I ricordi tornano indietro.

Nell’asettico panorama della letteratura italiana di genere, l’esordio folgorante della giovane Claudia Catalli. Anime perdute in un bar malfamato, prigioniere nel cerchio del tempo.

Bar di periferia. Jack fissa l’ennesimo whisky, Frankie invecchia dietro il bancone, Katy spolvera i tavoli. La porta si apre ad una splendida donna, Jean. Forse una scena di grigia routine, o forse quelle persone si sono già conosciute. Forse l’hanno dimenticato, o forse lo ricordano nitidamente.

Da questo semplice spunto, quasi en passant, si sviluppa l’esordio di Claudia Catalli, appena vent’anni, acchiappata al volo dalla piccola casa editrice Il Filo. Accantonando la tediosa diatriba sul racconto lungo e/o romanzo breve, subito entriamo nel nonluogo mnemonico che ospita il testo, un locale lercio e consumato come sala da ballo della curiosa quadriglia di questi personaggi: lanciano ed evitano sguardi, alludono, si conoscono, lentamente ricordano. Notevole il gioco sullo stereotipo: l’autrice ricalca con penna serafica i topoi di una certa letteratura – a capofitto in una notte americana -  per poi conferire in brevi tratti un avvolgente sottotesto psicologico alle sue figure umane (come a dire “fin qui abbiamo scherzato”…), evocando il sommerso del conflitto interiore, raccontando la verità o fingendo di farlo.

Metamorfosi, che sposa con amore un titolo di sottile ironia (cosa è davvero cambiato in questi personaggi?), è un primo romanzo nutrito di figure mitologiche – il tradito e il traditore, la ninfa e la ninfetta -  che si inchina alle ragioni di una prosa fluida e onniespressiva: Catalli dipinge con pochi tocchi ma precisi, improvvisando deviazioni mentali per nulla intimidita dalle insidie dell’inconscio, e svolazza da un genere all’altro senza soluzione di continuità. Nel bar di Frankie il melodramma più sfacciato siede a chiacchiera con il noir rancoroso e marcio: tutto attentamente ricamato, con una cura simbolica di colori e particolari, in cui l’elemento della realtà (un bicchiere infranto, il lucore di una sigaretta) arriva scientemente a stemperare il pigmento onirico e sfuggente dell’intreccio. E’ un libro denso di liquidi: dall’alcool alle lacrime, l’uno sprecato e le altre malamente trattenute, sino al sangue e al ricordo. Anche la memoria, nell’idea dell’autrice, acquista infatti la forma di flusso: “E lo sbattimento della porta non fu che l’ultimo morso che quel serpente che teneva indissolubilmente legate le loro vite inferse alla sua stessa coda”. Perché questi spettri di periferia si sono già incontrati, cosa accadde in quell’occasione, quale la ragione che li portò a dividersi sono i nodi che si sciolgono gradualmente nei sette capitoli della storia; la tesi dolorante della memoria imperitura, a riposo dietro una fragile patina di forma (viene apertamente citato Nietzsche: Il ricordo è una ferita in suppurazione) pervade ogni riga con garbo ed eleganza, molto oltre il secondario dipanarsi del plot. La trama è inutile ai fini del racconto: lo dimostra chiaramente il penultimo capitolo, che aggiusta delle tessere del puzzle per gli amanti della compiutezza narrativa, salvo poi smentirsi alla curva conclusiva. Tutto si mantiene in bilico, come ogni metamorfosi che si rispetti, rendendo il libro un mistero senza soluzione; per Catalli non tutte le domande hanno volgare risposta, le marionette a filo non sono fatte per essere riprese ma talvolta occorre solo vederle danzare. Un movimento cadenzato, questo, che decide infine di manifestarsi sottoforma animale. Ma siamo già nell’irracontabile.

Scatta automatico, riposto Metamorfosi, il paragone con la narcosi della giovane letteratura corrente: se per vendere basta oggi un discreto metraggio piagnone sopra il cielo di carta, o per antitesi occorre tuffarsi sotto le lenzuola (Catalli nel libro uccide un personaggio di nome Melissa, qualcosa vorrà pur dire), è questa un’uscita che acquista particolare spessore. L’autrice sa scrivere, si fa leggere, parla finalmente di letteratura. Sono i giovani che piace difendere, a partire da questa miniatura dolce e dolorosa che ci spreme il cuore fino all’ultima goccia di sangue.