Cominciamo da una delle mie ultime pubblicazioni Resurrectum (Flaccovio, 2006) e da qui partiamo per parlare delle mie paure, le paure che minano la vita di uno scrittore dell'inquietudine...

 

Esistono due tipi di scrittori del brivido: quelli che sono pieni di fobie e che si sentono schiacciati da esse e quelli che invece si divertono a provare paura, che ne subiscono in qualche modo la fascinazione. Io faccio decisamente parte di quest'ultima categoria. Quando mi viene fatta la domanda classica: Nerozzi di cosa ha paura? Io rispondo con un gioco di parole: ho paura di non avere più paura. Credo che questo sentimento sia il motore che ci spinge più di ogni altro verso il cambiamento e verso la crescita. Quando abbiamo paura siamo tutti lì: presenti a noi stessi, più veri e più genuini e senza fronzoli di maniera. Quando ci pervade il terrore, il nostro corpo e la nostra mente diventano più reattivi, più sensibili, più forti.

E' un poco come se i nervi si scoprissero. E' una sensazione antica che ci prende per mano (e la stringe molto forte): in natura serve per sfuggire a un predatore che ci sta per divorare, o per combattere comunque una minaccia. L'adrenalina scorre a fiumi e noi reagiamo. Poi c'è chi invece si paralizza, ma questo è un altro discorso. Se ci pensiamo la paura è il sentimento che sta alla base di tutti gli altri sentimenti. Forse è la madre di tutti i sentimenti. Persino l'amore, lo ribadisco spesso, è una forma di paura. Io quindi esorcizzo la mia paura facendomela amica, trattandola come un'amante pericolosa ma eccitante. E così scrivo di lei: ci faccio poesie sopra, la celebro e la faccio oggetto di una sorta di tenebrosa venerazione e così lei mi rende migliore… O peggiore. In tutti i casi mi trasforma in qualcosa che a volte coincide con la catarsi, proiettato verso la possibilità di una sorta di redenzione. Indagare sulla paura, serve per capire di che pasta siamo fatti dentro.

 

Sono un grande golosastro. Fondamentalmente mi piace quasi tutto. Ma raramente cucino io. Manca il tempo. A volte è capitato, mi è venuto una sorta di trip culinario e mi sono cimentato nella creazione di qualche piatto consigliato da amici scrittori che invece sono bravissimi cuochi, come Giampiero Rigosi e Carlo Lucarelli. I simposi che facciamo abitualmente a casa di Carlo assieme agli altri fratellini e sorelline di penna, sono spesso, anzi direi sempre, incentrati sulla gozzoviglia. Mangiare in compagnia, abbuffarsi e degustare piatti con gli amici, ti rende parte di un insieme e ti fa stare bene.

E non solo perché ti riempie di cose buone. Poi ho una mamma molto brava a cucinare e ci sono tradizioni che si tramandano, piatti succulenti che in qualche modo ci connotano e ci rendono parte di una cultura che fa parte di noi. Sono bolognese e nella nostra razza il rapporto con il cibo è sempre molto viscerale, quasi una dottrina, per non dire una liturgia. Di piatti preferiti ne ho tanti. Difficile fare una graduatoria. Perché poi ci sono momenti che cambiano e a volte ti piace molto una cosa o l'altra. Vediamo un poco… Come primo piatto, potrei mettere i tortelloni in cima alla graduatoria, seguiti dalle tagliatelle al prosciutto e gli spaghetti alla carbonara (retaggio di vecchi ricordi militari a San Giorgio a Cremano). Poi adoro le frittate, prima fra tutte quella di patate. Anche la salsiccia arrosto con il pane abbrustolito assieme: gnam gnam. Adoro la pizza in ogni sua forma. E poi i dolci: uuuuh. Quando ero piccolo facevo un sogno perverso: trovarmi dentro una pasticceria di notte, da solo, e poter mangiare tutto quello che volevo, senza ritegno. Poi c'è la torta che mi fa mamma a ogni compleanno, sempre quella come una ricorrenza….. che è talmente buona e piena di trigliceridi da indurti una sorta di stato di grazia: proprio come una poesia.

Mi piace molto curare il mio corpo, soprattutto dal punto di vista… fisico/mentale. E' uno dei concetti che sta alla base dell'arte marziale: fare in modo che sia tutto in equilibrio: il dentro e il fuori.

