È il 1997. Federico Melani, per tutti “Il Mella”, è un ventenne di Figline Valdarno, provincia di Firenze. Studente universitario molto svogliato, è in forte contrasto con la famiglia e passa il tempo con alcuni amici tra giochi di ruolo, marijuana e acidi.

Improvvisamente, il Mella comincia a sognare un sogno… no, non ricorrente, ma “a puntate”. Superando alcune difficoltà, si ritrova in un enorme centro congressi, a partecipare nelle vesti del Delegato d’Argilla a una riunione alla quale presenziano vari gruppi di tre esseri; antichi dei dimenticati, draghi, munacielli, streghe, alieni, creature di specchi… a volte compare anche una ragazza circa della sua età, Livia.

Presto Federico si rende conto che, quando si sveglia, le discussioni proseguono; quindi prende qualunque sostanza riesce a rubacchiare in casa per dormire di più. Questo finché non si ritrova a dover votare il destino di una creaturina, una minuscola bambina contenuta in un uovo. Ma non sa di preciso cosa significhi tutto quello, poiché proprio mentre avveniva la spiegazione era sveglio.

Dopo una serie di “voti tattici”, il Mella si ritrova incaricato della protezione della bambina. Fuggendo, si sveglia – ma la bambina è ancora con lui. Chiede quindi aiuto all’unica persona che pensa possa vere qualcosa a che fare con quella storia: Livia, che scopre essere una studentessa della Normale di Pisa pur venendo da Cittadella, nella provincia veneta.

Vanni Santoni, con questo romanzo, ci regala un prequel (perfettamente leggibile a sé stante) ai suoi due volumi della saga “Terra ignota”: “Risveglio”, del 2013, e “Le figlie del rito” dell’anno successivo. Si tratta di un romanzo fantasy che si distacca completamente dalla falsariga del genere, molto spesso troppo legata al pesantissimo, inimitabile precedente di J.R.R. Tolkien o, più di recente, al “low fantasy” di George R.R. Martin (ma quella doppia R è necessaria per scrivere fantasy di successo?). Santoni scrive un vero “fantasy all’italiana” come prima di lui forse solo Guido Morselli ha saputo fare, sfruttando figure, note o dimenticate, della tradizione della penisola, ma anche ambientando il suo romanzo, quantomeno nei passaggi che si svolgono nel mondo reale, in luoghi concreti, specifici ma allo stesso tempo spesso riconducibili ad altri luoghi analoghi sparsi in tutto il Paese; il Museo Egizio di Torino è naturalmente unico, ma la piazzola di sosta con vista sul mare lungo la statale si riconduce a mille piazzole di sosta simili che la maggior parte di noi ha visto, in mille luoghi diversi.

Confesserò di aver faticato un po’ per cominciare a gustarmi questo romanzo, che si apre – come menzionato più sopra – con una serie di brevi capitoli che alternano la vita quotidiana del Mella a frammenti del suo sogno complesso, a volte slegati dalla parte onirica precedente; presto, comunque, si capisce che effettivamente alcune parti del sogno mancano, poiché il protagonista non le ha viste; questo ci rende un po’ più difficile capire cosa stia accadendo, ma allo stesso tempo è ottimo per immedesimarci ancora di più con Federico, dato che del sogno finiamo per sapere esattamente quello che sa lui: spizzichi e bocconi. Una volta superato questo piccolo ostacolo, “L’impero del sogno”, diventa semplicemente impossibile da mettere giù, pieno com’è di rivelazioni e di colpi di scena le cui conseguenze il lettore non può non voler scoprire.

Un romanzo insomma consigliatissimo a tutti gli appassionati di fantasy e di libri di avventura, che qui troveranno pane per i propri denti.