Angelo Marenzana. Piemontese di Alessandria dove nasce nel 1954, ha pubblicato racconti e recensioni su riviste come: Il Giallo Mondadori e M. La rivista del Mistero, e antologie come: Margine in nero, 1997 e Le storie del Novecento, 2000 entrambe per Mobydick, Città violenta, 1999; L’uomo nel cerchio, 2000; La donna nel ritratto, 2001; per le edizioni Addictions.

Nel 1999, per Mobydick, ha dato alle stampe Frontiere, nel 2000 Nebbie d’agosto per le Edizioni Mme Webb, seguiti da Controvento e Occhi di panna entrambe per Excogita, 2002.

Nel 2005 è uscito il romanzo Tre fili di perle (Mobydick).

Nel 2006 è apparso un suo racconto nell’antologia Lontano (Edizioni Oca Blu), è stata pubblicata l’antologia Bel suol d’amore (Edizioni Dell’Orso) che contiene 16 suoi componimenti e, con Gli occhi del soldato, è arrivato finalista al premio Giallo Milanese.

Oltre alle sopracitate antologie, ha partecipato a: Sospeso (Ed. L’Entronauta), Penombra (Ed. Casarosa), Luoghi non comuni (Ed. Comedit), Sonno inquieto (Ed. Casarosa).

Il suo romanzo Al momento giusto è stato pubblicato su Thriller Magazine, rivista telematica con la quale collabora.

Altre sue pubblicazioni sono apparse sui siti internet Orient Express e I pinguini nel sottoscala.

Ospite cortese e affabile conversatore l’autore mi ha concesso il privilegio di rispondere ad alcune domande.

Quindi lascio a lui la parola

 

Ti puoi presentere? In due parole chi è Angelo Marenzana?

Se parliamo di me come scrittore direi che sono uno con la voglia di raccontare delle storie e cerco di farlo nel modo più lineare possibile, senza vezzi o ricerche stilistiche particolari.

Un po’ come fa un viaggiatore che al ritorno dal suo viaggio si lascia cullare dalla memoria delle cose fatte e vissute e ha voglia di comunicarle agli altri magari per raccontarle a se stesso, quasi a gustarle ancora e a fissarle, per il timore che le emozioni provate e le cose viste possano sfuggire.

Come molti che, al giorno d’oggi, si occupano di narrativa la scrittura non rappresenta la tua occupazione principale.

Riferendoti alla tua esperienza personale puoi raccontare come riesci a conciliare quest’hobby con il tuo lavoro?

Paradossalmente è stato proprio la mia occupazione, inizialmente, a venirmi incontro.

Lunghi turni di lavoro in frontiera (sono funzionario dell’Agenzia delle Dogane e proprio al confine ho lavorato per vent’anni) mi permettevano di avere anche intere giornate libere per poter scrivere.

E pure di osservare i fatti che succedevano magari con un occhio diverso.

Proprio facendo riferimento a momenti di esperienza lavorativa ho trovato soggetti per molti racconti, alcuni dei quali hanno dato vita a Frontiere (Mobydick) e altri a Bel suol d’amore (Edizioni dell’Orso).

Questo il lato buono della medaglia.

Certo che quando si è posto il problema di tentare il salto da rapporto più o meno hobbistico a quello più professionale grazie a un impegno più continuativo, il fatto di non potermi gestire liberamente il mio tempo qualche problema me lo procura.

La maggior parte dei tuo racconti e romanzi brevi a sfondo storico è ambientata in epoca fascista o in periodi di poco sucessivi.

C’è un motivo particolare?

Credo che dipenda dal fascino di questi anni che sono ancora molto vicini a noi e rappresentano la radice della nostra attuale società, ma allo stesso tempo con una logica di vita quotidiana tanto diversa.

Qual’è il personaggio dei tuoi racconti a cui sei più affezionato? Perchè?

Credo il commissario Liborio Fiumanò, protagonista di Tre Fili di Perle.

Quello che mi ha fatto fare più fatica.

E’ un personaggio completamente agli antipodi del mio pensare, della mia logica culturale e politica.

Lui è un ex funzionario dell’Ovra, la polizia segreta fascista (e quindi si può immaginare il tipo…), coerente con i principi del Duce anche dopo la caduta del regime.

Prosegue nella sua indagine in Tre fili di perle usando modi e determinazione coerenti con il suo modo di essere.

Fiumanò si distingue perché evita di fare il salto del fosso come la maggior parte dei funzionari suoi pari grado.

Per me è stato un buon esercizio di scrittura e al tempo stesso di interpretazione.

Mi sono mosso un po’ come un attore che recita una parte e si immedesima in emozioni e sensazioni (più che in idee) seppur vissute da un personaggio tanto diverso.

 

Quanto di te c’è nei tuoi personaggi? Quanto di storico? Quanto d'inventato? A quali fonti ti documenti per scrivere i tuoi racconti?

Nelle storie che scrivo c’è immaginazione e fantasia nella costruzione degli avvenimenti.

Poi c’è la mia memoria nella costruzione degli ambienti e del profilo psicologico dei personaggi.

