Se il noir italiano si è caratterizzato, nei suoi autori maggiori, con storie ispirate a retroscena di carattere politico che hanno messo in luce spesso tematiche e intrecci criminali non trattati o non meglio approfonditi dal mondo dell’informazione, non mancano però autori che, nelle loro opere, si limitano a guardare con intelligenza e in maniera avvincente nella vita individuale e nella psicologia delle persone. E’ il caso di Bruno Morchio, inventore di Bacci Pagano, un investigatore privato, ironico e disilluso, amante della buona tavola e di Mozart, che si muove tra i carrugi di Genova e che ha presto incontrato il favore di molti lettori, per cui, dopo uno stazionamento agli esordi delle sue storie presso una piccola casa editrice, quella dei Fratelli Frilli, ha visto aprirsi le porte di maggiori editori quali Garzanti e Rizzoli.

Ed è infatti edito da quest’ultimo il più recente romanzo, di queste settimane, di Bruno Morchio “Un piede in due scarpe”, il quale però è orfano di Bacci Pagano, mentre ci presenta invece due protagonisti che, si può dire, rappresentano un po’ le anime culturali dello scrittore che è psicologo e psicoterapeuta di professione ma che si è laureato in lettere con una tesi su “La cognizione del dolore” di Carlo Emilio Gadda.

Infatti i due protagonisti di “Un piede in due scarpe” sono uno psicologo, il dottor Paolo Luzi, e un commissario altoatesino di nome Ingravallo, come il celebre don Ciccio del Pasticciaccio di Gadda (che Morchio lascia ventilare possa essere il nipote del commissario conosciuto da Gadda stesso negli anni romani). Ma i riferimenti al romanzo gaddiano sono diversi, sia linguistici, sia nella creazione di dialoghi e personaggi bizzarri come Teresa, l’accusata dell’omicidio dell’amante per la cui innocenza lo psicologo si batte, come i suoi amici, in particolare l’eccentrica e avvenente marchesa Federica Brignole Sale, come, in particolare, il padre di Luzi, un idraulico in pensione, gran puttaniere, teorico dei fluidi magnetici che circolano lungo le tubature dell’acqua.

Il risultato è un romanzo divertente, tanto leggero quanto intelligente, da farne una lettura spassosa, ideale per pulire il cervello dalle sedimentazioni provocate dal mal di vivere.

Tutto comincia con Teresa che va nello studio del dottor Luzi pregandolo di aiutarla a far sì che non uccida, come vorrebbe, il suo amante, Luca Latorre, il quale, nonostante sia sposato con Sonia Cersòsimo, figlia del re del baccalà, per avere un’industria di confezionamento dello stesso, è a lei legato da quando erano studenti, ancor prima che si sposasse. Teresa, addirittura, andrà a dire a Sonia stessa che ha intenzione di ucciderle il marito, e quando poi il marito viene effettivamente ucciso non potrà che essere lei accusata dello stesso. Ma Luzi, per un suo tic che scatta di fronte a chi dice delle bugie, è fermamente convinto della sua innocenza proprio in virtù del fatto che quel tic era comparso proprio quando Teresa gli confessava di voler uccidere Luca. Da qui la volontà dello psicologo di condurre lui, a modo suo, un’indagine che la salvi, indagine che svolge con formule così inedite da trascinare nelle sue convinzioni il commissario Ingravallo. Al di là del plot che ha molti punti di sorpresa e interesse (si sente la forte competenza professionale dello psicologo e psicoterapeuta Morchio) il romanzo è reso piacevole anche dai testi letterari che in filigrana attraversano le sue pagine in diverse occasioni collegate a Teresa, forte lettrice di libri.