Diretto dal non sempre brillante Tony Scott, che molti ricorderanno per opere non certo di grande levatura come Beverly Hills Cop o The Fan, ma anche per l'intrigante horror Miriam si sveglia a mezzanotte,  Man on Fire narra la storia di un disincantato killer professionista, John Crasey (Denzel Washington) alle prese con la propria sfiducia nel genere umano e un alcolismo difficile da combattere. Trovatosi senza lavoro dopo aver ucciso parecchie persone in tutto il mondo, soprattutto in Sud America, Crasey accetta il consiglio del suo amico di vecchia data Ray Ban (Christopher Walken) di fare la guardia del corpo della piccola Lupita Moraes (Dakota Fanning), figlia di un facoltoso uomo d’affari di Città del Messico, Sal Moraes (Marc Anthony), manovrato da un losco e scaltro avvocato (Mickey Rourke). Crasey, inizialmente riluttante, instaura una solida amicizia con la bambina, che riesce ad arrivargli dritto nel cuore proprio quando tutto sembrava perduto. Ma Città del Messico è un luogo in cui vengono rapiti quasi 50 bambini al giorno, e Lupita non farà eccezione: schiacciato dal senso di sconfitta per il rapimento della piccola, Crasey metterà in atto pezzo per pezzo la sua cruda vendetta ai danni di chiunque abbia avuto a che fare con il rapimento, e sarà una strage per tutti.

      La storia in sé, si dirà, non è poi così nuova, e la sceneggiatura di Brian Helgeland, già autore dello script del sopravvalutato Mystic River di Clint Eastwood, calca la mano su una serie di cliché (l’orso “redento” dalla bambina; lo sparo mancato del proiettile come rivelazione divina; un certo sottofondo mistico–cristiano che sembra ancora più appropriato in un paese “primitivo” come il Messico) che non giovano alla storia, soprattutto nel finale (forse imposto dalla produzione) che ribalta completamente l’assunto pessimista dell’eroe e della vicenda in generale.

Ciò che il film ha di buono, piuttosto, è da rintracciare da un lato nella regia, che segue il dramma esistenziale del protagonista infondendogli un po’ di spessore attraverso una recitazione calibrata dell’attore, e dall’altro il montaggio indiavolato delle sequenze, con riprese nervose e “psichedeliche” che stanno ad evidenziare la rabbia infuocata del protagonista ma anche la folle logica di violenza che soggiace al mondo corrotto della giustizia e della malavita messicane, ciascuna rovescio speculare dell'altra. L’inserimento di scritte bilingui – inglese e spagnolo – all’interno dei piani sequenza e durante alcuni dialoghi o scene chiave del film, rendono quest’ultimo se non proprio originale spia di una certa voglia da parte di Scott di cercare una strada diversa dal solito film a inseguimenti e sparatorie a cui troppo cinema americano scadente ci ha abituato. Ma soprattutto, come si legge nei ringraziamenti dei titoli di coda, Man on Fire è un film su Città del Messico, luogo di fuoco e disperazione molto più cruento ma forse anche più fascinoso del film stesso che ad esso si è ispirato e da esso è abitato.

Extra

Inside look

Commento audio del regista Tony Scott

15 scene eliminate con commento opzionale del regista

Documentario "La mia vendetta" - Scoprendo Man of Fire

Il rapimento di Pita: storyboard del regista ed analisi multiangolo

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