I fatti della storia (date, eventi…) mi sono più o meno noti.

Ma per memoria intendo le cosiddette informazioni orali, quelle che non trovi in nessun libro, ma solo nelle chiacchiere ascoltate mentre mio padre e i suoi amici si incontravano, nelle storie che loro stessi mi raccontavano, in vicende vissute da partigiani, aneddoti dei vicini di casa, personaggi di quartiere, chiacchiere da cortile e da balcone con ringhiera negli anni della mia infanzia, a cavallo tra il ‘50 e il ‘60.

Così sono nati per esempio, racconti come Nebbie d’agosto, L’altra metà di Anita o La banda del comandante Loris, tutte storie a metà tra l’avvenimento reale e la reinterpretazione personale.

Oltre ai libri che sicuramente usi per documentarti quali altre letture fai?

Purtroppo leggo meno di quanto vorrei.

Molti italiani.

Massimo Carlotto sopra a tutto.

Sandrone Dazieri, Claudia Salvatori.

Ho scoperto recentemente Gianrico Carofiglio ed è stata una bella scoperta soprattutto per la sua leggerezza di stile e di immediatezza nel coinvolgerti nella storia, e nella città di Bari che fa da sottofondo.

Amo molto le ambientazioni.

Ho gradito la lettura di Metal Detector di Stefano Pigozzi, credo un primo passo di un cambio di direzione della più classica delle classiche collane gialle del nostro tempo, ovvero i Gialli Mondadori.

Poi ci sono americani come Robert Crais, Michael Connelly, Jeffrey Deaver.

Anche se in cima alla lista metterei classici come lo Straniero di Camus, o Sostiene Pereira di Tabucchi, forse i due romanzi che mi hanno spinto a considerare un’idea di scrittura noir capace di diventare grande letteratura.

Senza cliché, senza stereotipi, senza la prepotenza dell’immagine.

 

Secondo te per quale motivo le ambientazioni gialle e misteriose in questo periodo sono tornate così in auge da colonizzare in massa oltre ai romanzi anche altri media come la televisione?

E’ vero, come ormai si dice e si ripete in ogni occasione, che la scrittura di genere, e il noir in modo particolare, rispecchia una certa esistenza.

L’omicidio è diventato qualcosa di quotidiano.

Basti pensare ai più recenti ed eclatanti fatti di cronaca nera (ricordiamo la strage di Erba, quella di Erika e Omar, quella di Tommy, il bimbo di Parma…).

Poi ci sono i tanti fidanzati o mariti (di tutte le età) lasciati dalle compagne che si fanno giustizia da soli, mamme che si liberano dei figli, e viceversa (spesso usando metodi che nessun scrittore riuscirebbe a immaginarsi) ecc…

Sono crimini consumati da individui autorizzati a portare l’arma che di solito usano, e che stanno prendendo il posto degli omicidi di malavita o di terrorismo.

Questo fatto coinvolge tutti, rende protagonista la gente normale.

Non bisogna essere professionisti.

Anche se tutti, alla fine, e a differenza dei professionisti, cadono nelle maglie della giustizia.

E forse il lettore vuole capire, magari identificarsi…. Chissà!

Poi c’è anche l’aspetto un po’ meno dichiarato ed è quello che il noir aiuta a capire meglio certi meccanismi del troppo mistero che avvolge la nostra società di tutto il secolo scorso, ed emersi in modo più crudo dal dopoguerra in poi (stragismo, terrorismo, rapporti tra politica e malavita, malaffare tra alta finanza, traffico d’armi… non ultimo l’esito dei processi sulla strage di Piazza Fontana a Milano, e di Ustica che non vedono colpevoli riconosciuti).

Tutto ciò bisogna dire che ha reso l’Italia un paese un po’ anomalo in tutta l’Europa.

Ma è vero anche che non si svela nulla.

Ci si specchia e basta.

Da persona che ha una certa confidenza con la storia perchè pensi, sempre che per te sia così, che questa materia di per se non riscuota molto interesse da parte del grande pubblico?

Forse per il motivo che emergeva prima: nella nostra realtà c’è più possibilità di identificarsi nel “male”, come se fosse più vero, più a portata di mano, magari più semplice da consumare.

 

Che consigli daresti a chi si volesse affacciare al mondo della scrittura?

In realtà vorrei riuscire ad avere qualche buon consiglio per me.

Nonostante un po’ di anni di esperienza sulle spalle non ho ancora ben capito quale sia il percorso migliore da seguire.

Potrei dire: scrivere innanzitutto per se stessi, senza scimmiottare altri, e allo stesso tempo con l’umiltà di saper modificare là dove l’essere troppo se stessi rischia di diventare qualcosa di narcisistico.

Coscienza ed equilibrio.

Ma questo vale per ogni passo che si fa nella vita.

Forse bisogna ascoltare anche molto, oltre che leggere.

Ascoltare scrittori con maggior esperienza, partecipare alle presentazioni e magari a qualche corso di scrittura.

Aiuta a vedere un romanzo dietro le quinte, e in parte se stessi davanti al computer.

Un modo per sentirsi meno soli, e tante volte pure strani.