Per l'iniziativa "Estate 2018: Leggiamo italiano" sono andato nell'antico Egitto per incontrare un autore misterioso!

La Fanucci ha arricchito il già vasto mondo dei misteri egizi con un nuovo interrogativo: chi è Valery Esperian? In attesa di scoprire la tua vera identità, ti chiedo: con che stato d'animo ti sei posto di fronte all'impresa di raccontare un grande personaggio storico come Cheope?

VE. Cheope è un faraone di cui si sa molto poco. A parte la celeberrima piramide che porta il suo nome, unica delle sette meraviglie del mondo antico ancora esistente, di lui si hanno pochissime fonti accertate rispetto ad altri suoi pari, come per esempio due dei faraoni di questa saga, Ramses e Cleopatra. Pensa che non esistono praticamente raffigurazioni di Cheope; l’unica sua statua ritrovata è alta solo 7,5 cm e sembra che sia stata realizzata in un'epoca molto posteriore alla sua morte. Le documentazioni consultate lo descrivono in modo contrastante, quasi avesse diverse personalità. Più andavo avanti nello studio di questo personaggio, e dei suoi contemporanei, più mi incuriosiva ciò che trovavo, dandomi inoltre ulteriori suggestioni e spunti narrativi.

L'Egitto da secoli esercita il suo potente fascino su scrittori e lettori. Quando hai deciso di affrontare questo libro hai deciso di affidarti più al fascino del mistero o più al rigore storico? O a una fusione di entrambi?

VE. Il fascino dell’Egitto ti cattura non appena cominci ad approfondirne lo studio e così scopri che i faraoni, e la cultura del popolo su cui hanno regnato sono una miniera di misteri. La storiografia ufficiale, del resto, si pone ancora molte domande su cosa abbia portato alcuni faraoni a essere considerati grandi re, mentre altri sono stati letteralmente cancellati dalla storia come i geroglifici che ne raccontavano le gesta. Parliamo di fatti accaduti millenni fa: per Cheope dobbiamo risalire a ben 4600 anni or sono e le notizie che ci sono arrivate sono a volte contraddittorie. Questo aspetto ha fornito l’opportunità di realizzare un romanzo ricco di colpi di scena e di avventura e al contempo di rispettare nel modo più rigoroso possibile la realtà dell’epoca e i fatti documentati e/o più accreditati dagli studiosi.

Alcuni misteri egizi sono stati risolti, ed uno di questi è… l'identità di Valery Esperian! Mi rivolgo ad uno dei due autori dello pseudonimo collettivo: chi è Luigi Brasili e quale cocente passione spinge uno scrittore come te?

LB. Come immagino valga per chiunque, salvo improbabili eccezioni, arriva un momento in cui decidi che è il momento di scrivere e di misurarsi con se stesso e con gli altri, nasce tutto dall’essere per prima cosa lettore indefesso. Se ami leggere, se ti appassioni alla pagina scritta, capita sovente che ti venga una spinta più o meno consapevole a provare a stare dall’altra parte della pagina. Una pagina vuota, ma che potenzialmente ospita un’infinità di storie che attendono di comparire. Io sono convinto che la scrittura, come la lettura, scaturisca da una sorta di alchimia magica: leggi, e ti ritrovi calato in un universo, familiare o sconosciuto; scrivi, e poco alla volta un altro universo, familiare o sconosciuto, prende forma. E non importa se la storia che stai scrivendo o leggendo è ben impressa nella tua mente o nella tua memoria. Ogni volta è un nuovo viaggio, e non conosco nulla di più appassionante del viaggiare, come pilota o solo come passeggero, verso casa, o verso un luogo mai visto prima. Non è un caso che molte delle storie che ho scritto negli anni siano scaturite dal mio viaggiare quotidiano per andare al lavoro o al ritorno. Anche se conosci a menadito ogni metro del binario che il treno sta percorrendo, ogni pendolare che viaggia con te, c’è sempre una parte di scoperta durante il viaggio, che magari ad altri, disattenti, può apparire sempre lo stesso.

