In Youth (芳华, “giovinezza” in cinese) di Feng Xiaogang, la Storia funge da cornice alle vicissitudini di un gruppo di giovani cinesi del distaccamento di ballo dell’esercito dal 1975, penultimo anno della Rivoluzione Culturale, fino allo scioglimento del distaccamento nel 1980 e ad un ultimo scorcio nel 1995.

Il compito dei ballerini è quello di allenarsi duramente per allestire al meglio balletti dal contenuto rivoluzionario che eseguiranno in diverse postazioni del paese per i soldati con lo scopo di allietare le loro giornate e rafforzarne lo spirito. Fra competizione, screzi e vagheggiamenti amorosi, affiorano a poco a poco delle vere e proprie forme di discriminazione, alle quali la narratrice apparentemente spensierata Xiao Suizi (Zhong Chuxi) assiste impotente. Bersaglio iniziale della derisione e della cattiveria delle ragazze e dei ragazzi è la candida e semplice He Xiaoping (Miao Miao), scacciata perché reputata strana, ladra, maleodorante e forse anche controrivoluzionaria visto che della sua famiglia di origine si sa poco o niente. Benché attaccata quasi da tutti, Xiaoping sopporta la sofferenza perché il suo cuore limpido è sostenuto dal sogno di poter diventare un’eroica ballerina di fila e anche dal silenzioso amore che prova per il mite Liu Feng (Huang Xuan), uno dei ballerini più ammirati e stimati da tutti, paragonato per bontà e spirito di abnegazione all’eroe Lei Feng, soldato dell’Esercito Popolare di Liberazione morto in battaglia e celebrato negli scritti di Mao Zedong come simbolo dell’eroismo popolare e modello a cui ispirarsi. Feng sembra l’unico in grado di dimostrare un po’ di sincera e disinteressata umanità alla ragazza, forse perché come lei è l’unico ad avere uno spirito puro e privo di macchinazioni, e sarà proprio questo a renderlo il successivo oggetto della discriminazione altrui. Se Xiaoping viene bersagliata come inetta e inadeguata rispetto alla bellezza e all’efficienza di tutti gli altri, Feng viene invece dato per scontato e considerato immune dai sentimenti perché immolato all’ideale superiore del ballo rivoluzionario. Quando però gli viene proposto di intraprendere una carriera militare e lui rifiuta, rivelando alla vanitosa Lin Dingding (Yang Caiyu) di amarla e di voler dunque restare nel distaccamento per stare vicino a lei, la realtà meschina che si annida fra un allenamento e l’altro si abbatte anche sull’eroe, scalfendone la serenità. Dingding, infatti, non esita a denunciarlo per condotta “immorale” e nel 1978 Feng si fa trasferire nella brigata forestale, lontano dal palcoscenico, per dimenticare la delusione. La purezza incompresa del suo sentimento, ingiustamente scambiata da Dingding per lussuria, spezza il cuore di Xiaoping, che nonostante ottenga il tanto agognato posto da ballerina di fila, riesce a provare soltanto febbre e dolore, e si fa poi inviare in un ospedale al confine sud-orientale nel 1979. Promossa successivamente a infermiera, incontrerà nuovamente Suizi, reporter al fronte, e Feng, incaricato di proteggere il caravan dei soldati, durante la guerra sino-vietnamita.

Nel 1980, in occasione dello scioglimento deI distaccamento di danza dell’esercito, viene allestito un ultimo balletto in onore delle compagne e dei compagni soldati feriti, nel cuore o nel fisico. Xiaoping, la cui coscienza è stata fortemente compromessa dalla guerra, è fra gli spettatori. È diventata un’eroina come ha sempre sognato, ma sembra non ricordare più nulla del passato, se non come si danza, difatti di lì a poco si alzerà dalla sedia e andrà fuori al freddo, a ballare come faceva una volta, finalmente libera dai pensieri. Tutto sembra svanire alla fine, non solo la giovinezza, ma anche la rivoluzione, ed è tempo di dirsi addio. I ragazzi si separeranno e ciascuno andrà per la propria strada, “ogni cuore ridotto in polvere”, dirà la narratrice sconsolata, anche se congedandosi dal pubblico nell’amara constatazione di ulteriori giustizie che andranno a colpire gli eroi e le eroine di ieri negli anni ’90, Suizi riuscirà a scorgere una qualche forma di riscatto per Xiaoping e Feng, la cui purezza interiore, “splendidamente fragrante”, rimarrà l’unica vera giovinezza possibile.

Partendo da uno scenario che rasenta il patinato e che ad un primo sguardo superficiale sembrerebbe ammiccare a Fame di Alan Parker (che, guarda caso, era un’opera del 1980, ossia degli stessi anni in cui è narrata la storia di Youth), Feng Xiaogang crea in realtà un’opera complessa e affascinante, a cominciare dal suo tessuto iconografico. Nell’accurata ricostruzione artistica dei movimenti, del trucco e del vestiario delle ballerine e dei ballerini, il regista ci offre un chiaro omaggio a The Red Detachment of Women, balletto del 1964 diventato non soltanto una delle opere modello più rappresentate durante la Rivoluzione Culturale sviluppatasi in Cina fra il 1966 e il 1976 ma anche l’opera di danza cinese più conosciuta in assoluto nel mondo perché scelta come rappresentazione in onore della visita del Presidente Richard Nixon nel 1972, che sancì il definitivo riconoscimento della Repubblica Popolare da parte degli Stati Uniti. Non mancano però riferimenti al cinema di guerra, come La sciantosa di Alfredo Giannetti: l’amarezza nella sequenza dell’esibizione dei ballerini di fronte ai soldati feriti ricorda tanto quella espressa da Anna Magnani e dalla sua banda di musicisti nel film italiano, ad evidenziare come la guerra spezzi le coscienze e come l’intrattenimento possa alleviare, ma non cancellare, le lacerazioni interiori. Ma forse quello che affascina di più in Youth è il suo respiro epico e il fatto che la danza e le lotte per l’autoaffermazione all’interno del distaccamento diventino soltanto un pretesto per narrare l’atavico scontro fra purezza interiore e opportunismo, idealismo e adattamento agli eventi. La purezza che Feng Xiaogang vuole raccontarci non è tanto quella della giovinezza come età della vita fatta di ambizioni e aspettative ma piuttosto “il fiore eroico” della dignità e dell’integrità, che non scendono a compromessi con una realtà falsa o accomodante, anche a costo di rimanere senza niente in mano.

Feng allude qui apertamente a quelle ricchezze materiali tanto esaltate dalla modernizzazione economica avviata nel 1979 e che ancora oggi rappresentano per la maggior parte dei cinesi il baluardo della civiltà e il fine ultimo dell’esistenza e forse il suo messaggio è anche una velata critica alla politica attuale del partito, se si ha la pazienza di leggere il suo film fra le righe e non come un semplice prodotto di intrattenimento volto all’esaltazione del verde della giovinezza.