Mi alleno quasi quotidianamente: fondamentali di karate, esercizi di strechting e di yoga. Pratico anche un poco di pesistica, ma sempre finalizzata alla pratica marziale. Poi c'è la cura del look, la scelta dei vestiti, lo stile che in qualche modo ti deve connotare. Tutto fa parte di un modo di essere, anche per come ti porgi dal punto di vista visivo nei confronti degli altri. Quindi amo vestire bene, trovare i gadget giusti per me: dall'occhiale (rigorosamente Ry Ban), all'orologio (che siccome ne porto due con orari diversi, fanno parte un poco delle mie fissazioni di layout, come si dice in gergo). Il colore che prediligo è il nero: nomen omen. Poi adoro vestirmi di pelle. Giubbotti sportivi, pastrani stile Matrix; pantaloni, jeans: Levis' 501. Le calzature che preferisco: stivali di vario genere: texani, da motociclista, anfibi, poi scarpe da tennis rigorosamente Adidas. Al bagno, preferisco la doccia. Prima bollente e poi gelata, per far scorrere bene il sangue nelle vene. Fondamentale il rito della testa rasata: che a volte eseguo senza nemmeno usare la schiuma, ma con il rasoio a manico, a secco. Poi dopo mi cospargo il cranio di dopobarba e gemo per il dolore come solo gli uomini duri sanno fare. Ma che delirio…

Amo visceralmente la mia città. La sento molto mia. E adoro viverla per quanto e quando posso. Mi piace andarla a scoprire, esplorarla e non solo per le ambientazioni dei miei romanzi. Poi ci sono i dintorni, la campagna e la collina (dove abito); luoghi pieni di verde e di belle atmosfere. Abito in una antica stalla del '600 ristrutturata con muri di sasso e travoni giganteschi al soffitto. Qua da noi si sente ancora molto la tradizione antica, quella contadina ma non solo. Le usanze e i dialetti, tutte cose che fanno parte di noi e che usiamo come modi di essere. Non amo particolarmente viaggiare tanto per farlo.

Sono un esploratore per natura e se potessi, se avessi il tempo, i soldi, viaggerei solo per affrontare nuove esperienze. Per vivere avventure. Anche estreme. La montagna mi piace abbastanza, ma solo quella invernale: quella delle sciate, dei caminetti nei rifugi. Delle tormente di neve. Del freddo che ti pulisce il cuore. Il mare però resta il mio preferito. Sono un buon nuotatore (in passato sono stato istruttore di nuoto e di pallanuoto e anche bagnino di salvataggio) e adoro esplorare i fondali. Fra i miei sogni segreti (e prima o poi riuscirò a farlo!), c'è quello di vivere l'esperienza di scendere dentro una gabbia in un mare infestato di squali bianchi affamatissimi. Adoro le bestie pericolose, mi affascinano tantissimo: perché fanno… paura. 

Non ho particolari ritualità per la scrittura. Però la mia giornata, ogni momento della mia vita è vissuto come una fonte d'ispirazione per quello che devo scrivere. Giro sempre con un minibook per prendere appunti e anche con un registratore da intervista per sfruttare i momenti in cui guido per cristallizzare le idee che mi vengono.  E di solito ne ho tante. Il lavoro vero e proprio lo svolgo con il PC. E voglio molto bene al mio Macintosch, anche quando si rompe. Il rapporto con la scrittura è lo stesso che potrei avere con una donna che mi fa impazzire: grande febbre e grande passione. Le idee e le visioni si impadroniscono di me e io mi impadronisco di loro, e alla fine ne viene fuori un prodotto di risulta che pulsa di battiti e sospiri, già, proprio come in un amplesso.  Quando ho la giornata libera da impegni, tutta per me, per lavorare, procedo con una tabella di questo genere: sveglia alle otto, tuta da ginnastica e corsa nel bosco. Fine allenamento eseguendo un kata di karate in cima alla collina di ciliegi, rientro a casa tutto sudato.

Doccia, gelata e poi fredda. Colazione. Tazzona di caffè bollente e amaro e poi entro in "cicciolata", come diceva Guareschi (che si rifugiava in solaio per scrivere e non c'era più per nessuno e per mangiare faceva scendere un cestino che sua moglie riempiva di vettovaglie - nel suo caso dose abbondanti di ciccioli… e da qui la definizione). Così resto davanti al computer fino a quando resisto. Anche per otto/dieci ore di seguito. Ed è proprio come entrare in un'altra dimensione, quella della storia che sto creando, come se fossi in trance. Faticoso, sì, ma anche così straordinariamente eccitante, per non dire magico.

