Lo scrittore Piergiorgio Pulixi e il giornalista di Repubblica Enrico Bellavia hanno partecipato recentemente al festival Giallo Pistoia 2017 con un intervento dal titolo: “Trame e misteri nel mondo delle mafie tra realtà e immaginario”.

La conversazione poi si è aperta alla riflessione sul modo di raccontare un fenomeno criminale nei giornali e in letteratura, tra realtà e invenzione letteraria.

Qual è la differenza nel raccontare un fatto criminale sulla stampa o in letteratura?

 

Lo scrittore non ha limiti, può esplorare territori che al cronista sono preclusi se non dispone di elementi certi e difficilmente confutabili. Il giornalista tratta uomini in carne ed ossa, non personaggi, maneggia, nella stragrande maggioranza dei casi con senso di responsabilità, materie delicatissime e sopra ogni cosa scrive della responsabilità personale dei protagonisti volontari o involontari delle proprie cronache. Ogni elemento, ogni particolare deve essere assolutamente vero e poggiare su basi solide. I collegamenti che sono la linfa del giornalismo d’inchiesta non sono accostamenti spericolati ma connessioni tra fatti documentati. Lo scrittore è esentato da questo obbligo. Il suo è il terreno del verosimile, per quanto incredibile possa apparire agli occhi del lettore meno informato o più ingenuo. Lo scrittore può spingersi a dare per certe alcune connessioni altrimenti solo ipotizzabili. E con questo rende un grande servizio alla conoscenza e alla presa di coscienza di fatti che troppo spesso rimangono relegati nelle cronache in un fluire quotidiano che non offre il quadro di insieme ma solo l’incedere giornaliero degli accadimenti. 

 

Il linguaggio giornalistico e quello letterario si differenziano molto: è solo perché diretti a pubblici diversi o perché hanno anche funzioni del tutto  differenziate?

 

Diciamo che le funzioni restano diverse ma spesso coincidenti per le ragioni che esponevo prima, tuttavia è evidente che la costruzione di una finzione obbedisce a regola di letteratura, buona o cattiva a seconda degli esiti. Il linguaggio giornalistico ha una base tecnica imprescindibile, mutevole quanto si vuole, in ragione delle epoche e dei mezzi utilizzati ma su un sostrato che è fatto di chiarezza, immediatezza e completezza su una distanza che si misura in righe e non in pagine.

 

Si possono compenetrare in certi casi?

La letteratura attinge al giornalismo, soprattutto nella forma del nuovo romanzo civile sotto forma di poliziesco o noir come accade in questo tempo. Il giornalismo risulta influenzato a sua volta dalla sintesi estrema che solo il genio degli scrittori riesce a produrre. Banalmente, ci sono termini che dalla letteratura passano al giornalismo e finiscono nel linguaggio corrente come paradigmi dei quali talvolta non si rintraccia più l’origine.

 

Il caso di Saviano, scrittore e giornalista di fenomeni criminali, come si può leggere nel panorama italiano?

Saviano ha il merito di accendere i riflettori su una realtà criminale che per ferocia e violenza non è certo seconda ad altre mafie, ma che per connessioni con la politica e rappresentanza di interessi nei palazzi che contano ha forse raggiunto un grado di spregiudicatezza e di improntitudine assolutamente da primato. Gomorra è una fiction innestata su elementi di tale realtà da costituire oggetto di indagini e di una nutrita pubblicistica. La sua forza sta nell’avere tradotto in linguaggio letterario ciò che altri avevano raccontato senza potere offrire il quadro di insieme. La letteratura ha una sua forza intrinseca che supera i limiti del giornalismo e si fa coscienza collettiva, patrimonio del pensiero comune.

 

Nel mondo non mancano esempi di giornalisti che hanno pagato con il carcere o addirittura con la vita la loro testimonianza. E’ più pericolosa l’attività del giornalista o quella dello scrittore?

La parola scritta o pronunciata è l’esatto opposto del silenzio su cui le organizzazioni mafiose innestano il loro sistema di pseudo regole omertose. Ma il silenzio è anche la condizione del terreno in cui le mafie crescono e si sviluppano. Silenti, per distrazione o complicità, sono molti dei non mafiosi che vivono a contatto con la mafia. Chi rompe questo patto di coesistenza implicita o minaccia direttamente gli interessi delle organizzazioni è percepito come un pericolo. Non c’è differenza se lo fa con lo strumento di un giornale o di un libro. La sovraesposizione di uno scrittore è direttamente proporzionale alla sua fama e alla sua riconoscibilità e questo vale anche per molti giornalisti. La minaccia alimenta un circuito di solidarietà e con la solidarietà cresce anche l’esposizione della vittima. Con il paradosso, talvolta, che l’oggetto della minaccia diventa la notizia e non ciò di cui si stava occupando. Il risultato è che ci si occupa di più del giornalista o dello scrittore e non dei suoi articoli o dei suoi libri.

 

Cos’è la verità dei fatti dal punto di vista del giornalista?

E’ l’esercizio dell’onestà intellettuale, l’esposizione dei fatti e delle prove a sostegno ma anche di quelle che viaggiano nella direzione opposta, è la dichiarazione netta delle proprie opinioni senza mascherarle da fatti. E’ la capacità di prendere posizione ma non per partito preso o per servire il padrone di turno ma a difesa dei fatti e nient’altro che quelli. E’ la capacità di schierarsi senza perdere l’umiltà dell’ascolto delle ragioni di tutti, è la capacità di tenere la distanza senza essere mai veramente distaccati o freddi. E’ la passione per il rigore che si deve a chi ti legge, al tuo immaginario lettore senza altro potere che quello di appallottolare il tuo articolo e buttarti via. A uno che guardandoti negli occhi potrebbe legittimamente chiederti: mi hai detto tutto? Proprio tutto?