L'altra metà del mistero è Vincenzo Vizzini: qual è la tua passione e cosa ti ha spinto al grande gioco degli pseudonimi?

VV. Viaggiare e scoprire i costumi e le abitudini dei luoghi che sto visitando è una delle mie grandi passioni. Tutti noi del collettivo volevamo realizzare proprio questo: un lungo viaggio nell’antico Egitto e nella sua storia scrivendo qualcosa che non si esaurisse nella breve rievocazione della vita di un grande del passato, qualcosa che accompagnasse il lettore dalle origini dei Faraoni fino al loro declino in un’avventura attraverso un ampio arco di tempo contraddistinto da usi e abitudini che sono via via mutate. Confrontandoci durante la stesura del progetto ci siamo resi conto che un romanzo non sarebbe bastato, e poi non si è trattato della fatica di un singolo, ma del lavoro di tutta una squadra. Così è stata una scelta naturale scegliere un unico nome che rappresentasse questa impresa. Ecco com’è nato/a Valery Esperian.

Scrivere un romanzo a quattro mani non dev'essere facile, soprattutto poi all'interno di un progetto – Il Romanzo dei Faraoni – con più autori coinvolti. Come vi siete organizzati? E siete andati sempre d'accordo?

VV. Scrivere a più mani rende le cose più facili, per certi aspetti, in quanto si crea fra gli autori uno scambio di idee e di soluzioni che rende il lavoro più ricco. Di contro gli stili personali tendono a scontrarsi ed è in questa fase che la capacità di autocritica che dovrebbe risiedere in ogni scrittore gioca un fattore determinante. Con Luigi abbiamo fatto un lavoro di check continuo e i confronti, anche duri, non sono mancati. Il rispetto reciproco ci ha permesso di trovare sempre la migliore soluzione per rendere su carta le sensazioni e le emozioni che volevamo fare provare al lettore. Alla fine questo confronto continuo ci ha portato a scrivere con uno stile che non fa trasparire la presenza di due autori e questo perché alla fine il vero autore di Cheope l’immortale è proprio Valery Esperian.

LB. Quoto ogni parola di quanto spiega Vincenzo. Facile e faticoso al contempo. Sudore e lavoro. Impegno e confronto. Ma del resto la scrittura è questo, da soli o in collaborazione. Non ci sono apostrofi rosa tra le parole di un libro, ma tanto lavoro. E l’ispirazione, i progressi, gli errori, le ansie fanno parte del “gioco”. E in questo “gioco”, il lavoro di squadra, per qualsiasi libro, è sempre fondamentale.

Luigi, tu sei molto attivo nel mondo Delos, dall'apocrifo "Sherlock Holmes e il tempio della Sibilla" (2017) alla trilogia fantasy "Figli della notte" (2016) all'horror con “Il lupo" e “Il ritorno del lupo" (The Tube Exposed – 2013/14). Puoi raccontarci qualcosa di questi titoli che ho citato?

LB. Il mio primo romanzo con il detective di Baker Street (il secondo uscirà sempre con Delos in autunno e un terzo lo sto scrivendo), è nato da una suggestione: era diverso tempo che volevo cimentarmi con un libro di ambientazione storica nei luoghi in cui sono cresciuto, l’antica acropoli della mia città, Tivoli. E quando ho accarezzato l’idea di confrontarmi con Holmes e Watson, è stato quasi naturale ospitare questi due celeberrimi personaggi a casa mia, per unire in un solo libro entrambi gli obiettivi.