Non ho mai provato il terrore della pagina bianca. Quasi mai. Le mie pagine si riempiono sempre, anche troppo a volte. Sento solo un poco di senso di fastidio quando sono in quella fase iniziale dove il magma ribolle e io devo capire di cosa si tratta. Quando la storia vera e propria deve prendere corpo, assieme ai personaggi. Per scrivere come lo intendo io, occorre entrare dentro altri corpi, dentro a sentimenti che sono un poco i tuoi ma che sono anche molto diversi. Diventare altro costa fatica e sofferenza interiore. Ma è così elettrizzante. 

Con la consegna dei lavori di solito attendo di essere molto in ritardo.

E solo allora riesco a farmi crescere la febbre al punto da farmi uscire tutto quello che serve. Io faccio sempre domani quello che potrei fare oggi. Un modo molto scomodo di lavorare, perché così sei sempre teso, sul filo del rasoio; ma in fondo è lì che mi piace stare: dove taglia di più. Non mi organizzo spazi. La mia giornata, come ho già detto, è un enorme spazio privo di confini per praticare il mestiere di scrittore. 

Mentre lavoro, ascolto sempre musica scelta apposta. Una sorta di colonna sonora della storia che sto creando, per entrare nell'atmosfera e nel ritmo che sento giusti. Non lo so se è un tic o un rituale, ma senz'altro un'esigenza che proviene dal mio passato da musicista. In quanto alle scaramanzie: quando finisco un lavoro, prima di spedirlo alla casa editrice, faccio circolare il pollice della mano sinistra sul tamburo di una piccola statua in legno di budda, ho sentito dire che porta fortuna e fino a ora pare abbia funzionato bene. Per l'ultimo lavoro che ho mandato me ne sono dimenticato. Così potrò fare la riprova: se stavolta andrà male, allora vorrà dire che è vero: che funziona. E in futuro non dovrò scordarmelo.

Nei rapporti con le altre persone, direi che sono molto comunicativo. C'è chi dice che sono simpatico. In realtà dipende dall'umore. Se sono arrabbiato qualcuno dice che incuto timore. In tutti i casi, nel bene e nel male, sono sempre intensamente entusiasta. O forse sarebbe meglio dire: appassionato e… spero, anche appassionante.

Ricordare qualcuno che mi è caro? Naturalmente mio figlio Samuele. Lo ringrazio sempre. Lui è anche un buon amico e un buon consigliere. Quando lavoro a una storia, gliene parlo sempre, perché lui riesce a trovare subito le falle nella trama, se ce ne sono. Poi se volete faccio anche ciao alla mamma, perché non bisogna mai dimenticare i classici. E dire grazie alle persone, amici e amiche che si prodigano a dare consigli tutte le volte che lo chiedo. Un ringraziamento particolare lo rivolgo sempre a quella che definisco la copia della mia mano sinistra, che non è altro che la mia metà oscura, quella parte di me che produce la pulsione creativa.

No, purtroppo non ho conosciuto i miei nonni, loro se ne sono andati quando io ero ancora piccolissimo.

Il passato rappresenta la nostalgia, la tradizione. In fondo noi scrittori siamo sempre cantori di un qualcosa che è già stato, anche quando scriviamo fantascienza. E' la nostra esperienza personale unita a quella che ci è stata tramandata che ci permette di tessere le trame delle storie.

Io ho perso mio padre quando avevo appena cinque anni. Quindi ho conosciuto di persona la Nera Signora molto presto. In qualche modo l'ho guardata in faccia e ho sentito la sua fredda carezza. Non ho particolarmente paura di morire. Ma temo, ovviamente di perdere le persone che mi sono care, come tutti. 

Dormo poche ore per notte. Non perché soffro di insonnia. Ma solo perché ho sempre troppe cose da fare, troppi lavori da finire e io amo vivere sempre allo stremo delle forze. Solo così riesco a tirarmi fuori completamente. Non ho incubi. E quando sogno cose paurose mi ci diverto, come se fossero film horror. Poi mi sveglio. E faccio la mia corsa, consumo la mia colazione, mi inietto in vena la dose di caffè e poi comincio a fare lo scrittore.

Vivere solo di scrittura qua in Italia, direi che è praticamente impossibile. Come tutti gli altri miei colleghi devo fare un sacco di altre cose per campare: insegnare a corsi di scrittura creativa, organizzare spettacoli, tenere conferenze, scrivere sceneggiature… Io poi, nei ritagli di tempo, faccio ancora l'impiegato postale.

