TM: Ciao Paolo, ben ritrovato su ThrillerMagazine!

PG: Grazie. Ci voleva questo saluto. In effetti, è un bel po’ che manco dalle vostre pagine.

TM: In questa intervista ci concentreremo su Darkland, il tuo ultimo romanzo, pubblicato alla fine dello scorso anno da Melville Edizioni. Ce ne sintetizzi tu il tema e la trama?

PG: Il tema, come la copertina fa chiaramente intuire, è il nazismo. Letto per la prima volta in una chiave assolutamente inedita, che non posso anticipare. La trama scava nella storia passata e presente della Germania e di come il virus del movimento neonazista persista a più livelli in una società che comunque molto ha fatto per debellarlo. Il soggetto è di fatto un noir politico che prende spunto dal ritrovamento casuale delle ossa di persone sparite 25 anni prima.

TM: Una breve presentazione deiprotagonisti principali?

PG: Si chiamano KarkJerzyck e Arno Schulze. Il primo è un professore di Criminologia a Monaco, il secondo un ex poliziotto in pensione di Karlsruhe. Insieme indagano su una setta neonazistache intende fare una grande rivelazione in occasione del 70° anniversario del processo di Norimberga. Due antieroi, diversi, ma pensanti. E con problemi sentimentali alle spalle.

TM: Una delle caratteristiche principali del romanzo è la costanza di un atmosfera greve, vagamente opprimente e inquietante, che si percepisce sin dalle prime pagine, nella Foresta Nera, ma che si manifesta poi (invisibile, ma presente) lungo tutto il testo. Complimenti.

PG: Ho lavorato (grazie anche al suggerimento di Alan D. Altieri, va riconosciuto) sul dare al romanzo un’atmosfera gotica, cupa, piovosa. Una cappa che può essere letta come l’incubo del ritorno del nazismo.

TM: Riprendo una frase del romanzo. “La verità è il punto di partenza, non di arrivo. Quando entri in questi ambienti non ti si chiede di riflettere, ma di accettare delle Verità rivelate”.

PG: Entriamo in argomenti delicati: l’esoterismo e il nazismo magico, uno dei filoni principali del romanzo. Campo vasto e complesso che necessita probabilmente di ulteriori approfondimenti, nonostante lo straordinario lavoro di Giorgio Galli.

TM: Nel libro viene affrontato l’argomento della complicità di chiunque avesse preso la tessera del partito o votato per Hitler nell’affermarsi dell’ideologia nazista. Uno spunto di riflessione dalla storia per guardarsi attorno e avanti…

PG: La complicità non è mai passiva. E’ il concetto che ha tentato anche di far passare Silvio Berlusconi quando gli hanno trovato in tasca la tessera della p2. La Storia ha poi dimostrato fino a che punto fosse coinvolto.

TM: Il Processo di Norimberga viene più volte richiamato in causa nel libro (non solo perché il settantennale ricorreva proprio a novembre 2015, e gioca un ruolo fondamentale nell’economia del romanzo). In particolare, viene evidenziato, attraverso le parole di un protagonista, il fatto che il suo significato di giustizia e la sua efficacia furono minati dalla scelta fortemente propagandistica, dal giudizio dei vincitori piuttosto che di una terza parte, e soprattutto dal fatto che sul banco degli imputati finirono solo alcune delle teste, ma non venne chiamata in causa la partecipazione attiva e convinta della maggior parte della popolazione. Il che lasciò aperta la porta ad un meccanismo di auto assoluzione.

PG: Non si trattò di un processo farsa, da un punto di vista formale risultò ineccepibile. Ma è chiaro che, se i vincitori processano i vinti, il revisionismo può avere una presa facile su cui aggrapparsi. La popolazione, che in gran parte sostenne il regime, non fu ovviamente portata su banco degli imputati, ma per questo non va assolta all’interno della valutazione storica del periodo. Come assolvere gli italiani per la loro adesione al fascismo?

TM: Le chiavi di lettura di vari aspetti del nazismo trattate nel romanzo sono veramente tante: il vegetarianismo, l’esoterismo, i connotati quasi religiosi della divulgazione dell’ideologia, la natura dell’antisemitismo hitleriano, il dogma della superiorità ariana e dell’inferiorità ebraica (e su questo punto in particolare gli spunti sono veramente interessanti), ecc. Non possiamo e non vogliamo toccarne troppe in questa intervista, perché il nostro scopo è di presentare il tuo lavoro, non svisceralo. Di incuriosire. Sarà il lettore, magari catalizzato da questo articolo, ad affrontate i tanti temi e sfumature di Darkland. Ti chiedo però di toccarne almeno ancora uno: il concetto di “banalità del male”.