La trilogia fantasy “Figli della notte” è nata in modo abbastanza simile: volevo scrivere una storia di fantasia che non fosse una storia con l’ambientazione classica di questo genere, e nemmeno una storia dove fantasy o fantascienza sono al servizio di un romance. Questa trilogia è fondamentalmente una contaminazione tra fantasy e fantascienza, ambientata in un futuro distopico nella città di Roma che, isolata dal resto dell’umanità decimata da un morbo, è testimone della guerriglia tra un esercito di esseri mutanti e un gruppo di giovani umani ribelli che, orfani, si muovono tra le catacombe e la piramide Cestia con il favore della notte cercando di donare la libertà agli altri umani ridotti in schiavitù dai militari.

La mini saga de “Il lupo” è per certi versi casuale: all’epoca Franco Forte aveva lanciato la fortunata serie “The Tube” invitando gli autori a scrivere nuovi episodi. Io inviai quello che è intitolato “Il lupo”, che però si discostava dalla cronologia che aveva intrapreso nel frattempo la serie. Franco, bontà sua, decise di lanciare una nuova collana, uno spin-off della serie principale, e così “Il lupo” è diventato il primo titolo della collana “The Tube – Exposed”. Aggiungo che è diverso tempo che Lupo, questo il nome di battesimo del protagonista, bussa, anzi ulula per fare ritorno sulla pagina bianca, e conto al più presto di accontentarlo.

Vincenzo, per Delos fra l'altro hai pubblicato il racconto crime "Smartphone" (2017) e il saggio "Come si scrive un racconto" (2016): cosa ricordi di queste tue esperienze?

VV. Più che parlare del racconto Smartphone, scritto per la collana DelosCrime, mi fa piacere spendere due parole proprio per la collana che la Delos pubblica in formato eBook. Si tratta di una palestra e di una vetrina di prim’ordine che permette a scrittori esordienti di misurarsi con autori di tutto rispetto. Nomi che hanno vinto il Premio Tedeschi come Marzia Musneci o Diego Lama, solo per citarne alcuni.

Il manuale, invece, è nato proprio dal lavoro di revisione e valutazione che devo compiere per la collana. Visto che molti degli autori che ci mandano le loro opere sono degli esordienti, spesso i racconti presentano dei vizi che ci costringono a non pubblicare storie che sarebbero interessanti. A volte si tratta di peccati veniali che sistemiamo in redazione con l’accordo degli autori che così imparano le regole del gioco dello scrittore. In altri casi, sempre restando nella metafore della palestra, si innesca il lavoro di personal trainer che svolgo con gli autori sotto forma di editing professionale.

Passando al manuale, devo dire che il successo che ha riscosso ha superato le mie più rosee aspettative tanto che siamo già alla terza ristampa. Non solo: l’Università per stranieri di Siena mi ha invitato a tenere delle lectio magistralis partendo proprio da alcuni passaggi del manuale e parlare a degli studenti, anzi interagire con loro, è stata un’esperienza fantastica. Molti tra coloro che lo hanno acquistato mi hanno contattato per dirmi che hanno apprezzato la formula con cui è stato scritto, più una chiacchierata tra amici che una lezione, un modo per apprendere tanto senza farlo pesare.

Entrambi avete esperienze di editoria digitale: a distanza di anni, cosa pensate dell'eBook? Fermo restando che il cartaceo è insostituibile, pensate che sia un "di meno" o un valido alleato?

VV. In Italia il cartaceo è duro a morire, e anche io non riesco a rinunciare al profumo della carta, ma l’editoria digitale è una strada che dovremo percorrere se vogliamo che il fascino della narrativa non vada perduto. Il futuro, e non intendo quello scandito dal tempo, ma quello vissuto dai giovani e dai nuovi lavori, è nel telefonino che ormai tutti teniamo in mano. Basta guardare gli occupanti di una metropolitana o la sala d’aspetto di un qualunque ufficio per renderci conto che otto persone su dieci hanno gli occhi affondati nel display del proprio smartphone. Uno solo di quei dieci ha in mano un libro o un giornale, mentre il decimo ha la batteria scarica.

