli abitanti dando però loro il tempo di sprangare gli usci a doppia mandata. Le camicie nere prendevano a calci i battenti con i lustri stivali ordinando di aprire. E qualcuno, infine, di fronte a tanta insistenza, si rassegnò a farlo, ma solo per protestare di non aver udito assolutamente nulla per svariati validi motivi: sonno pesante, radio a tutto volume, neonati in preda alla coliche, cani ululanti, ecc… Neanche le minacce di conseguenze spiacevoli valevano a qualcosa. Quanto all’orologiaio, annusato il pericolo, si era precipitato nelle stanze d’abitazione a riparare la suoneria di una grossa sveglia rumorosa. Il federale, indeciso sul da farsi, si rese conto quanto poco marziale fosse starsene in ciabatte nella via, per di più tra camerati meglio forniti, ed era sul punto di sospendere momentaneamente l’inchiesta, quando sentì una voce da un ballatoio.

"Ehi, volete sapere dove si faceva festa?"

I fascisti alzarono gli occhi e scorsero un ragazzino di undici-dodici anni dai calzoni troppo corti e una lunga zazzera ramata.

"Sta’ a vedere che ci toccherà ringraziare proprio lui…", protestò il federale riconoscendo il quinto di una famiglia che sopravviveva senza tessera del PNF.

"Se è vero che sai qualcosa, vieni giù!"

"Però andata e ritorno sono più di cento scale…"

"Maledetto sfacciato… E va bene, ti do due centesimi."

"Facciamo cinque."

"Tre."

"Quattro, oppure scappo e non mi trovate più per una settimana."

Il federale gli mostrò il pugno da sotto, poi si arrese:

"Va bene, quattro."

Il monello scese le scale con aria da trionfatore, raggiunse la squadra, pretese pagamento anticipato, poi disse:

"Era il grammofono del Caffè Moderno."

"Brutto imbroglione, ora ti sistemiamo noi!"

Il fuggitivo, senza smettere di correre, insisteva nella sua versione:

"Invece è così, erano loro. Ho visto coi miei occhi il grammofono sul balcone. Prima di prendervela con me, andate un po’ a controllare!"

"Che si fa adesso?", chiese uno dei fascisti.

Il federale non rispose. I proprietari del Caffè Moderno erano buoni fascisti, di solide fortune, sempre presenti alle adunate: una famiglia di Figli della Lupa, Balilla, Avanguardisti e Giovani Italiane. La faccenda si presentava assai scabrosa: se avessero fatto irruzione nel locale e non avessero trovato niente, avrebbero passato grossi guai, perché sarebbe stato difficile credere che in quella casa si annidasse uno sporco bolscevico. D’improvviso, si ricordò che da qualche giorno alla famiglia si erano uniti uno zio d’America e suo figlio, persone di cui non si conosceva la fede fascista e di cui era più che lecito dubitare, poiché provenivano da una potenza demo-pluto-massonica. Questo facilitò la decisione. La squadra entrò nel locale con piglio minaccioso. Si fece avanti la matriarca cercando di alleggerire la tensione.

"Voglio sapere dov’è il grammofono.", disse seccamente il federale.

"Là in fondo, dove è sempre stato."

Avevano avuto tutto il tempo di rimetterlo a posto.

"E la collezione di dischi?"

La donna mostrò una pila di settantotto giri di "La voce del padrone". Il fascista fece scorrere lentamente mazurke, valzer viennesi, romanze di Caruso, poi chiese:

"E "Bandiera rossa"?"

"Come, "Bandiera rossa"?"

"It’s into the stove.", disse con voce squillante un bambino ben vestito e ravviato.

"Cosa ha detto il bambino?"

Nessuno rispose.

"Ho chiesto cosa ha detto il bambinooo! Ohh, sveglia!! Vieni qui tu!"

"Lascia stare mio figlio." L’Americano si fece avanti con aria di sfida.

"Voglio sapere cos’ha detto."

"Ha detto che il disco è dentro la stufa."

"Controllate, voi!"

Nella stufa spenta era nascosto lo scottante manufatto in gommalacca.

"Siete diventati matti?"

"Senta, mister, che ci crediate o no, noi non sappiamo niente di that song, quella canzone. E’ stato il bambino a portare di nascosto il grammofono sul balcone e mettere il disco. Non so perché l’ha fatto, ma è andata così."

"Dovrai convincere la polizia e ti consiglio di trovare argomenti migliori di questi."

In quel mentre, la sala ristorante si riempì di uomini validi dall’aria poco amichevole, che circondarono le camicie nere impedendo loro di muoversi, mentre l’Americano dava rapide indicazioni alle donne su come apprestare il bagaglio minimo per la fuga. Riuscì a dileguarsi col bambino e a raggiungere rocambolescamente la Francia, dove si imbarcò a Marsiglia per gli States. L’Italia entrò in guerra due anni dopo.

 

Quell’uomo era mio padre, io il bambino che senza volerlo aveva messo a repentaglio la nostra vita. Noi non eravamo affatto comunisti. Prima della nostra partenza per l’Italia un compaesano mi aveva consegnato quel disco - sapeva che i miei nonni erano tra i pochi a possedere un grammofono - raccomandandomi di non dir niente a nessuno e di aspettare il momento buono per farlo ascoltare a tutto il paese, perché, a sentir lui ci saremmo molto divertiti. Seppi poi che neppure quell’incosciente era mai stato comunista. "Ha voluto fare uno scherzo."; diceva mio padre minimizzando. Quando è morto mio padre, sono andato da quel tizio a restituirgli il disco. Sulla testa.