La paura è rossa o nera? È fatta di rosso sangue che schizza, corpi smembrati e budella sparpagliate, o del nero della notte che tutto avvolge e confonde, rendendo la realtà buia, impenetrabile e ingovernabile? È assordante o silenziosa? Ha bisogno del suono agghiacciante delle seghe elettriche, o preferisce il silenzio, i sussurri appena percettibili che solleticano i sensi strappando irrefrenabili brividi?

Domande forse oziose ma sempre di qualche interesse, per chi con la paura ama giocare e trastullarsi, sperando in tal modo di esorcizzare gli orrori veri, quelli che la carta e la celluloide non bastano a contenere. L’occasione è data dalla quarta edizione del Nightmare Film Fest, che si è appena conclusa a Ravenna, dopo una settimana di proiezioni perfettamente rispondenti alla promessa contenuta nel sottotitolo della rassegna: The Dark Side of Cinema.

Un piccolo festival decisamente in crescita, che quest’anno ha dato il meglio di sé proponendo in concorso una selezione di lungometraggi di tutto rispetto, ma anche offrendo al pubblico la possibilità di assaggiare in anteprima succulenti bocconi di “cinema di paura” e riscoprire vere e proprie chicche del passato nella sezione “Bloody Vintage”, dedicata al cinema horror degli anni ’70 e forte di titoli leggendari come Apocalypse Domani di Antonio Margheriti e Suor Omicidi di Giulio Berruti (finalmente di nuovo visibile dopo trent’anni di ferrea censura!)

Sugli schermi del Nightmare Film Fest sono passati film come lo scozzese Wild Country, che parte come un realistico dramma sociale e si trasforma in un incubo di lupi mannari, o come Headspace, sorprendente esordio di un giovane filmaker americano, Andrew Van Den Houten, che mette in scena un’intrigante storia di famiglie devastate dalla follia e fratelli condannati a rimanere separati per evitare che le forze del male si scatenino, fra drammatiche partite a scacchi, allucinanti incubi e macabre apparizioni. Fino a un finale sospeso che non scioglie l’enigma ma rilancia invece la tensione. Altrettanto macabro ed enigmatico il plot di The Woods, firmato da Lucky McKee, storia classicissima (e sicuramente memore della lezione dell’argentiano Suspiria) di un collegio femminile abitato da streghe e circondato da boschi inquietanti e famelici, in paziente attesa delle giovani vittime offerte in sacrificio. Con il redivivo Bruce Campbell e la sempre ineffabile Patricia Clarkson. E c’è spazio anche per lo splatter duro e puro rappresentato da film come l’americano The Roost di Ti West, omaggio ad alto tasso di emoglobina e ironia ai b-movie e alle vecchie trasmissioni tv del terrore, e il kolossal europeo Minotaur, diretto dall’inglese Jonathan English.

Con questi titoli siamo decisamente dalle parti dell’horror puro, fatto di sangue e soprannaturali tormenti, ma fra le pellicole presentate c’è spazio anche per altre (e non certo meno efficaci) declinazioni della paura. È il caso del francese Ils, che certamente appartiene più al genere thriller che all’horror e ha vinto l’Anello d’oro per il miglior lungometraggio. E giustamente, poiché si tratta di uno dei film più terrorizzanti degli ultimi anni, capace di stringere lo spettatore in una morsa di terrore senza spargere neppure una goccia di sangue e con una mirabile economia di mezzi. Un film che in Francia è già diventato un caso ed è stato definito il nuovo Blair Witch Project. Già acquistato per la distribuzione italiana, lo vedremo quindi nelle sale, anche se con ogni probabilità non prima della prossima estate. Altrettanto terrorizzante e malsano Calvaire, firmato dal belga Fabrice du Welz, un altro film che sfugge alla facile etichette mescolando atmosfere in stile “tranquillo weekend di paura” con divagazioni surreali e pure esplosioni di claustrofobico orrore. Una doverosa citazione infine per

Forbidden Chapter, pellicola decisamente al di fuori dei generi, firmata dall’iraniano Fariborz Kamkari ma prodotta dall’italiana Fabrizia Falzetti.

Un film di impianto realistico, che si ispira a fatti veri per raccontare le terribili gesta di un serial killer di prostitute nell’Iran dei giorni nostri. Un lavoro tutt’altro che risolto da un punto di vista squisitamente filmico, ma parecchio interessante per l’agghiacciante affresco di una società prigioniera del fondamentalismo religioso e delle sue ossessioni sessuofobe, fino alle più estreme e sanguinose conseguenze. Perché a volte la realtà supera la fantasia e soprattutto produce incubi che non finiscono quando si accendono le luci in sala… Ma questa è un’altra storia.