Rassicurante. Superficiale, banale, inverosimile: ma rassicurante.

Questa deve essere stata la parola d’ordine al momento di varare la sesta stagione di Provaci ancora prof!, in onda da giovedì 10 settembre in prima serata su RaiUno.

Sappiamo che da tempo, fatta eccezione per il Montalbano doc e – parzialmente – per quello “giovane” (su cui ritorneremo in una delle prossime recensioni), la fiction poliziesca Rai ha inserito il pilota automatico, favorita dal gradimento del pubblico. In particolare, su RaiUno, si tiene presente in modo ossessivo il telespettatore di riferimento – più donne che uomini, più anziani che giovani, meno laureati che diplomati – correndo quindi il rischio di livellare, verso il basso, episodi e serie.

Prendiamo Passioni sprecate, la prima puntata della nuova stagione: argomento, tra i più attuali, la violenza del tifo ultrà.

Siamo a Torino – che regolarmente e sciattamente viene evocata con zoomate di pochi secondi con la classica Mole su sfondo innevato alpino, più raramente con altri scorci – e i tifosi di due curve (la Est e la Ovest) continuano a darsele di santa ragione finché non ci scappa il morto. Ora, anche la mitica casalinga di Voghera sa che la città è calcisticamente più o meno equamente divisa tra i sostenitori della Juventus e quelli del Torino; e persino il pensionato di Canicattì è al corrente che le due formazioni da tempo non giocano più nello stesso stadio. Ma vogliamo forse rendere la vicenda appena un po’ realistica, magari suscitando qualche suscettibilità? In compenso gli ultrà sono stereotipati in maniera pedestre: tatuati, frequentanti loschi ritrovi, inneggianti sempre all’“onore” dei loro compagni di fede. Esattamente come se l’immagina chi non va più allo stadio da decenni e non sa che quel mondo è sì inquietante, ma un tantino più complesso.

E che c’azzecca la prof. Camilla Baudino? Ma è naturale! Uno degli ultrà, bravo ragazzo ma plagiato dal fratello maggiore (naturalmente privi della figura di riferimento paterna) è un suo alunno e così abbiamo il fragilissimo pretesto che permette alla docente detective di intervenire nell’indagine. Sì, perché l’Istituto Tecnico “Nelson Mandela” è solo un comodo fondale per un quarto d’ora al massimo di assortite banalità scolastiche al servizio del “giallo”: una bella classe politicamente correttissima con alunni locali, neri, orientali; un preside tradizionalmente e ottusamente rigido; un giovane docente letteralmente assalito dalle allieve in crisi ormonale; e qualche citazione colta qua e là (l’Inferno di Dante, I promessi sposi di Manzoni) per far risvegliare nel telespettatore affondato nella poltrona di casa qualche vago e nostalgico ricordo dei suoi anni più verdi. Che poi le due opere in questione non si insegnino mai contemporaneamente nella stessa classe, salvo eccezioni, è solo un dettaglio che può interessare solo recensori incalliti e inaciditi come noi.

Ma se la scuola, che ha dato origine ai romanzi di Margherita Oggero (che, ahimè, figura anche tra gli autori del soggetto di serie, distruggendo quanto di originale e innovativo c’era nel ciclo letterario), è marginale all’intreccio, neppure l’indagine ne è al centro. Perché, grazie alla tipica miscela italiana ormai imperante, al noir deve essere mescolata in dosi massicce la commedia all’italiana. E allora ecco il tradimento dell’architetto Renzo Ferrero ai danni della moglie Camilla, che presenta risvolti da romanzo d’appendice (una sola notte, anche se con una vecchia fiamma, e zac!, l’amante si ritrova incinta) e che scivola nella farsa quanto più cerca di allontanarsene; e poi ecco l’ineffabile ex commissario (ora vicequestore) Gaetano Berardi che non solo si fa aiutare nelle indagini – al di là di ogni verosimiglianza – dalla prof, di cui è innamorato sin dalla prima stagione, ma che sogna anche di farla sua approfittando della crisi coniugale di lei. E vogliamo parlare della coppia di poliziotti, l’ispettore Torre e la collega Luciana, che pare uscita dalla commedia dell’arte? Lui magro, lei in carne, lui napoletano, lei torinese, lui single con paura d’impegnarsi e lei single con desiderio di accasarsi…

E siccome il politicamente corretto non guasta mai, un venditore extracomunitario di calze diventa il miglior confidente del nostro Renzo, cacciato di casa dalla moglie, rinnegato dalla figlia Livietta (è cresciuta ed è una diciassettenne che si è fatta tre mesi di scuola a Londra, innamorandosi di un dj: signora mia, ma quanto sono cambiati i ragazzi di oggi!) e costretto a vivere in un residence.

Potremmo continuare, ma forse avrete capito che l’episodio e, non vorremmo sbagliarci, forse l’intera serie è un’ininterrotta serie di luoghi comuni e comunissimi che hanno il preciso compito di confermare il pubblico negli stereotipi, tendenzialmente buonisti, che, più o meno ingloriosamente, ha elaborato nel corso della sua vita.

Torino? Si identifica con la Mole. I tifosi? Sono decerebrati irredimibili con l’unica eccezione che naturalmente conferma la regola. Il marito tradisce? La moglie e la figlia lo respingono. Il marito confessa? Balbetta e si contorce invocando pietà per la scappatella. E via dicendo: non un guizzo, non uno scarto, non una trovata appena moderatamente imprevedibile.

E allora cresce l’angoscia, specie se, contemporaneamente, si guarda su altre reti qualche altra fiction (statunitense, britannica, francese, tedesca, toh, persino spagnola) che, pur scontando il peccato d’origine di ogni produzione tv – ossia di dover accontentare un pubblico il più possibile vasto – tuttavia appare come un irraggiungibile Everest a paragone del nostro Mar Morto.

E allora la cosa più azzeccata finisce per essere il titolo della serie: Provaci ancora prof! Un’esortazione alla quale ci associamo volentieri.

Voto: 3