Sono arrivato a scrivere facendo un percorso artistico molto variegato. Ho dipinto, fatto sculture. Sono stato batterista in un gruppo rock per quindici anni e ho composto canzoni e musiche. Poi, quasi come se fosse una sorta di trance magica, un bel giorno mi sono ritrovato davanti a una vecchia Olivetti a scrivere un romanzo horror. Da lì tutto è cominciato. E non ho più smesso. Ho partecipato a un Premio letterario: il Tolkien, e il presidente della giuria, Gianfanco De Turris, volle incontrarmi per dirmi che avevo talento e consigliarmi su come e cosa dovevo fare per migliorarmi. Ecco a lui debbo sicuramente molto. Ma anche a Graziano Braschi che mi ha molto aiutato agli esordi.

Poi Carlo Lucarelli che mi ha introdotto nel gruppo 13, assieme agli altri fratellini di penna: Rigosi, Cotti, Baldini, Fois e altri… Devo anche ringraziare quelli che si sono dovuti sorbire le storie delle mie prime volte: mia moglie Simonetta, mio suocero Sergio. Mia madre. Mio cugino Gionata: tutti assoldati come giudicanti consiglieri. Li costringevo a fare una scheda del romanzo per capire cosa non andava.

I ricordi belli cominciano a essere molti dopo dieci anni e passa di carriera. Ricordo l'emozione della prima volta, quando ho visto il mio primo romanzo in vendita: provai una stretta calda alla bocca dello stomaco mentre il cuore faceva tump tump.

Rimpianti? nemmeno uno.

 

Chi farei sparire? No, non farei sparire niente e nessuno. Tutto serve, nel bene e nel male. La vita è un gioco di contrasti. E poi non mi ritengo certo all'altezza di giudicare cosa e chi andrebbe eliminato. Banalmente potrei dire: vorrei che non ci fossero le cose brutte, le sofferenze dei più deboli. Ma sarebbe appunto: banale. Se poi vogliamo andare sull'uccidere qualcuno... no, se qualcuno mi fa arrabbiare preferisco picchiarlo a sangue! Se no che cosa sono diventato cintura nera di karate per cosa?

 

Mi piacerebbe essere invisibile, sì, ma nello stesso tempo non vorrei mai. Perché sarebbe una tentazione troppo forte usare l'invisibilità in un modo non giusto.

Ci potrebbe essere il rischio di precipitare dentro una parte voyeuristica che forse tutti abbiamo, soprattutto noi scrittori, che siamo animali che vogliono sempre vedere e capire per poi riportare. Le intimità degli altri sono sacre e dovrebbero essere rispettate. Diventare invisibili potrebbe portarci a rompere confini di moralità che invece debbono restare intatti. Perché sarebbe troppo grande la tentazione di spiare qualcuno per vedere cosa fa, come si comporta. Com'è veramente. Ma questo comporterebbe un rovescio della madaglia deleterio. Certe cose è meglio non scoprirle mai, non venirle a sapere. E' un po' come la possibilità di leggere la mente degli altri: verrebbero fuori senz'altro cose spiacevoli. I segreti di quello che siamo debbono restare inviolabili. Molto meglio immaginare. Dedurre. Restare sulla sfera dell'incertezza. Alla fine è più stimolante. Del resto che scriviamo libri a fare?

I miei passatempi preferiti? Come mi piace rilassarmi, godermi la vita? 

Ho già detto del Karaté. Ho già detto della musica. Poi c'è la passione dei libri da leggere. Adoro anche andare al cinema. Ci vado tutte le settimane. E tutte le sere che posso vedo un film in videocassetta o in dvd assieme a mio figlio.

A volte, sempre quando trovo il tempo, mi rilasso con una corsa nel mio bosco all'ora del tramonto, quando non sono riuscito a farla di mattina. Di sera però è ancora più suggestivo; perché mi fermo a guardare il sole che va giù. E penso che la tenebra sta arrivando e in quel momento capisco tutto il senso del fulgore e mi sento felice.

Una grande passione che non coltivo più tanto, per mancanza di tempo, già, sempre quella: il poligono. In passato sono stato tiratore agonista di pistola di grosso calibro. Le armi mi attizzano.

Forse perché sono rimasto ancora come quando da bambino giocavo ai soldatini. Anche questa mia competenza serve per i romanzi polizieschi e di spionaggio e quindi tutto alla fine ritorna sempre lì: alla scrittura. Che monotonia direte voi. Esaltante però… e se non ci credete vi sparo: BANG!

