Il Professionista siamo noi.

Noi che sognavamo Mompracem e i gadget di James Bond, noi che giocavamo con i soldatini e con la Jaguarmatic, che somigliava alla Colt .45 (quella di Mike Hammer, non quella di Tex Willer...). Noi che siamo cresciuti con Segretissimo e Charles Bronson (e Agatha Christie, diciamolo, ci annoiava a morte), passando per l’ispettore “Clint” Callaghan fino ai “contractors” senza padrone di Ronin, e ai malinconici e piroettanti killer di John Woo...

Il Professionista siamo noi, che volevamo essere eroi, ma non ce l’abbiamo fatta (sorry...) e continuiamo a cercare una via di fuga lungo uno stretto sentiero di carta imbrattata di inchiostro, libracci da pochi soldi sprezzati dai critici-chierici...

E di carta, come tutti gli eroi, è fatto il Professionista, e per fortuna, che se fosse di carne e sangue sarebbe uno psicopatico assassino che ha ammazzato tanta di quella gente che nemmeno se lo ricorda... Un eroe di carta nato quando nell’aria correvano gli ultimi brividi della Guerra fredda, per attraversare (non indenne…) il crollo del Muro e la fine del KGB, la fine dell’equilibrio del terrore e l’inizio dell’asimmetria del terrorismo, fino all’11 Settembre, tra talebani e mercenari, spie nuove di zecca e veterani riciclati, guerre aperte e guerre clandestine. E lungo il cammino narcomafie e sette assassine, servizi deviati e megatraffici di armi micidiali. Dura, la vita dell’eroe. Specie via via che si fa strada la consapevolezza che, in realtà, “il nemico siamo noi”...

Una carriera mozzafiato (dieci anni, venti romanzi, e scusate se è poco), affidata ancora oggi alle cure editoriali di Segretissimo, gloriosa collana da edicola mondadoriana, che negli anni Sessanta ripeté per lo spionaggio quello che il Giallo Mondadori aveva fatto, fin dal 1929, per il poliziesco. Volumi che, per le caratteristiche della testata, hanno una prima vita effimera, come farfalle che vivono un mese, sempre più circondati dalla valanga di materiale che inonda le edicole, e una seconda vita più duratura ma anche più a rischio, tra le bancarelle dei nostrani bouquinistes e il black hole del macero.

Ottima quindi l’idea di ripubblicare in ordine cronologico questa saga, internazionale nel respiro, ma tutta italiana come ideazione e scrittura, dovuta alla prolifica penna (in realtà una tastiera, ma l’immagine tradizionale è più elegante…) di Stefano Di Marino, ben noto ai lettori e frequentatori di ThrillerMagazine anche con i suoi diversi nomi di battaglia, pardón di penna, tra i quali anche quello di Stephen Gunn. Ottima perché il testo originale indossa una veste editoriale più "da libreria" (e la indossa con disinvoltura…); perché gli anni e l’esperienza accumulata permettono all’autore qualche rifinitura, qualche ritocco qui e là; perché, nei "contenuti speciali", una breve ma succosa postfazione ci consente di sbirciare nel retrobottega dell’Artigiano (la maiuscola non è un refuso), dove si accumulano istantanee esotiche e armi micidiali di ogni tipo, referenze letterarie e spezzoni cinematografici, ricordi di viaggio e scorribande sul web (e angoli più reconditi, dove si annidano frammenti personali, e fa capolino l’essere umano che si nasconde dietro la maschera dell’autore seriale…) Esperto ma soprattutto appassionato di cinema e letteratura di genere, di fumetti, di arti marziali, scrittore ma anche traduttore ed editor, il mio amico SDM (uno che fa un sacco di cose, e in genere gli riescono pure bene...) ha incorporato nei suoi romanzi un quarto di secolo di immaginario, trasferendolo in storie di spionaggio e azione ambientate ai quattro angoli del mondo.

Centrale nei riferimenti e negli interessi culturali di SDM, il Giappone non poteva non fare da scenario per un’avventura di Chance Renard, violenta e sanguinosa come d’abitudine, (non è bello fare l’apologia della violenza, si sa, ma un Chance che porge l’altra guancia, francamente… senza contare che tutti, che lo ammettiamo o meno, ci godiamo un sacco quando i cattivi, ma proprio cattivi, di turno vengono fatti fuori). Già apparso nel 1996 come Appuntamento a Shinjuku, il romanzo è un’altra tappa dello scontro tra l’ex-legionario e il suo Blofeld personale, Auguste Volfoni detto il Marsigliese. Chance si trova a dover vendicare l’amico e commilitone Peter Handerhof, ucciso a Tokyo in una pirotecnica sparatoria in un locale notturno che è già un set cinematografico. Pare che il Marsigliese abbia messo le mani su un detonatore speciale, adatto a far detonare un esplosivo... che ufficialmente non esiste. E che ci sia di mezzo una setta religiosa di fanatici, l’Alba della Suprema Verità, non proprio le persone più equilibrate del mondo... Inviato a collaborare con i permalosi e poco amichevoli servizi di sicurezza giapponesi, il gaijin Chance viene praticamente messo nell’impossibilità di agire. Ma il suo fascino di guerriero solitario (ma incline a fraternizzare...) fa breccia nei sentimenti della bella e letale Mimy Oshima, anche lei una outsider in quanto di origini coreane. Insieme, e con l’aiuto di un clan della Yakuza, la potente mafia giapponese, Chance e Mimy affronteranno killer e terroristi spietati, che dispongono di alleati insospettabili, fino all’esplosivo, bondiano finale. Divertente, scatenato, pieno di dettagli e notizie sul Giappone, che non intralciano mai il ritmo della storia, Yakuza Connection è romanzo, film, fumetto, tutto insieme, shakerato e servito freddo. E a chi non ne avesse abbastanza, o a chi pensasse che in fondo, due o trecento paginette con la vecchia formula "spie, sparatorie & scopate", dai, che ci vuole, chiunque al posto suo... consiglio di dare un’occhiata a un altro lavoro, ben più corposo, appena uscito, e senza pseudonimi, adatto a un’epoca dove gli eroi hanno vita sempre più grama, e più nessuno vuol fare James Bond, nemmeno al cinema (alla fine ci metteranno un interinale?), l’epoca della velocità estrema e dell’inganno permanente, in cui il simulacro della democrazia vela a fatica l’arroganza psicopatica e criminale del potere. L’epoca dell’Ora Zero.