PG: Ti rispondo con le parole del prof. Jerzyck, tratte dal romanzo :“La Arendtne scrisse in occasione del processo ad Adolf Eichmann… Si pensò che la Arendt avesse in qualche modo sminuito un crimine immane come la Shoah. Invece, trovava la stupidità di Eichmann scandalosa. Credeva fosse necessario analizzare il rapporto che intercorreva tra incapacità, mediocrità e pochezza di carattere e i terrificanti crimini che ne derivarono. Su un punto non sono però d’accordo con la Arendt. Per lei Eichmann non era un mostro, ma l’incarnazione della persona media. Lo definì anche normale, nel senso che non era un’eccezione nel contesto del Terzo Reich. Wiesenthal la pensava allo stesso modo: quando lo vide alla sbarra, gli sembrò un contabile che avesse paura di chiedere l’aumento di stipendio. Credo anch’io che non fosse un mostro, lo liquideremmo in modo troppo semplicistico. Eichmann era l’incarnazione stessa della normalità, in assoluto e non solo in un contesto straordinario. Con una differenza: Eichmann è l’uomo comune che ritrova a gestire il potere. Non solo: Eichmann è l’uomo comune che gestisce il potere indossando una divisa. La divisa è una trasformazione antropologica, da uomo nudo a uomo vestito. Anche Wiesenthal, nonostante avesse colto la sua natura, si fa ingannare dalla sua normalità: passa anni a studiare come e perché era diventato così e alla fine dice che è personaggio incomprensibile, antiumano. Non è vero.”

TM: Ci siamo concentrati molto sui “contenuti” del romanzo. Ma non dimentichiamoci che Darkland è a tutti gli effetti un thriller e un noir, ovviamente prendendo i generi come utile spunto di analisi e non di sterile etichettatura. Quali sono i suoi punti di forza in tal senso? Quali scelte hai fatto nello sceneggiare il soggetto scelto in una forma intrigante per il lettore anche sotto questi aspetti narrativi?

PG: Uno l’abbiamo già detto, rendere la Foresta Nera la più gotica possibile. Alla stesso tempo ho lavorato sul modo di rendere l’indagine possibile per due che da soli si trovano a lottare con un mostro dai mille tentacoli, il nazismo. E’ per questo che ho fatto intervenire i servizi segreti, da soli non avrebbero più potuto continuare. Mi è costata molta fatica scegliere la location per la scena finale, ma quanto ho scoperto che nel cuore più oscuro della Foresta Nera si nasconde una specie di Vaticano, allora non ho avuto più dubbi.

TM: Il lavoro di documentazione perDarkland è stato evidentemente molto approfondito. Se lo comprenderebbe anche in assenza dell’impressionante bibliografia finale. Quanto ci hai lavorato sopra? E quanto ti è stato difficile o facile ricondurre poi tanto materiale, tante cose da dire, tante sfumature, nell’economia di quello che comunque doveva essere un romanzo con una narrazione ritmata e coinvolgente?

PG: Ci ho lavorato circa quattro anni. Un lavoro di fase preparatoria (la ricerca dei testi), di studio (diverse migliaia di pagine) e infine di stesura. Il problema è stato infatti far confluire così tanto materiale in un romanzo senza far prevalere la parte storica su quella narrativa, che aveva bisogno comunque di mantenere la struttura del noir.

TM: Prima di questo Darkland, hai pubblicato altri romanzi: dall’esordio di LetIt Be (ColoradoNoir – Mondadori, 2004), attraverso Mondoserpente (Alacrán, 2006), Aiutami (Barbera, 2009), Italian Sharia (Perdisa Pop, 2010), L’odore acido di quei giorni (Laurana, 2012), La geografia delle piogge (Laurana, 2013) fino al recente L’Antiesorcista (Novecento, 2015). C’è qualche tratto che li lega, in qualche modo?

PG: Uno senza dubbio c’è. Io scrivo romanzi politici e sociali in cui mi sono occupato di Islam (Italian Sharia), "La geografia dellepiogge" (‘ndrangheta a Milano), "L’Antiesorcista" (il potere della Chiesa"), giusto per fare degli esempi. A loro volta sono legati da atmosfere riconducibili al noir.

TM: E di tutto ciò che hai scritto, qual è il lavoro che più vorresti fosse conosciuto?

PG: Mi permetto di sceglierne due. Uno senza dubbio "Darkland" per l’impegno profuso nella ricerca. L’altro è "La geografia delle piogge", per qualità letteraria.

TM: Un gran bel lavoro, la grafica di copertina di Darkland…

PG: E’ stata fatta fare da me esternamente da un bravissimo grafico argentino, Nicolas Testa. Una delle poche cose riuscite bene nella tragica gestione editoriale di questo romanzo.

TM: C’è qualcosa di Darkland che non abbiamo affrontato ma che ti sta particolarmente a cuore sottolineare ai nostri lettori?

PG: Una cosa. Il romanzo è senza dubbio, da un punto di vista storico, di difficile interpretazione. Ma rimango a disposizione di tutti per qualsiasi chiarimento o approfondimento. Basta cercarmi su facebook.

TM: Be’, per stavolta abbiamo concluso. Ma è un “a presto”, vero?

PG: Credo proprio di sì. Tra fine anno e inizio 2017 dovrebbe uscire "Pura razza bastarda", il primo episodio di una saga in cui ricostruirò la storia dell’Italia parallela a quella della mafia. Sarà un piacere parlarne con voi.

Titolo: Darkland

Autore: Paolo Grugni

Editore: Melville

Pagine: 256 

Prezzo: € 16,50 (ebook € 9,99)