 

Sono nato sotto il segno delle Bilancia e quindi costretto sempre a considerare due parti della mia personalità e a comportarmi sulla base di una sorta di altalena fra due pesi e due misure che cercano di trovare un equilibrio ma che il più delle volte no ci riescono, grazie a Dio. La continua ricerca di questo pareggio di pesi caratterizza tutti i settori interiori ed esteriori del mio modo di essere e di volere. Così da una parte ho un rapporto con il sesso molto d'annunziano e, se vogliamo: dongiovannesco: dove (e con cui) vedo (e considero) la donna come oggetto di conquista, anche se "oggetto" non è che sia una bella parola e non vorrei che si pensasse a una mancanza di rispetto. Il sesso volentieri, visto anche come una perversione a volte smodata e sfrenata.

Un modo per precipitare dentro dimensioni senza ritegno dove detta legge soprattutto il corpo, e la mente fa da supporto a un'interiorità che pesca nel torbido, oltre che nell'ancestrale, ma tutto ciò sempre con una grandissima dolcezza di fondo.

Poi c'è l'altra parte di me che pesa su di me, quella romantica, che è una parte davvero molto romantica: dove la donna rappresenta la musa ispiratrice, da adorare e da proteggere, con cui ho un atteggiamento da antico cavaliere: pronto a combattere i draghi e a sacrificarmi. Rose rosse in una mano. Ginocchio a terra. Cuore che batte. In grado di elargire carezze e poesie. Ma sempre senza perdere la consapevolezza della spada da sguainare che riposa nel fodero. Se volessimo ragionare in termini di film, fate conto: Nove settimane e mezzo da una parte e Romeo e Giulietta dall'altra, con in mezzo: La prima notte di quiete (quel bellissimo e vecchio film con Alain Delon). Anche la mia scrittura in fondo è divisa sempre fra questi atteggiamenti. Scrivere come lo intendo io è un po' come fare all'amore. Le mie storie sono sanguigne e romantiche. Farcite di tenerezza e di sguardi intensi, di dolore, disperazione e arcaici terrori. Pensandoci, a parte la veste da thriller orrorifico, le mie sono tutte trame d'amore. Disperate e intense e colme di visceralità.

Con i cinque sensi (anzi i sei sensi!) che cercano di esprimersi a ruota libera, e gridano forte, che mi fanno sentire vivo con il sangue che pulsa forte. La ricerca di un'esplosione, passando dalla tenerezza. Proprio come in un amplesso degno di essere vissuto. 

Con alcune case editrici ho un buon rapporto, con altre conflittuale. Amore e odio, forse sarebbero parole grosse. Loro rappresentano il datore di lavoro con tutto il bene e il male che ne viene fuori per forza di cose. Con la casa editrice Dario Flaccovio mi trovo molto bene, per la dimensione umana che solo una casa media come quella ti può dare. Lavori con persone che poi diventano tue amiche e questa è una bella cosa. Per quanto riguarda il malfunzionamento, mi viene in mente la vicenda dell'Urlo della mosca, il mio secondo romanzo. Ai tempi avevo già in mano il contratto per l'uscita su Urania di Mondadori e poi tutto è saltato a causa di un cambio redazionale. Adesso ci rido sopra, ma allora ci rimasi molto male. Le case grosse sono così. Non c'è nulla da fare. Esistono meccanismi perversi cui non ti puoi sottrarre. E che non tengono conto del fatto che la scrittura è soprattutto una forma artistica e non solo un business per fare soldi.

Gianfranco Nerozzi, 1957. Italia. Scrittore. Spazia dal noir al thriller, dallo spionaggio avventuroso all’horror, di cui spesso contamina anche altri generi. Esordisce nel 1991 con Ultima pelle (come F. J. Crawford). Seguono Le bocche del buio (1993), L’urlo della mosca (1999), Ogni respiro che fai (2000), Immagini collaterali (2003). Nel 2000 escono le sue antologie Prima dell’urlo e Una notte troppo nera. Con il thriller Cuori perduti si aggiudica il Premio Tedeschi 2001. Cura l’antologia horror (e “zone” limitrofe) di autori italiani In fondo al nero (2003). Per Segretissimo (come Jo Lancaster Reno) propone la serie Hydra Crisis (L’occhio della tenebra, 2003; La coda dello scorpione, 2004; L’inferno corre sull’acqua, 2006). Con Genia (2004) inizia una saga thriller/horror che prosegue con Resurrectum (2005). (FN dal DizioNoir - DelosBooks 2006)