LB. Anch’io sono un cultore della carta, e quando posso preferisco leggere il formato cartaceo. Ho un lettore con tantissimi titoli, ma solo per un terzo li avrò letti, perché finisco per comprare, scaricare, o addirittura dimenticare di scaricare, e lasciarli lì con la promessa di leggerli uno di questi giorni… Questo in realtà mi succede anche con i libri di carta, al punto che più di una volta mi è capitato di comprare un libro non ancora letto che poi scopro avere già, nascosto nella libreria dietro doppie file di altri libri. Aggiungo che molte delle persone che conosco, quando pubblico qualcosa di nuovo, si lamentano perché non c’è il cartaceo. Quindi penso che, parafrasando la canzone dei Buggles, i libri di carta avranno una vita ancora lunga, ma in buona compagnia, quella dei libri virtuali che possono e devono tracciare un “sentiero luminoso” (il riferimento al titolo di un mio libro non è casuale, ) dove condurre magari qualcuno tra coloro, tanti purtroppo, che si tengono sempre ai margini della strada verso le librerie.

Questa estate vi prenderete una vacanza di "stacco" totale o avrete sempre penna e/o tastiera a portata di mano?

VV. Avrò da leggere tanti racconti che sono arrivati in redazione per la DelosCrime, ma questo non mi impedirà di picchiare sui tasti del mio portatile per raccontare nuove storie. I progetti non mancano e poi uno scrittore deve tenersi sempre allenato se vuole mantenere un certo livello.

LB. Quando l’estate si fa rovente, in genere rallento molto con la scrittura, il caldo mi annebbia le idee. Ma durante il periodo di vacanza al mare, in genere i pomeriggi li trascorro davanti al computer, al riparo dal sole, con l’azzurro di cielo e mare a farmi compagnia mentre scrivo.

Per finire, a Luigi chiedo un consiglio triplo per i lettori: un luogo da visitare questa estate, un film da vedere (di qualsiasi periodo) e un libro da leggere in vacanza (oltre ovviamente ai tuoi titoli).

LB. Per campanilismo, dovrei citare in primis la mia città, Tivoli, che ospita delle vere e proprie meraviglie dell’umano ingegno, e come film, al volo mi viene in mente la splendida Kim Novak: qualsiasi film in cui c’è lei vale la pena di essere visto, ma tornando al tema del viaggio di cui parlavo all’inizio, invito tutti a viaggiare nei luoghi e nei modi che preferiscono, in treno, in auto, in aereo, su due ruote, a piedi… davanti a uno schermo oppure alle pagine di un bel libro. A voi la scelta. E buon viaggio…

P.S. Dimenticavo il libro… be’, a proposito di strade e viaggi, c’è un certo libro di Cormac McCarthy, un capolavoro che si intitola, guarda caso, La strada (The Road, 2006)…

Idem per Vincenzo: un luogo da visitare questa estate, un film da vedere (di qualsiasi periodo) e un libro da leggere in vacanza (oltre ovviamente ai tuoi titoli).

VV. Da buon siciliano, non posso che invitare tutti in Sicilia, terra altrettanto ricca di misteri e di luoghi ricchi di fascino e storia quanto l’antico Egitto di Cheope. Anzi, quanto prima conto di proporre ai lettori un nuovo personaggio che ha vissuto delle dinamiche politiche del passato che sembrano riproporsi nelle cronache dei nostri giorni. Un film che rivedrei volentieri in compagnia dei nostri lettori è Tre manifesti a Ebbing, Missouri (2017) di Martin McDonagh.

Infine, citare un libro che porterò con me non è facile, ne ho parecchi in lista, ma quello che leggerò per primo sarà 22.11.63 (2011) di Stephen King. Dopo aver visto la serie TV sono curioso di apprendere dal grande maestro la tecnica che ha usato per rendere credibile un universo fatto di parole.

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Chiudo ricordando i libri di Valery Esperian disponibili su Amazon.